Quando si vive lontano capita che le discussioni con i nostri cari ci “mangino” dentro più del dovuto.
Sono morsi invisibili al mondo esterno ma che noi sentiamo intensamente.
Discussioni, diverbi, opinioni differenti fanno parte della quotidianità ma quando si è sotto pressione tutto s’ingigantisce e un sassolino in una scarpa diviene una montagna gigante da scalare. In questo caso, quando le emozioni ci irretiscono, l’unica cosa da fare è aspettare, guardare la propria ansia, le proprie paure da lontano e pensare che sono nuvole passeggere. Bisogna aspettare che il vento dell’anima le porti via. Fermarsi. Osservare e lasciare che i venti soffino e cambino il nostro panorama interiore.
La rabbia è spesso l’espressione di un dolore nascosto: forse non si vuole ammettere a se stessi che si è rimasti feriti e allora ci arrabbiamo. Adirati e incolleriti ci arrovelliamo su parole e pensieri ma non ne vale mai la pena…ecco svelato il segreto di Pulcinella. A volte, si preferisce fumare di rabbia che essere onesti. Essere onesti con se stessi. Ecco. Questo ci meritiamo. L’onestà con il proprio animo è cosa più difficile a fare che a dire.
Ritornare alle emozioni, prima di essere portati via dalla corrente dei pensieri. Le emozioni possono essere forti e, imparare a non fare nulla, richiede esercizio e fatica. A volte io cerco di trovare il tempo di camminare per aspettare che la nube emotiva venga spazzata via da un forte vento e navighi verso altre terre; oppure cerco di utilizzare il mio corpo (pulendo per esempio) in modo da concentrare l’attenzione sullo sforzo fisico. In questo modo i secondi divengono minuti e dopo un poco la nube si dissipa in aria, anzi, si mostra per ciò che è: aria senza contenuto, diviene il nulla e la logica del pensiero riprende il suo corso.
A volte invece scrivo piccole storie di dieci righe: le storie servono a descrivere le mie emozioni e a comprenderle fino in fondo, a svelare i significati nascosti dietro parole non dette, a scandagliare il mio stato d’animo e a guardare negli occhi le paure che non voglio affrontare. Oggi voglio condividere con voi una delle mie storie: “Il coleottero”.
Il coleottero
Il coleottero s’infila direttamente nell’orecchio.
“Fuggi dalle tue orecchie. Non ascoltare!” Mi dice, “ma chi me lo dice?”
“E se non ci fosse alcun coleottero? E se le orecchie non fossero orecchie?” Mi chiedo.
Chiamo me stessa mentre la via assordante gracchia: “canti, ridi, strepiti?” Domando alla via assordante mentre si scortica le sue corde vocali. Strisciano mosche nere fra le mie labbra. Soffia il vento e affoga un milione di brullicanti persieri. Fra bianchi lamenti sordi uno sbadiglio ingoierebbe il mondo! Chiamo me stessa mentre i mostri grugnenti si stipano nel respiro, che gracchiante scende nei polmoni. Chiamo me stessa.
Spami d’amore? Se piombasse e graffiasse la mia pelle e il fuoco arruginisse le mie palpebre e fiammeggianti dita stritolassero i miei sogni e se fossero sradicati i miei denti e strappate le mie unghie? Allora almeno capirei di essere dannata.
“Ma solo solo spasmi d’amore”- il coleottero saccente afferma mentre la formica mi corre sopra un dito. Mi guarda stupita senza occhi e continua la sua ricerca. L’erba alta per la sua statura fruscia. Io la guardo ansiosa, afferro il coleottore e gli sorrido. Mi sono ritrovata. Io, formica.
Quadri realizzati dall’autrice.
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