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Abbassare la curva. Storia del successo della British Columbia

di Elena Vancouver
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Abbassare la curva. Storia del successo della British Columbia

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Un altro post sul corona virus? Sì ma questa volta vi parlo di buone notizie!

Vi scrivo da Vancouver, nella British Columbia canadese l’estremo ovest del continente, a poche ore da Seattle, USA. Mentre al di là del confine le cose si fanno gravi e sull’east coast i nostri connazionali canadesi stanno subendo un aumento dei contagi e delle morti, in BC siamo riusciti ad abbassare la curva! Sono stati elencati molti fattori a vantaggio della nostra provincia che hanno contribuito a contenere fortissimamente il contagio. Prima tra tutte la scarsa densità di popolazione in generale e nelle aree interne in particolare. Ma a mio avviso, al di là dei dati “misurabili” e tecnici c’è di mezzo il fattore culturale, cruciale per il successo della nostra impresa collettiva.

Dunque, ecco i 4 elementi culturali che ci hanno permesso di abbassare la curva.

  1. Seguiamo le regole. Attenersi alle disposizioni delle autorità, adeguarsi alla lettera senza troppe discussioni è il marchio di fabbrica di questo paese. Chiaramente i furbetti ci sono anche qui, come quelli che, soprattutto all’inizio, hanno preso sottogamba la questione. Ma la stragrande maggioranza delle persone non batte ciglio e si attiene con scrupolo alle leggi. C’è molta diligenza e zero tolleranza, non è raro trovare all’ingresso degli esercizi commerciali cartelli con su scritto: “noi seguiamo le regole, se non prendi la cosa seriamente non puoi entrare”.
  2. La distanza sociale non è una novità. La famosa la social distance, è un concetto praticato fisiologicamente dai canadesi che in questo momento la hanno solo aumentata di misura. Questo è un popolo che non si tocca, non si bacia quando si incontra con gli amici, spesso non si dà nemmeno la mano durante le presentazioni. Lo spazio personale tra due individui è sacro e sempre stato di almeno un braccio e mezzo. 
  1. Il contatto con l’estero. Altra componente culturale il fortissimo legame che gli immigrati tengono con i loro paesi di origine. Questo costante contatto ha permesso alla maggior parte della popolazione di avere informazioni importanti e percepire il pericolo di quanto accadeva altrove addirittura prima che il governo canadese si pronunciasse sulle prime restrizioni. 

Io stessa con la mia famiglia ho smesso di uscire frequentemente, ho ritirato la bimba dall’asilo, ho discusso con i miei studenti la possibilità di lavorare solo online quando ancora non erano state emanate le chiusure definitive. 

Ci siamo auto isolati in molti quando ancora non era obbligatorio, chi aveva anche solo il sospetto di essere stato a contatto con qualcuno malato attivava tutte le procedure di contenimento senza correre al pronto soccorso. Abbiamo avuto un caso proprio tra i nostri conoscenti più stretti che ha agito tempestivamente praticamente non contagiando nessuno. La stessa comunità cinese, per salvaguardare tutti, ha velocemente interrotto gli scambi con le aree a rischio della loro madre patria, tant’è che nonostante nella città di Vancouver ci sia una numerosissima e antichissima comunità cinese che vive di commercio con la Cina (che tutto sommato è geograficamente vicina) il nostro virus non è arrivato da lì, ma dall’Europa e dall’Iran.

    4.   Responsabilità sociale e senso civico. La responsabilità sociale largamente condivisa da tutte le comunità è un altro fattore fondamentale nel successo della nostra provincia. Questo senso civico, questa radicata responsabilità nei confronti di tutti, ha avuto uno straordinario effetto in questi tempi cosi critici dove le azioni di uno si possono riflettere catastroficamente o positivamente su molti. 

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In tutto questo il sistema sanitario, notoriamente non particolarmente capillare o veloce, ha retto l’onda d’urto senza difficoltà, a nessuno è stato negato l’accesso alle terapie intensive quando necessario e la percentuale di guariti si è sempre mantenuta alta. 

Ci sono stati momenti di panico, certo, corsa alla spesa da pre-apocalisse inclusa. Il personale ospedaliero, la polizia, i pompieri non hanno potuto permettersi di stare a casa in quarantena. Ma quasi tutti gli altri lo hanno fatto. I danni di questa pandemia ci sono e si vedono anche qui, soprattutto economici. I piccoli negozi, i ristoranti, hanno subito già perdite importanti e non so come andrà a finire se queste chiusure forzate proseguiranno. Ci mancano i parchi giochi, la scuola, i nostri amici, le lezioni di piano, la piscina, il teatro, persino l’ufficio. Ma sappiamo di stare facendo un sacrificio necessario. 

