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PSICOLOGIA. Artemide: lo spirito dell’indipendenza femminile

di Debora Previti
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SUPPORTO EXPAT: PSICOLOGIA

Artemide: lo spirito dell’indipendenza femminile

“Ogni diverso momento del mito ha un correlato nella vita reale”.

Artemide, nota ai romani come Diana, era la dea della caccia e della luna. Bellissima figlia di Zeus e Leto, vagabondava nel folto della foresta per montagne con il suo stuolo di ninfe e i suoi cani da caccia, vestita di una corta tunica. Armata di un arco d’argento e frecce, tirava con l’arco con una mira infallibile.

Era la sorella gemella di Apollo, dio del sole, nata prima di lui. La madre Leto era una divinità della natura, il padre, Zeus, il re dell’Olimpo. Il mito racconta che durante il travaglio Leto incontrò molti ostacoli: nessuno osava aiutarla, poiché tutti temevano la collera vendicativa di Era, moglie legittima di Zeus. Leto trovò rifugio sull’isola di Delo, e diede alla luce Artemide che, appena nata, aiutò la madre per nove giorni e nove notti durante il difficile travaglio di Apollo. Leto portò Artemide da Zeus al compimento del terzo anno d’età. Il poeta Callimaco la descrive seduta sulle ginocchia del padre che accarezzandola estatico diceva: “figlioletta mia, avrai tutto ciò che desideri”. Artemide chiese arco e frecce, una muta di cani con cui andare a caccia, ninfe che l’accompagnassero, una tunica abbastanza corta per correre, montagne e terre selvagge come luoghi tutti suoi e castità eterna. Il padre le concesse il privilegio di poter fare personalmente le sue scelte.

Artemide è l’unica dea che sia venuta ripetutamente in aiuto di sua madre, altre donne si rivolsero a lei con successo. Con coloro che la offendevano Artemide era spietata.

Il cacciatore Atteone, ad esempio, dopo aver guardato la dea e le sue ninfe che si bagnavano in uno stagno, fu trasformato in cervo così che i suoi cani si scagliarono contro il loro padrone e lo sbranarono.

Artemide uccise l’uomo da lei amato: Orione. Un giorno Apollo vide Orione nuotare in mare, con la testa a pelo d’acqua; poiché si sentiva ferito da quell’amore, sfidò la sorella indicandole un oggetto scuro nell’acqua e le disse che non sarebbe riuscita a colpirlo. Provocata dalla sfida e non sapendo che l’oggetto nell’acqua fosse la testa dell’amato, Artemide scoccò una freccia che lo uccise. Successivamente la dea pose Orione fra le stelle e gli diede uno dei suoi cani, Sirio, la stella principale della costellazione del Cane, che lo accompagnasse nei cieli. Così, il solo uomo da lei amato  fu vittima della sua natura competitiva.

Artemide è la dea della vita selvaggia, in particolare viene associata a molti animali selvatici: il cervo, la lepre, la quaglia, che hanno in comune con la dea una natura sfuggente. La leonessa era il simbolo della sua regalità, l’orso il suo aspetto distruttivo ma anche il simbolo del suo ruolo di protettrice dei piccoli. Fu considerata la dea del parto poiché fu levatrice di sua madre e le donne si rivolgevano a lei come “soccorritrice nel dolore, lei che dal dolore non viene sfiorata”. Benché conosciuta come dea della caccia, Artemide era anche la dea della luna: era a suo agio di notte, quando vagabondava nel suo regno selvaggio alla luce della luna o di una torcia.

L’archetipo – o modello di comportamento – Artemide è la personificazione dello spirito femminile indipendente. L’arciera poteva mirare a qualsiasi bersaglio sapendo che le sue frecce l’avrebbero raggiunto immancabilmente. L’archetipo Artemide dà alla donna la capacità innata di concentrarsi su qualsiasi cosa consideri importante e centrare il suo obiettivo.

Sono sicura che molte delle “donne che emigrano all’estero” abbiano riconosciuto immediatamente la propria affinità con la dea, altre invece possono accorgersi di voler fare la sua conoscenza. In che modo possiamo coltivare Artemide?

