Anno nuovo, vita nuova. Altro giro, altra corsa…
Sono seduta sulla sottile linea di confine che separa ancora per una settimana, intensissima, la mia vita di ora dalla prossima.
Non è una posizione scomoda, anche se da due notti faccio fatica ad addormentarmi e anche se ho capito che la velocità del respiro corrisponde ad un lieve stato di ansia in corso. Questa è una posizione che conosco bene, dove mi sono trovata altre volte. E’ il punto di mezzo nel quale nessuna delle visuali sui due luoghi intersecati risulta oggettiva ed imparziale. Non posso più guardare a Joburg che mi ha accolta solo un anno e mezzo fa con amicizia e generosità senza sentire quella fitta in mezzo al cuore per i cuori che saluterò, mentre non posso ancora guardare a Locarno che mi aspetta, senza avvertire una sottile apprensione mista ad eccitazione per tutta la sicura libertà che conosco e che mi è mancata in più di una circostanza nell’ultimo periodo.
Questa è solo la mia personale esperienza, ma a questo punto della storia ed in quest’altro luogo virtuale nel quale scriviamo e ci scambiamo i nostri vissuti parlando di “estero” mi sembra importante chiarire questo: c’è una differenza sostanziale tra emigrazione ed espatriazione.
Quando sono emigrata l’ho fatto per il motivo principale e fondamentale di trovare un miglioramento al nostro assetto di giovane famiglia che aveva voglia di crescere. L’ho fatto compiendo quella che ho sempre chiamato in cuor mio l’impresa: lanciare i dadi più lontano dal punto in cui si possa vedere il risultato dei due cubi e giocando la partita animata da una grossa speranza nelle mie personali capacità di adattamento, nella mia volontà di integrazione, e supportata dalla mia intenzione e scelta consapevole, appunto, di buttare quello stesso cuore che oggi è cosi pesante, “oltre” a tutti gli ostacoli che avrei potuto incontrare lungo la strada, prima di arrivare a vedere cosa c’era davvero scritto sui miei dadi. La buona notizia è che si vince sempre, sia che si faccia 2 o 12, perché è una partita che in ogni caso vale la pena giocare, è una partita con te stesso e quando ti metti in gioco è per diventare chi davvero sei, dunque non puoi perdere, se ti trovi!
Sono emigrata due volte: la prima volta quando il nostro primo figlio aveva due anni, partendo da Firenze per Parigi la bella, e la seconda volta non potendo tornare a quella che per 6 anni fu casa, a Parigi, andando a riparare in Svizzera italiana, a Locarno, passando da Lagos, Nigeria. Un “saltino” da nulla, entrambe le volte, con universi a confronto che dire agli antipodi ancora non rende con fedeltà l’idea. Ma tant’è, è proprio cosi che sono andate le cose per noi in quelle due occasioni di emigrazione.
Con l’espatriazione la faccenda è un po’ diversa.
In questo caso il gioco assomiglia di più ad un Monopoli preformato, ma non sei tu che lanci i dadi. Ti sposti da una casella ad un’altra del tabellone, ma non sai mai di quanto, per quanto tempo, né a quali alterni spostamenti, magari all’indietro, chi muove le pedine dall’alto ti esporrà a suo piacimento, quando il momento sarà diventato opportuno. Opportuno per loro, non per te. Tu sei li’ sotto a muoverti e giochi la tua partita. Magari, perché sei aperto di spirito e ti sei allenato per questo, e sei uno che per natura “investe”, hai già iniziato a comprare delle case, forse addirittura un albergo, ogni tanto resti bloccato in prigione ma lo sai che fa parte del gioco, e non sei uno che prende le cose in modo personale, quindi vai avanti e giochi, e ti sposti qui dove i dadi ti lanciano, con serenità, con il tuo sorriso sulle labbra, poi un imprevisto ti costringe a pagare di tasca per una questione od un’altra, ma tu giochi ancora giorno dopo giorno la tua partita e ti stai godendo tutto quello che arriva, perché sei fatto cosi e le cose le vivi fino in fondo, in qualunque caso. Ogni tanto ripassi dal via ed arriva il tuo piccolo riconoscimento e quanto fa piacere visto che sai che nulla è dovuto a chi non lancia i suoi dadi da solo, ma dipende dai lanci altrui!
Cosi sei li che contempli il numero delle casette del tuo colore sul tabellone. Non sei competitivo e non te ne frega nulla di vincere, gli altri giocatori sono la tua famiglia e questa è solo una partita da giocarsi insieme, day by day. Mantieni il tuo sguardo aperto e prendi quello che arriva. Ti mettono a Lagos, anche se l’aria puzza e i topi sono più grandi dei pesci che vendono al mercato, ma ci vai, e fai il bravo, ti costa, mamma se ti costa, se per Lagos lasci niente poco di meno che Parigi, ma poi ti adatti a tutto e quindi anche a quello, e in effetti un miracolo interiore avviene e ti scopri molto più forte di quello che sospettavi, quindi resiliente come sei (anche se prima della Nigeria quel termine, “resiliente”, odiando la fisica a scuola, non sapevi nemmeno che volesse dire) succede che Lagos si trasforma in una scuola di vita unica, pietra miliare sulla quale fondi la tua vera te.
