Io. Ore 18.00. Sono in hotel a lavorare, a casa mi aspetta la mamma con la lasagna (la mamma è sempre la mamma!) e dietro di me si è radunato un gruppetto per vedere la partita. In sottofondo, l’inno di Mameli.
Premetto che del calcio e dello sport in generale mi interessa ben poco, mi annoio moltissimo a guardare una partita e non credo di essere mia riuscita a vederne una fino alla fine. L’unica cosa che mi piace è osservare le reazioni del pubblico, i diversi urli di esaltazione, di rabbia o di disperazione degli spettatori.
Eppure quando gioca l’Italia, tipo in questo momento, sono emozionata. Nel senso che a livello fisico sono nervosa, non sto ferma, (mi sento cretina ma mi stanno tremando le mani mentre scrivo) e mi sento come una bambina piccola che vorrebbe che vincesse solo per poter gridare a tutti, “Avete visto?” “Eh, che roba eh, gli italiani e l’Italia, mò vi facciamo vedere noi!”.
Mesi fa mi sono ritrovata a inveire come una dannata contro chiunque parlasse male di Valentino Rossi, riguardo all’alterco che aveva avuto con Lorenzo e Marquez durante il moto Gp. In realtà a me dello sport e delle gare sportive “me la suda“, come direbbero qua, o mi “rimbalza“, come direbbero a Roma.
Però di nuovo, la stessa sensazione delle partite di calcio: rabbiosa, quasi con la bava alla bocca, a difendere l’orgoglio nazionale da qualsiasi calunnia o insulto.
Non toccate la mia Italia!
Ma noi italiani siamo nazionalisti?
In generale il primato ce l’hanno i francesi; noi spesso siamo propensi a sputare nel piatto dove mangiamo, e forse anche per questo motivo molte mie amiche straniere hanno spesso definito gli italiani come un popolo di lamentoni.
Io non mi sono mai sentita nazionalista o dotata di un grande attaccamento alla madre patria, però da quando sono expat in Spagna convivo con delle sensazioni/reazioni di fronte a determinate situazioni che non avevo mai vissuto.
Ricordo ad esempio quando mi recai in commissariato nel 2012 per ricevere il NIE, il numero di identificazione dello straniero, che mi serviva per essere associata alla Seguridad Social e quindi essere regolarizzata a livello lavorativo.
Il funzionario guardò la mia misera e vergognosa carta d’identità, con gli angolini di carta stropicciati ed un piccolo taglio nella piega centrale; la soppesò brevemente ed emise il suo giudizio inconfutabile:
“Questo NON è un documento valido”.
Al mio spiegare cortesemente che si trattava effettivamente di un documento di riconoscimento italiano e quindi universalmente valido nella Comunità Europea, rincarò la dose, sguardo glaciale incluso:
“Ah si? Sarà valido in Italia, magari, ma qui, di certo, NO”.
E poi mi invitò, in maniera poco gentile, a ripresentarmi con qualcosa di piú degno, magari come quello spagnolo, che è una tesserina rigida come la nostra attuale patente. (In difesa dell’impiegato devo dire che la mia carta d’identità era effettivamente un po’stropicciata, e non ne sono orgogliosa, però non cadeva di certo a pezzi!).
Usciì con le lacrime agli occhi per l’umiliazione e con una rabbia incredibile. Invece di essere adirata verso lo Stato italiano per avermi dato un documento ufficiale di cartapesta, mi si era infuocata la faccia a causa dell’espressione di disprezzo dell’impiegato nel dirmi che “forse in Italia…”con un certo tono di superiorità.
Avrei voluto voglia di gridargli in faccia come osasse giudicare il mio paese.
(In ogni caso, il NIE lo ottenni la settimana seguente, badando bene di finire con un impiegato diverso che me lo concesse senza problemi).
Parlando più in generale, sono convinta che come expat si viva inizialmente una fase in cui ci si esalta per qualsiasi cosa e si è convinti di vivere nel paese dei balocchi. Successivamente però è necessario trovare un equilibrio tra il buono che ci viene offerto nel nuovo paese ed i difetti con cui poco a poco ci si scontra, diventando capaci di fare lo stesso con il luogo che ci siamo lasciati alle spalle, in questo caso l’Italia.
Oltre ad avere elencato queste spiacevoli esperienze, ne avrei mille altre da raccontare (e forse presto lo farò) di come invece a volte il solo dire di essere italiana trasformi il viso del mio interlocutore in un brillante sorriso.