Talvolta sono necessarie misure drastiche ed emigrare può divenire una decisione affine al proprio spirito di indipendenza. Quando una donna esce dalle sue quattro mura per un viaggio, o va alla ricerca di ideali femminili, sta coltivando l’Archetipo Artemide. In particolare, andare per luoghi selvaggi, implica il riconoscimento di una dimensione “selvaggia” dentro di sé, affine con il mondo della natura.

Grazie a questo blog, ho conosciuto donne che hanno inseguito Artemide nelle regioni quasi deserte dell’Australia, altre nell’Irlanda più disabitata o presso luoghi lontani dell’Indonesia.

La dimensione Artemide si riflette nel movimento femminista, che ha dato luogo all’istituzione di organizzazioni femminili che si occupano di donne e bambini vittime di violenza e maltrattamenti, e ha portato in primo piano il parto sicuro e il ruolo della levatrice. Oggi leggiamo i blog di quelle donne Artemide che sono partite con lo zaino in spalla e ci raccontano delle loro esperienze di gruppo alternate con solitarie esperienze di sopravvivenza.

Quando il mito si rivela nella sua interezza, rivela altresì aspetti bui, che siamo portate a nascondere in modo più o meno consapevole.

Vi è infatti un aspetto tragico caratteristico della dea: in quanto dea vergine, Artemide era immune all’innamoramento.

Se da un lato la sua identità e il suo proprio valore dipendono da ciò che è e da ciò che fa – e non dal fatto di essere sposata o con chi – dall’altro la “fredda” Artemide è talmente concentrata sui propri obiettivi, da non notare i sentimenti di chi le sta accanto. Come risultato di questa sua disattenzione, le persone per le quali lei è importante si sentono insignificanti ed escluse, e quindi ferite o arrabbiate. La donna Artemide può essere altresì spietata, aspetto che appare quando giudica le azioni altrui in termini di bianco e nero, senza sfumature. In questa prospettiva, ciò che è tutto cattivo o tutto buono non è soltanto l’azione, ma anche la persona che la compie, e perciò quando infligge una punizione si sente giustificata.

Per andare oltre l’archetipo Artemide la donna deve sviluppare il suo potenziale più inconscio, la sua ricettività, l’attenzione al rapporto.

In altri termini, deve diventare vulnerabile, imparare ad amare e a prendersi cura di un altro essere. Quando ciò accade, può essere solo attraverso un rapporto, in genere con un uomo che la ama, talvolta con un’altra donna o con un figlio. Questa evoluzione può aver luogo soltanto dopo che la donna Artemide ha tirato “tutte le sue frecce”, dopo aver puntato a una serie di obiettivi, dopo aver perduto il brivido della caccia e della gara, o dopo che rincorrere una meta è diventato un obiettivo superato. Non è escluso che un uomo che la ama debba aspettare fino a questo momento, e fino a quando Afrodite non viene in suo aiuto.

Se una donna Artemide incontra Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, per amore di un’altra persona, allora la sua unilateralità, per quanto soddisfacente possa essere stata, farà posto alla possibilità di realizzare una completezza. Può acquisire il senso della dimensione interna e diventare consapevole di aver bisogno tanto dell’indipendenza quanto dell’intimità”.

Alla dea Artemide che è in ognuna di noi, perché possa un giorno divenire vulnerabile.

Con phatos, Debora, Phuket – Thailandia   


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2 Commenti

Solare 02/05/2017 - 03:12

Bello questo tuo racconto che si conclude con la descrizione della donna reale definita fra archetipo e realtà . Adesso capisco perché a volte mi sento frustrata nella vita stanziale: non ho ancora tirato tutte le mie frecce!

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laura 02/05/2017 - 10:56

Bbello che qualcuno si – e ci – ricordi ancora che il mito aveva una funzione didattica ai tempi dell`Antica Grecia: mi fa riflettere su quante volte ho pensato di essere `egoista` solo per non aver provato alcuna vergogna nel non avere paura. Il senso di invulnerabilita` che viene da una conoscenza delle proprie capacita` (siete anche voi state accusate spesso di avere un EGO troppo grande invece che di avere semplicemente fiducia nelle vostre capacita`?) e` quello che mi ha spinto a essere dove sono oggi. E ne vado fiera.

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