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Alla fine di un viaggio

di Silvia Bodini
grand-canyon

Ed eccoci qua, anche quest’anno  di fronte alla fine di un viaggio, questa volta più speciale del solito.

Sono a San Francisco e guardo la mia famiglia salutarmi dal finestrino di un Uber mentre si dirigono all’aeroporto.
Tra qualche ora voleranno verso casa, l’Italia.
Io invece, torno in Iowa.

Sono già passati quindici giorni e, come sempre quando si sta bene, il tempo è volato.

Mi guardo attorno e non posso smettere di pensare a quanto San Francisco mi sia entrata nel cuore.
Sarà difficile dimenticare il senso di libertà e spensieratezza del quartiere di Castro o la vista dal Mission Dolores Park.
Eppure so che, quando tra qualche anno ripenserò a questa vacanza , un’immagine prevarrà su tutte.
Ed è quella della mia famiglia che scende da un taxi e mi abbraccia per la prima volta sul suolo americano, la mia casa da un anno e mezzo a questa parte.
Perché alla fine, anche se cerchiamo la bellezza in ogni angolo del mondo, quella più autentica resta negli abbracci di chi ci ama.

Nel frattempo, tra un pensiero è l’altro, è arrivato anche il mio Uber.
Salgo in auto mentre lascio dietro di me un pezzo di mondo, che non è né mio, né  loro,  ma è meravigliosamente nostro.
Un pezzo di mondo che ha gli occhi dei miei genitori entusiasti e meravigliati mentre ammirano l’America dal finestrino di un van.
Lascio dietro di me una delle vacanze più belle di sempre, fatta dell’immensità del Grand Canyon e della bellezza del popolo dei Navajo.
Dei colori del Bryce National Park, dell’immensità delle Sequoie, della fantastica Route 66 e di 5000 km macinati in due settimane.

Lascio dietro di me tanto altro ma tengo stretta a me la consapevolezza di essere stata fortunata e di tornare alla vita di tutti i giorni con qualcosa di nuovo.
Come la terra di quattro Stati d’America sotto le scarpe.
L’immagine di mio padre mentre mangia i “fettuccini Alfredo” con gusto e di mia madre che sorseggia caffè americano passeggiando a Santa Barbara.
Gli occhi sgranati di mio fratello e della sua ragazza che quando entrano da Walmart non sanno se rimanere più sconvolti dal reparto “armi” o da quello delle “schifezze”.

Questo loro integrarsi nel mio mondo è un regalo che mi hanno fatto senza nemmeno saperlo.
E lo custodisco, stretto a me con orgoglio e gelosia.

Dal mio canto, spero di essere stata in grado di donare una delle poche cose che noi expat abbiamo a disposizione: la visione di un mondo nuovo, visto con occhi diversi e integrati.
L’opportunità, cioè, di essere qualcosa di più di semplici turisti o viaggiatori ma piuttosto ospiti di un Paese che a modo suo, ora, si sta prendendo cura di me.

Scendo da Uber, varco le porte dell’aeroporto, passo dai classici controlli.
Mentre aspetto il momento dell’imbarco scrivo. Di ricordi.
Perché fino a che sono freschi non voglio rischiare di perderli.
E, alla fine, sono queste le cose che ci tengono vivi.

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1 Commento

Antonella 25/11/2018 - 17:54

Cara Silvia,io sono una di quelle mamme che vedi in aeroporto,sono una di quelle che è andata a trovare il figlio nella sua temporanea realtà americana. Sono un arco,come tante madri, che con amore ha scagliato la sua unica freccia e le tue parole mi hanno riempito il cuore perche quando si è genitori una volta lo si è per sempre e per tutti e attraverso esse ho sentito la voce di mio figlio! Cara,forse già fai un bellissimo lavoro, ma tu conosci il tuo talento e sai che ti aspetta una sedia,una penna e tanti fogli da riempire…forse di molti riempirai i cestini,ma questo capita agli scrittori…! Buona fortuna!

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