E poi per via di Lagos finisci a Locarno e quindi qui giochi di nuovo per 3 anni la partita tua, quella della seconda “emigrazione” e mentre sei li tutta impegnata ad abbracciare il modello di vita dei nostri confinanti d’oltralpe, con tutta la ligia osservazione delle regole palesi o tacite che la nuova homeland ci impone, proprio quando stavi iniziando a quagliare qualcosa di sostanzioso (un anno per riuscire a ricominciare a lavorare, un secondo anno di supplenze, un terzo in cui arriva un’occasione di lunga sostituzione, ma questa è un’altra storia), ti mettono a Dubai.
Va bene. Pazienza per quei 3 anni, incroci le dita e speri ne siano valsi la pena e rappresentino comunque un “investimento” appunto, e poi di “pena” pensando a Dubai non ti viene il sospetto di trovarne, ad essere onesti l’idea ti solletica, bello far imparare l’Inglese ai figli, anche se significa retrocederli di un anno a scuola, per non parlare dell’incontro con la cultura mussulmana, il deserto, e tutto il resto insieme a molto di più che ancora non immagini laggiù di trovare, e parti e ricominci tutto chiaramente e prima di esserti ripresa da una mazzata in fronte sul piano personale, ma questa è un’altra storia, e di capire che vuoi dare un colpo di reni a tutto, studiando per diventare insegnante di yoga, proprio mentre inizi a rilassarti anche un momento in questa città meraviglia delle meraviglie, arriva il nuovo spostamento delle pedine, che ti catapulta, questa volta, a Johannesburg.
E a Johannesburg ci vieni. Fa male alla gola inghiottire il groppone. Le case non sbarluccicano più sotto il sole abbacinante ed il marrone dei mattoncini insieme all’idea di Africa 2nd time lascia senza dubbio perplessi, ma si manda giù anche questa e tra una cosa e l’altra, il viola delle Jacarande, la bellezza delle persone, il rosso della terra ed il sole, questo Paese incanta un’altra zona di te, ti senti riconoscente perché qui nasci come prof di yoga, hai iniziato a distribuire tanta buona energia e funziona, le persone si sentono bene, hai cominciato a fare di professione quello che per tutta la vita volevi: il bene per gli altri! I ragazzi vanno a scuola cantando, i risultati per mio marito arrivano e sono strabilianti, facendo bene i conti, siamo tutti contenti.
Poi pero’ succede che all’improvviso, dall’alto, quelli che muovono i dadi decidano, senza alcun preavviso, di chiudere il tabellone con tutti i soldi finti e le casette e le pedine ancora dentro e ti chiedano senza esitazione di iniziare a giocare al gioco dell’oca. Fa niente se a Monopoli avevi già 18 allievi alle tue lezioni di yoga, se avevi ricevuto un merito a scuola come miglior allievo in scienze economiche, se avevi vinto la tua timidezza paralizzante e ti eri trasformato in un gioviale bambino di 9 anni felice e sicuro di sé, fa niente se hai portato a casa il primo premio nella graduatoria dei mega projects per il tuo settore professionale e hai fatto fare un figurone a quelli che tengono le pedine in mano. In effetti sei bravo. E giocatori ancora più grandi hanno comprato Monopoli e ne hanno fatto una fusione con il gioco dell’oca che risulta a dir poco confusa, cosi oltre a cambiare tutte le regole, se vuoi continuare a giocare è cosi che funziona d’ora in avanti: tu vai a seguire un altro progetto ad Hong Kong, ma siccome la fusion è costata tanto e adesso siamo in un momento di vacche magre e bisogna tagliare i costi, quindi le “espatriazioni” sono limitatissime, la tua famiglia torna a casa, in Svizzera, mentre tu fai sù e giù con la Cina, per altro in classe economica perché lo sai, le vacche magre, e per favore firma qui veloce veloce perché hai solo 3 giorni per pensarci su e tra le altre cose di’ anche bene “grazie” perché noi in te crediamo molto e quindi ti abbiamo proposto subito un nuovo incarico. Altri non hanno avuto questa opportunità, altri sono andati a casa, lo sai.
