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BILINGUISMO: quante lingue si possono mantenere?

di Giovanna Pandolfelli
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Quante lingue si possono parlare e come si possono mantenere?

Il mantenimento della lingua minoritaria non rappresenta una minaccia al corretto sviluppo del bambino, né alla sua riuscita scolastica.

Spesso i genitori, preoccupati di danneggiare il bambino, si domandano quante lingue si possano introdurre nella vita del proprio figlio. Domanda legittima. Specie nei casi di famiglie miste in cui già da parte di un genitore entrano in gioco due o più lingue, il desiderio di mantenerle tutte è spesso frenato dal timore di creare confusione nel bambino. 

Va premesso che ogni situazione è a sé e sta al genitore decidere in base anche ai propri sentimenti come regolarsi su quali e quante lingue introdurre. 

A volte si desidera mantenere un legame, seppur flebile, con una lingua ormai quasi dimenticata o mai realmente assimilata per ragioni di affetto, di memoria familiare. Altre, si preferisce spezzare il legame per motivi personali e la lingua diventa la bandiera di questo legame con la cultura di riferimento, ma in fondo, e neanche tanto in fondo, con la persona o la vita che queste lingua e cultura rappresentano.

Quindi la decisione di un genitore è prettamente personale e rimando sempre alla pianificazione della strategia familiare per evitare sorprese da parte di uno dei partner, non avendo ben calcolato le reazioni proprie e dell’altro.

Tuttavia, nulla ci mette al riparo dagli imprevisti, ma sapere da dove questi possono avere origine ci aiuta già a prepararci per affrontarli.

Dopo questa necessaria divagazione, torniamo alle nostre lingue: quante ne può imparare un bambino simultaneamente?

Un criterio certamente riduttivo, ma che può essere un punto di partenza per prendere una decisione, è considerare che per raggiungere la padronanza di una lingua è necessaria in genere un’esposizione di circa 20 ore settimanali.

Con un calcolo approssimativo, dunque, si potrebbe ipotizzare un massimo di 4 lingue. Ovviamente questo calcolo matematico va preso con le dovute precauzioni.

Innanzitutto è abbastanza difficile che si riesca ad esporre il bambino ad esattamente 20 ore settimanali per ogni lingua. Inoltre, anche se fosse possibile, bisognerebbe vedere se il livello di conoscenza raggiungibile con questo ritmo di esposizione corrisponda alle nostre aspettative ed esigenze.

Non va dimenticata la personalità del bambino, il quale avrà esigenze individuali, preferenze, inclinazioni. E’ assolutamente naturale avere una preferenza o una facilità per l’una o l’altra lingua, così come lo è per gli adulti.

Inoltre, la qualità dell’esposizione dovrebbe essere paragonabile per ogni lingua e anche questo è piuttosto raro. Essere esposti a programmi televisivi in una lingua è diverso da avere un amichetto che parla e gioca con il bambino.

Dunque il consiglio, nel caso della presenza di più di due lingue, è di ponderare bene quali lingue si vogliano mantenere e le opportunità concrete che si hanno per farlo.

Ad esempio una nonna ispanofona può essere un ottimo stimolo per mantenere la lingua spagnola in una famiglia già bilingue con altre lingue. Va comunque tenuto conto che probabilmente non tutte le lingue raggiungeranno lo stesso livello; è opportuno quindi decidere se e come pianificare il mantenimento di una terza o quarta lingua, eventualmente lasciando che rimanga a livello orale e di comunicazione di base, potenziando invece le prime due lingue anche nella letto-scrittura.

Lingua dominante e minoritaria

Il bambino che abbia appreso le sue lingue sin da piccolo potrà avere una buona padronanza di entrambe. Ciononostante va tenuto conto che nella stragrande maggioranza dei casi una delle lingue risulterà dominante rispetto all’altra.

In base all’età e al vissuto del bambino, la lingua dominante può essere quella del genitore o della persona che lo ha accudito per più tempo e che trascorre la maggior parte del tempo con lui.