Cito brevemente dei turisti russi che non parlavano una parola di inglese, eppure rimanemmo dieci minuti buoni a fare facce, suoni ed espressioni perché al mio dire di essere italiana avevano risposto con gioia “Florence!!!“. E da lì era iniziata la sinfonia di esclamazioni di giubilo.
Intanto, ritornando al nostro amore/odio per la nostra nazione, stilo una personalissima lista degli atteggiamenti degli italiani a Barcellona nei confronti della madre patria:
1. Qui è una figata, in Italia le cose facevano e fanno schifo.
Anche qui, che non mi si tocchi l’Italia. Va bene essere contenti della nuova vita a Barcellona, ma neanche rinnegare tutto quello che è italiano.
Mi sono ritrovata ad ascoltare argomentazioni rispetto a come fossero le donne catalane rispetto alle italiane, queste ultime definite insipide o noiose, o sul fatto che la vita si possa godere solo qui a Barcellona e non in Italia, dove dilaga una tristezza infinita.
Gente normale che non credo abbia patito qualche trauma in terra italiana e che però a mio avviso sembra vivere in una realtà fantastica. Un mondo fatto di mini pony che cavalcano l’arcobaleno di Barcellona, di gente che balla il flamenco tutto il giorno e dove la parola lavorare non esiste, come se qui tutto fosse perfetto, i politici non rubassero e non ci fossero gli scioperi della metro o i maleducati.
2. Qui fa tutto schifo, non hanno cultura, mentre in Italia…
Quando mi imbatto in questo tipo di italiani a Barcellona li definisco persone tossiche. Sono davvero dei risucchiatori di energia positiva, si lamentano costantemente della lingua, del cibo, della cultura spagnola e catalana. Vorrei sempre chieder loro come mai non se ne tornano a casa in Italia, dato che nessuno li obbliga a restare in un paese che non li soddisfa.
Gli esemplari di questi tipo, a parte lamentarsi del cibo (anche io sono orgogliosa del cibo italiano e sì, penso sia il migliore del mondo, però questo non mi impedisce di dare valore al resto) sono specialisti nel guardare con il labbro intriso di sdegno qualsiasi paesino medievale che viene loro proposto di visitare, ripetendo il lei motiv “In Italia ne siamo pieni”.
E perché andare a Tarragona a vedere un anfiteatro romano, se noi abbiamo Roma?
E perché parlare spagnolo se tanto con l’italiano mi capiscono?
E perché mangiare i cannelloni catalani se la pasta fresca l’abbiamo inventata noi?
E perché imparare il catalano se tanto è una lingua che si parla solo qui?
Potrei continuare all’infinito, lascio a voi.
3. Qui sto bene, ma i catalani…
Queste persone sono piuttosto integrate ed equilibrate: amano Barcellona, apprezzano la maniera di concepire la vita qua, pero su una cosa non transigono: la lingua catalana che non vogliono imparare e il comportamento, a giudizio loro, dei catalani. Come tutte le generalizzazioni, si pecca da un estremo all’altro. Esattamente come non ci piace quando viaggiamo in un paese straniero e facendo due più due associano al nostro essere italiano le due parole “simpatico e mafia”, non si può pensare catalano uguale tirchio, chiuso, indipendentista.
Ovvio poi che ci possono essere degli stereotipi che hanno una base di verità: l’italiano è più tocaccione, il giapponese mantiene le distanze, il catalano è più riservato, l’andaluso buffone e amichevole come un italiano meridionale, il tedesco metodico….etc etc.
Però si parla appunto di stereotipi e se viaggiare ed espatriare serve a qualcosa, forse è proprio per apprezzare gli altri come persone e non come appartenenti ad una categoria.
4. L’equilibrato
Vivi nel tuo nuovo paese di adozione, lo hai scelto, lo apprezzi, lo stimi e godi delle sue bellezze delle sue persone. Riscopri da lontano e con nostalgia, aspetti positivi dell’Italia che avevi dimenticato e che qui non ritrovi, e nello stesso tempo sei contento di essertene lasciato alle spalle altri di cui facevi volentieri a meno.
Dove sto io?
Mi piacerebbe pensare di stare nell’ultima, anche se in determinati momenti è facile scivolare in un’altra categoria, ad esempio durante i famosi accessi di rabbia di cui parlavo prima.
Eccoci alla fine dell’articolo e della partita che ha vinto…l’Italia!!!
Stasera, a cena, il mio fidanzato spagnolo mangerà lasagne home made per riappacificarsi con gli azzurri!
Chi sono