Ogni tanto pero’ devi fare una capatina a Parigi (la bella) perché là c’è il resto del tuo team (“ma allora forse ha più senso se mi sposto a Parigi, CI sposto, la mia famiglia ed io, cosi, per non dividersi magari, se non vi spiace.” “Ah, assolutamente no, le espatriazioni sono limitatissime, per via delle suddette vacche magre!”). Quindi è chiaro, il progetto è ad Hong Kong, il team a Parigi, ma il contratto è in Svizzera e la sede del lavoro a Zurigo (“potrei volendo rinunciare al sole e senza spiccicare una parola in svizzero-tedesco, essere disposto a spostarCI a Zurigo allora, purché mi veniate incontro per una scuola internazionale o perlomeno bilingue per i ragazzi, che hanno investito due anni e mezzo in Inglese e quella lingua cacofonica là si parla solo in quel Cantone e in nessun altro angolo pulciosi dell’Universo, se non vi spiace” “Ah, assolutamente no, le scuole internazionali le paghiamo solo in caso di espatriazione, per altro ora limitatissime. Il tuo è un rimpatrio, hai un contratto svizzero”). Altro giro, altro corsa, “les jeux sont faits messieurs- dames, rien ne va plus!”.
Ecco la differenza sostanziale tra emigrazione ed aspatriazione, secondo me. Ci sono molti aspetti che mettono in comune i due processi, li ho sperimentati di persona nei due modelli più di una volta: in entrambi i casi facciamo lo sforzo di imparare forse, o di perfezionare una lingua straniera, di integrare le nuove tradizioni ed i diversi stili di vita, in entrambi i casi forse le linee naturali attorno alle labbra si stringono un po’ più forte nei sorrisi con i quali cerchiamo di capire se la nuova maestra di nostro figlio sarà gentile con lui che non capisce una parola, o nei sorrisi con i quali cerchiamo di capire quanto durerà l’iter per ottenere la residenza o il visto di lavoro dal funzionario dell’ufficio emigrazione e se nel frattempo possiamo o meno aprire un conto in banca, iniziare a cercare una casa in affitto senza cui non abbiamo la possibilità di iscrivere i figli a scuola, acquistare un auto, aprire un contratto di telefonia mobile, etcetera etcetera. E’ simile la voglia di imparare presto a cavartela in un nuovo contesto, nella ricerca dei tuoi primi diversi riferimenti.
Quello che cambia è quanto si dipenda dai “giochi”, talvolta capricciosi, di aziende multinazionali per le quali conta la logica dei numeri. Sono aziende disposte ad occuparsi dei propri dipendenti, ad offrire loro un pacchetto spesso interessante nel quale le voci casa, scuola, copertura medica ed un paio di viaggi andata e ritorno con la base sono interamente presi a carico. Ma sono aziende e quindi rappresentano il tuo sostentamento e dire “no” equivale, nel mondo del lavoro odierno, perderlo quel lavoro che scarseggia.
La contropartita, usando la stessa metafora, è proprio che una volta mutati gli interessi che sono cosi al di là ed al di sopra delle nostre volontà, anche i nostri personali equilibri sono messi in ballo. E ballano da un momento all’altro, senza preavviso.
Dalla mia posizione di confine, ad una settimana dal nuovo “lancio” non nascondo che ballare mentre ci si sente in bilico e lievemente sospesi in questo limbo temporaneo, sia un po’ delicato.
Inizio ad avvertire un leggero capogiro e per non cadere devo guardare nell’unico luogo dove niente dipende da altri, cioé dentro. Cosi decido e raccolgo le ginocchia al petto, talloni a contatto con il corpo, riposo dolcemente la fronte sulle ginocchia che abbraccio facendomi piccola piccola, in una delle mie pose yoga preferite. Sento la pancia gonfiarsi con ogni inalazione contro le mie cosce e svuotarsi piano di tutta l’aria che contiene, con ogni espirazione. La schiena, animata dal respiro automatico si allunga e si stende allo stesso tempo in un piacevole stretch privo di qualunque sforzo, la fronte si appoggia sempre più pesantemente, sostenuta dalla dolce presa, alle ginocchia ferme. Li dentro trovo l’odore dell’ammorbidente sui miei vestiti freschi, il buio con il calore dello stesso respiro, cose piccole e vere che posso ritrovare sempre, ovunque io vada. Li dentro non c’è niente a parte tutta me stessa e questo non dipenderà mai da nessun altro che me. Lo posso portare ovunque, a giochi fatti o ancora da fare. Lo posso anche insegnare ad altri e far capire a cosa serva. Lo posso fare in tre lingue diverse, ed imparare una nuova lingua in cui tentare di farlo diversamente ma nella stessa maniera, la mia maniera.
Lo posso fare perché anche se non era una partita che ho giocato autonomamente, sono diventata anche più indipendente da certi vincoli giocandola e lo posso fare soprattutto perché grazie a questa partita qui, abbiamo vinto tutti di nuovo, perché siamo diventati più resilienti ancora.
Per tutto quello che mi hai fatto capire, conoscere e godere, grazie Joburg.
A tutto quello che sarà “Si, grazie”
Chi sono