Shanghai in cinese significa “Sul Mare”, ma qui il mare non si vede praticamente mai, è troppo lontano, solo un’immensa distesa di asfalto e cemento incredibilmente piena di vita.
Shanghai, la città più popolosa della Cina, ricca di storia e di storie, di tradizione e di modernità, la Perla d’Oriente. Pur essendo profondamente cinese, Shanghai è sempre stata intrisa di cosmopolitismo, il simbolo della straordinaria evoluzione della Cina negli ultimi quindici anni, di rinascita. Dalle guerre dell’oppio in poi, i suoi porti sono stati aperti al commercio con l’estero e la città si è storicamente “concessa” ad America e Regno Unito, ma soprattutto alla Francia, tanto che ancora oggi ci si riferisce ai distretti di Huangpu e Xuhui come “Ex Concessione Francese”. Non c’è da meravigliarsi dunque che Shanghai sia tutt’oggi forse la più accogliente per gli stranieri, dove si subisce meno lo scontro culturale con la realtà cinese. Qui capita spesso di passare serate in compagnia di persone provenienti da tutto il mondo, ogni giorno si ha la fortuna di conoscere qualcuno di nuovo. C’è chi è appena arrivato con una valigia piena di entusiasmo, chi da anni non fa che sopravvivere ma non riesce ad andare via e chi invece qui ci sta bene, forse perché un po’ matto, come d’altronde tutti quelli che sono arrivati fino a Sul Mare. La maggior parte degli expat a Shanghai ci si sono trovati per caso, molti accettando un offerta di lavoro inaspettata, in cerca di un futuro migliore nella “Nuova America”.
Per me non è stato così. Ho scelto di studiare cinese all’università proprio per poter un giorno vivere qui, spesso chiedendomi “ma chi me l’ha fatto fare?!“ e maledicendo il giorno in cui ho deciso di imparare a leggere, scrivere e parlare una lingua così complessa. Tuttavia non ho mai pensato un solo secondo di intraprendere altre strade. Mi sono specializzata in traduzione e quindi sono più disinvolta a leggere e scrivere piuttosto che fluente nel parlato, ma dopo la laurea mi sentivo pronta a partire e mettere in pratica quello che ho appreso in anni di studio. Appena trasferita a Shanghai però, ho incontrato la prima enorme difficoltà: lo shanghaiese. All’università si studia il mandarino, la lingua ufficiale, quella che si parla a Pechino per intenderci, niente a che vedere con il dialetto. La differenza tra il mandarino e i dialetti cinesi è abissale, i dialetti sono delle lingue a sé stanti, il che significa che a meno che il mio interlocutore non fosse abbastanza colto e gentile da rivolgersi a me in mandarino, potevo prendere tutte le mie conoscenze pregresse e metterle da parte. Nel primo periodo in Cina, questo scoglio linguistico mi ha dunque posto allo stesso livello di tutti quelli che vivono e lavorano a Shanghai senza parlare una parola di cinese, il che, aggiunto a tutti gli altri traumi normalmente collegati all’espatrio e alla cospicua distanza da casa, mi ha fatto sentire parecchio frustrata e mi ha portato a chiedermi se tutto l’impegno e il tempo passato sui libri avesse effettivamente valore.
Oggi, a distanza di un anno e mezzo dal mio arrivo, durante la giornata parlo per la maggior parte in cinese, ho addirittura imparato alcune parole in dialetto e a scimmiottare l’accento shanghaiese, utile quando mi capita di parlare con persone anziane che non sono abituate ad esprimersi in mandarino. Vivo all’ombra dei grandi grattacieli di Pudong, in un “quartiere modello”, ovvero un complesso condominiale standard come ce ne sono a migliaia e nel quale abitano centinaia di persone, e sono l’unica lǎowài (“straniera”) del mio quartiere. Nonostante il mio cinese abbia fatto passi da gigante nell’ultimo anno, la signora del primo piano mi guarderà sempre con grande curiosità, la fruttivendola sotto casa continuerà ad essere divertita ogni volta che comprerò qualcosa nel suo negozio e i bambini resteranno impietriti a guardarmi, a metà tra timore e meraviglia. Ci si abitua presto a sentirsi osservati qui, a volte qualcuno ti fotografa di nascosto con il cellulare. Tuttavia non si ha la sensazione di essere scherniti e non si può parlare di razzismo, solo tanta curiosità e simpatia per il “vecchio straniero”.
Per quanto accogliente sia Shanghai però, noi expat non apparteniamo a questo posto, ogni giorno ci scontriamo con situazioni che non comprendiamo e con difficoltà linguistiche, burocratiche e logistiche, e tutti sanno che ABCD qui non corrisponde alle prime lettere dell’alfabeto ma piuttosto all’acronimo di Another Bad China Day (un’altra brutta giornata in Cina). Vivere qui spesso ti fa sentire come in una corsa perpetua sui seggiolini volanti alle giostre, ci vuole una bella spinta per partire e si prendono parecchi calci per acchiappare il “codino”, ma si ha anche la sensazione di poter chiudere gli occhi e volare, sentire il vento tra i capelli, sentire che vivi, accarezzando con le dita tutte le possibilità che solo l’immensa contraddizione di una città come Sul Mare “lontana dal mare” può offrire. Quindi aspettiamo il prossimo giro di giostra, senza mai perdersi d’animo, perché come mi disse una delle prime sere un signore americano residente a Shanghai da più di dieci anni e un po’ alticcio, «Shanghai è la piattaforma su cui puoi costruire i tuoi sogni».
1 Commento
Salve,innanzitutto mi complimento per il blog,molto fresco,scorrevole ed estremamente originale.
Anch’io sono un italiana che ormai da circa un anno vivo all’estero,precisamente a Miami.
Ho deciso di abbandonare quei scenari sempre più grigi e incerti offerti dalla nostra bella e amata Italia.
Non è mai tardi per cambiare la nostra vita!!!…Che sia a 20,a 30, a 40 o a 50 anni , a volte i sogni possono diventare realtà.
Mollar tutto, trasferirsi dall’altra parte del mondo,al caldo,vicino al mare, dove la gente ha sempre il sorriso sulle labbra e non la classica espressione di chi ormai si è arreso,è fattibile per tutti ,occorre solo una buona dose di coraggio,un pizzico di follia e la voglia di esser felici.