Pensavo di conoscerla la Turchia.
Ormai sono 4 estati che ci lavoro, e questo è il secondo inverno che passo in questa terra, in buona parte a contatto con i Turchi, vivendo come vivono loro, non come turista..
Non sono mai stata una vera turista, mi definirei più una viaggiatrice (anche se lo ammetto: amo le fotografie come una vera turista e la prima volta che mi trovo in un posto sembro una pazza che fotografa ogni cosa!).
Le prime due estati vivevo in un villaggio di italiani, quindi per lo più restavo a contatto con la mia cultura esportata all’estero. Eppure spesso uscivo con i “locali”, sicuramente più spesso che con gli italiani. Mi portavano a mangiare le cose più strane nel bel mezzo della notte, nei locali, nei piccoli caffè, sulle spiagge frequentate solo o quasi da turchi, nei ristoranti con tutti i loro piattini, mezes, e con l’immancabile Rakı..
Anche nelle estati seguenti ho lavorato con ospiti italiani, ma parlando la lingua turca riuscivo a vivere meglio la realtà locale, ed uscendo con ragazzi turchi imparavo man mano le usanze locali, seppur trovandomi in un luogo turistico.
Lo scorso inverno però l’ho passato in un paesino di montagna nella parte nord est della Turchia, una realtà tutt’altro che turistica, tanto che quando ho richiesto il permesso di soggiorno neppure i poliziotti sapevano indicarmi le procedure da seguire, ed io mi sono sentita come l’unica straniera del paese intero! Era un mondo più chiuso rispetto a quello turco dei villaggi turistici dove avevo lavorato, più tradizionale, più critico nei confronti di una straniera. Ho imparato a giocare a Okey e Tavla, ho imparato delle ballate di alcuni piccoli paesini, ho imparato a cucinare alcune specialità tipiche turche. Spesso i miei amici locali si stupiscono che sappia come si cucinano certi piatti, o che sappia giocare ai giochi di società tipici a cui a volte nemmeno loro sanno giocare. O ancora: restano sorpresi quando, vedendo che cercano una canzone (turca) su Shazam, anticipo loro titolo ed artista. “Li sai tu e non noi?” mi dicono.
Eppure mi rendo conto che ancora troppe volte mi sento una straniera a disagio nel non sapere come comportarmi, nel non conoscere battute o modi di dire della lingua per esempio. Se due turchi scherzano e ridono tra di loro ancora difficilmente riesco a capirli del tutto, e mi sembra sempre di essere il motivo delle loro risa. Quando, durante queste scambio di battute, rivolgono una domanda direttamente a me e vedono chiaramente dalla mia espressione che non ho idea a cosa si riferiscono.. mi sento decisamente in imbarazzo e il più delle volte rinunciano addirittura a spiegarmi ‘il tal detto’ dicendo che non capirei..
E ancora: entrando in casa di una donna “vagamente anziana”, non so mai se devo fare il saluto che ho imparato a fare in certe occasioni: prendere la sua mano sinistra, baciarla e portarmela a toccare la fronte. Una forma di rispetto, tipo un “grazie per avermi accolta in casa tua”. Ma non ho ancora capito se questo gesto va fatto sempre o meno.
La stessa cosa vale per le formule usate per esprimere rispetto alle persone. Mi spiego: qui in Turchia dopo il nome proprio della persona si usa un altro nome che varia a seconda del sesso, dell’età e del grado di parentela della persona a cui ci si rivolge. Per esempio ad una ragazza più grande si dice abla (sorella), ad un ragazzo più piccolo kardeş (fratello) e ad uno più grande abi. Questa regola si applica a qualsiasi persona, dalla commessa al conducente del bus, insomma, si usa con degli sconosciuti! Ma io come faccio a sapere se quella persona ha più o meno anni di me? Non so mai quale parola usare, e se non la uso è segno di maleducazione!
Inoltre per le donne si usa abla fino ad una certa età, ma se sono più mature si deve dire teize (zia). E per l’uomo più maturo invece di abi si userà amca (zio). Io sono sempre in dubbio sull’indovinare quanti anni ha e a decidere quindi se usare la formula più giovanile o quella più anziana.