L’aiuto dello Stato.
Il governo centrale dal primo aprile ha iniziato a pagare la disoccupazione a tutti quanti hanno perduto il lavoro a causa del corona virus (fino a circa 2000 dollari al mese), ai genitori sotto una certa soglia di reddito hanno dato un ulteriore sussidio per ogni figlio (circa 300 dollari al mese). Le piccole imprese, i professionisti free lance e i negozi stanno avendo anche loro degli aiuti finanziari e si appellano alla solidarietà di quartiere per restare attivi. Ognuno aiuta come può.

Verso la normalizzazione.
Siamo oggi in una fase di mantenimento da oltre 10 giorni e corrono voci che il governo provinciale stia valutando la possibilità, solo per la British Columbia, di allentare la morsa del lockdown tra qualche settimana, se le cose continueranno a migliorare. Per dare fiato all’economia e alla gente che, anche se non richiusa in casa come gli italiani, ha voglia di normalità. Abbiamo evitato il picco che in tutto il mondo invece si è drammaticamente verificato. Sappiamo che molta parte della nostra vecchia vita, scuole incluse, tarderà a riprendere e restiamo in guardia, potremmo dover contenere nuove emergenze, ma guardiamo al prossimo futuro con più ottimismo. Speriamo di essere un’ispirazione per gli altri. È importante per tutti sapere che ce la si può fare seguendo semplici regole ed avendo pazienza. 

Buona fortuna a tutti!

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4 Commenti

Alessandra 24/04/2020 - 09:13

Ciao Elena, ti ringrazio di aver scritto questo articolo, noi mamme in Italia con figli in Canada, siamo molto preoccupate, data la distanza e la vicinanza ai focolai Americani. Mio figlio e’ a Ottawa e talvolta nonostante le rassicurazioni non sono tranquilla. Ma e’ anche realta’ che le distanze tra paesi e citta’ sono tante e che i canadesi non sono gli italiani, hanno rispetto, l’ho visto di persona venendo due volte in Canada. Speriamo passi presto, sono cosi’ poche le notizie che arrivano da noi, a parte ascoltare voi. Grazie, Alessandra.

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Elena Vancouver 25/04/2020 - 18:25

Ciao Alessandra,
Purtroppo le notizie da Ottawa dove si trova tuo figlio sono molto diverse. Ma le possibilità che riescano comunque a contenere il contagio in limiti ragionevoli ci sono, considerando che condividiamo lo stesso retroterra culturale. Il rispetto delle regole, la distanza sono cose comuni da un lato all’altro del paese. Da mamma ti posso capire, cerca di stare tranquilla, ormai siamo alla fine di questa pandemia.
E.

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Nicolò Antonio Ingo 25/04/2020 - 17:26

Buongiorno Elena e Alessandra,
sono il papà di Valeria e desidero condividere con voi questo articolo.
In effetti sono a Vancouver da circa 8 mesi e ho notato che in Italia al primo decreto del presidente del consiglio dei ministri i lavoratori del nord Italia si sono catapultati al sud
con tutti i mezzi di trasporto.
È una mera questione di cultura tra popoli e di obbedienza delle tegole come è stato da voi sottolineato.
Credo che avete fatto bene a mettere in luce quanto succede in BC e in particolare a Vancouver.
Questa mia testimonianza l’ho voluta condividere sperando d sensibilizzare tanti altri miei amici.
Un saluto

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Solare 27/04/2020 - 10:48

Ho passato tutto lo scorso mese di novembre a Vancouver e a quanto pare siamo stati fortunati con il tempo che è stato bellissimo e mi sono un po’ innamorata di questa bella città. Mi stavo proprio chiedendo come avrebbe affrontato questa emergenza soprattutto per tutti quei purtroppo numerosissimi homeless e tossico dipendenti accampati in centro città. Siamo rimasti scioccati dal trovare una situazione così grave in un paese come il Canada che è spesso paragonato all’Australia come meta ideale dove emigrare. Noi abitiamo in Australia e non esistono situazioni tanto estreme e scioccanti. È andata davvero bene se i contagi sono stati contenuti, come sembra essere anche in California, altro stato ad altissimo numero dì homeless. Malgrado questo però Vancouver è davvero bella.

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