Questa lingua può coincidere o meno con quella parlata nell’ambiente in cui vive la famiglia, che chiameremo «lingua comunitaria». Questa è di solito la lingua del Paese in cui vive la famiglia,  ma può anche essere la lingua parlata dalla comunità che la mamma frequenta.

Ad esempio, una mamma filippina che vive in Italia potrebbe frequentare maggiormente altri suoi connazionali e il bambino si troverebbe a contatto maggiormente con la lingua parlata nella comunità piuttosto che con l’italiano, almeno per i suoi primissimi anni di vita. Tutto ciò assume aspetti diversi nel momento in cui subentra la scuola e questo lo vedremo più avanti. Se il bambino è inserito al nido ovviamente sarà esposto, in aggiunta, alla lingua del nido.

Molti genitori sono preoccupati del ruolo che la lingua minoritaria possa svolgere e soprattutto di come mantenerla.

Per lingua minoritaria si intende la lingua con meno possibilità di esposizione e di contatto per il bambino, in genere la lingua di uno dei due genitori ospiti nel paese di residenza. 

Nei bilingui c’è sempre una lingua dominante ed una minoritaria.

Qui deve entrare in gioco tutta la disponibilità del genitore che rappresenta il riferimento per quella minoritaria e, soprattutto, la sua creatività. Già dai primissimi anni di vita il genitore della lingua minoritaria sarà chiamato a impegnarsi nel mantenimento della stessa. Ma attenzione: in un progetto familiare di bilinguismo, il mantenimento della lingua minoritaria non è appannaggio o responsabilità solo del genitore referente per questa lingua. Se il progetto è familiare significa che tutta la famiglia, primi fra tutti entrambi i genitori, devono idealmente esserne partecipi. 

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Il divario tra la lingua dominante e quella minoritaria può variare da caso a caso e può subire modifiche nel tempo, in base alle opportunità di esposizione alle lingue stesse.

Nei casi di migrazione, spesso è la lingua di origine a divenire minoritaria, in quanto il bambino sarà poi immerso nella lingua del Paese ospitante.

Oggi si sa che mantenere la lingua di origine è nell’interesse del bilingue, e non rappresenta affatto un ostacolo all’integrazione, anzi ne è un veicolo facilitatore. Vedremo nel dettaglio più avanti i vantaggi del bilinguismo individuati dalla ricerca e il dibattito scaturito intorno a questi esiti.

Qualsiasi sia la nostra posizione a riguardo, possiamo comunque stare tranquilli sul fatto che il mantenimento della lingua minoritaria non rappresenta una minaccia al corretto sviluppo del bambino né alla sua riuscita scolastica. In un progetto familiare di educazione bilingue è dunque opportuno considerare che la lingua minoritaria o di origine sarà la più vulnerabile e quella che richiederà più cure e impegno da parte dei genitori, essendo la dominante in genere lingua del paese di residenza, lingua di istruzione scolastica, lingua veicolare per il contatto con l’ambiente esterno e con i coetanei.

Vedremo la prossima volta come procedere per mantenere la lingua minoritaria.

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4 Commenti

Antonella 23/04/2018 - 12:55

ciao,
bello e interessante leggere i vari aspetti di cui parli. Mi occupo anch’io di bilinguismo e vivo in Svezia. Grazie!

Rispondi
Giovanna Pandolfelli 06/12/2018 - 13:19

Ciao Antonella, grazie del commento, cosa fai in Svezia sul bilinguismo?

Rispondi
Ramona 10/08/2018 - 21:51

Ciao,
Ho una figlia di 8 anni che parla bene sue lingue ed una terza quasi. Ogni bambino naturalmentte è diverso come dici anche tu. interessante il tuo articolo Complimenti!

Ramona ANTWERPEN

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Giovanna Pandolfelli 06/12/2018 - 13:20

Ciao Ramona, grazie del commento, non siamo lontane io sto in Lussemburgo e mio marito viene da vicino Anversa!

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