Altra storia quando si va al ristorante a mangiare mezes (antipastini): ne conosco sempre la metà e alla domanda’cosa vuoi mangiare? ‘rispondo inevitabilmente ‘fate voi!’.
Ma poi tanto mi chiedono immancabilmente ‘questo/quello ti piace?‘ e quindi io cado dal pero e ammetto che la maggior parte di quei piatti mi è del tutto ignota. E finiscono per farmi sentire come una vera turista.
Inoltre, per quanto ormai parli correntemente il turco pur facendo qualche errore ogni tanto, capita troppo spesso il tipo che parla super veloce: mi parla ed io capisco meno della metà di quanto ha detto e mi chiedo dunque: “che cosa ho imparato fino ad ora?”.
Certo, conoscere le sfumature di una lingua non è cosa facile, non le conosco tutte nemmeno in inglese, che ho studiato, e probabilmente nemmeno in italiano, figuriamoci in turco, però l’imbarazzo rimane!
Ricordo che lo scorso inverno il mio ex si arrabbiava spesso con me perchè mi ‘guardavo indietro‘: camminando, alla fermata del bus, in coda al bancomat, quando sentivo qualche suono come due auto che si erano urtate, o qualche frenata stridente.
A me veniva naturale, ma lui mi ripeteva ogni volta che qui, o perlomeno nella parte nord est della Turchia, le donne non usano girarsi indietro a “controllare cosa è successo”. Proseguono come nulla fosse e basta. E io non ci riuscivo, era più forte di me! Ma così facendo avrei attirato l’attenzione, diceva lui.
Sempre in quelle zone là non sarebbe possibile girare mano nella mano se non si è sposati. E infatti ci sono ancora parecchie coppie non sposate che girano a braccetto.
Ora, non dico che lo facessero tutti, anzi. Ma spesso, vedendo una coppia, lei con i capelli coperti, che girava a braccetto rimanevo colpita da questa usanza per me molto antica. Noi giravamo mano nella mano, a volte anche abbracciati (tra gli strati di mille maglioni e giacche con i -20° che c’erano fuori). Quando c’era poca folla e nessuno ci osservava ci scambiavamo addirittura un bacio veloce.
Non è che ti vengano ad arrestare se lo fai, solo magari qualche anziano ti guarda un po’ male. Oppure un paio di volte, in un caffè, dove ci siamo scambiati un bacio, il cameriere è venuto a dirci “andateci piano ragazzi!”Andateci piano? Manco stessimo limonando.. era un bacetto veloce, giuro!!
Il mio ex si arrabbiava più di me, che ho sempre avuto la capacità di adattarmi alle usanze e abitudini del posto (tranne quella di non guardare indietro, quella no!).
Quando siamo andati in Italia per un mese ci sembrava strano poter girare per strada sempre abbracciati, baciarsi anche se c’era gente. Lui si è adattato subito a questa cosa e io anche onestamente, ma al ritorno in Turchia è stato più difficile ri-abituarsi.
Ora che vivo a Canakkale e giro sempre e solo con amici turchi, per quanto di mentalità molto aperta ed occidentalizzata, mi capita però davvero spesso di non essere a conoscenza di molti tratti della loro cultura, delle loro abitudini.
Mi sento a casa, eppure una straniera.
E mi chiedo: “quando riuscirò a sentirmi davvero parte di questo popolo? Quando imparerò a comprendere i gesti di rispetto, le abitudini, le sfumature della lingua?”
Ce la farò? Quanto ci vorrà?
2 Commenti
Io ho abitato a Milano, in Italia per 6 anni, percio direi che capisco bene cosa intendi a dire dell’uso della lingua, la cultura locale e le abitudini. Non e’ un’esperienza facile ( penso che sia piu difficile per un turco) pero ti cambia tanto e capisci meglio il mondo alla fine. Buon avventura.Ender.
Hai ragione. E’ un’esperienza che insegna tanto su se stessi..e sugli altri..
Un grande lavoro ma direi che ne vale la pena!!!
Grazie e buona fortuna anche a te!
Federica