Che lavoro fai?
“Che lavoro fai?”
Credo che per la maggior parte di noi non ci sia altra domanda che permetta di identificarci e di svelare agli altri la nostra vera natura, e che possa anche, talvolta, disturbare il nostro io interiore.
Non è un fatto biologico, ma un condizionamento sociale.
Quando conosci una persona nuova, generalmente dopo il nome e la provenienza arriva la fatidica domanda sulla tua occupazione: “che lavoro fai?”.
Stessa cosa con la tua cerchia di amici.
Passati gli anni spensierati dell’università, molto del tempo trascorso assieme lo dedicate a parlare del lavoro. C’è chi lo fa con soddisfazione, chi meno, chi trasuda dedizione e impegno, chi fatica. C’è chi spettegola sulle beghe tra colleghi e chi sorride dello spirito goliardico in cui talvolta si ha la fortuna di essere immersi.
Ci hai mai fatto caso? Probabilmente sì.
Io ho iniziato a prestarci davvero attenzione da quando mi sono trasferita qui a Norimberga.
Nei ritrovi tra expats, alla domanda “Was bist du von Beruf?” (traduzione letterale dal tedesco “cosa sei di professione?”), rispondo un po’ imbarazzata che studio tedesco.
Ebbene sì. Ammetto di sentirmi un po’ a disagio a dire a che a 33 anni sono tornata a “fare la studente”, mentre gli altri hanno un lavoro e magari una carriera soddisfacente.
Penserai che non è bene paragonarsi agli altri e bla bla bla… ma ti sfido a non averlo fatto almeno una volta nella vita.
Eppure, fino a sei mesi fa, a questa domanda avrei tranquillamente risposto “faccio questo”, conferendomi sicurezza e attribuendomi valore agli occhi del mio interlocutore.
Lei lavora = lei vale.
Quest’equazione bastava, perché in linea con le aspettative che gli altri avevano nei miei confronti. Poco importava poi se ero davvero soddisfatta del lavoro e se esprimeva al meglio la mia vera essenza e le mie capacità.
All’inizio è stato davvero difficile anche solo immaginare di rimettermi in gioco, avendo comunque la fortuna di poterlo fare davvero.
Mi sentivo come nella canzone di Lorenzo, “Un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te ma ti guardi intorno e invece non c’è niente“. Tutto per me era in potenza, ma nella realtà non c’era: non il luogo, non il tempo e non il lavoro.
Un buco nero che fagocitava ciò che fino a lì avevo costruito: questo si immaginava la parte di me che sguazzava allegramente nella mia zona di comfort. Quella parte era irrequieta perché era uscita dalla logica “faccio-quindi-sono”, ma doveva accontentarsi di “essere-in-divenire”.
Per la mia indole pragmatica sempre in fermento e progettazione, l’attesa rappresentava un ingrato lavoro da dover compiere.
Avevo fatto un passo indietro e mi ero dovuta fermare a riflettere. Ma avevo anche deciso di dare una svolta alla mia vita personale, e non solo! Questo portava a un grosso punto interrogativo: “ora cosa faccio?”
Già tempo addietro una parte di me dovette fermarsi ed osservarsi per un po’.
Sapevo che con una buona dose di pazienza sarebbe arrivato anche il momento per la mia sfera professionale. Ed eccolo arrivato! Eccomi nel bel mezzo della creazione di una mia “identità lavorativa”.
Ma vallo tu a spiegare agli altri, chiunque essi siano, i quali sembrano vederti in un non specificato limbo ai limiti del loro mondo.
Infatti, in un’ottica comunitaria in cui vali per quello che produci, chi non contribuisce viene percepito in maniera diversa e, talvolta, estraniato.
Sia chiaro: credo che sia giusto che ognuno di noi partecipi attivamente allo sviluppo della società. Penso che sia altresì legittimo che ciascuno possa decidere di ricercare il suo giusto collocamento in essa. E a volte ci si impiega del tempo, si fanno dei passi indietro, ci si ferma e forse pure ci si perde.
Altrimenti dovrei tornare a nutrire le folte schiere dei lamentosi, anche se non credo che Matteo me lo permetterebbe… ma questa è un’altra storia 🙂
Chi sono
10 Commenti
Mi sono sentita così tante volte, e devi dire che vale sempre la pena ricominciare da zero se poi si trova la nostra vera identità!
Sono pienamente d’accordo con te Marianna e sono sicura che anche per me, alla fine, ne sarà valsa la pena! 🙂
Se c’è un paese dove non ti giudicherebbero mai se studi “solo” la lingua è proprio la Germania. Io li trovo un sacco flessibili nel lavoro e nel reinventarsi mentre io sono cresciuta con l idea del posto fisso. Comunque siamo vicine, anche io sto da quelle parti ormai da 6 anni 🙂
Ciao Manu grazie del supporto. Ma che bello che vivi anche tu qui vicino, ci potremmo conoscere personalmente se ti fa piacere. 🙂
Ciao Giulia, bellissimo articolo, mi ha dato tanta carica. A breve lascerò la mia città, Foggia,per trasferirmi a Norimberga. Non vedo l’ora di iniziare questa esperienza.
Ciao Arcangela, grazie! Sono felice di averti data molta carica e in bocca al lupo per il tuo prossimo trasferimento a Norimberga. Se hai bisogno d’aiuto, di un consiglio, o solo per una chiaccherata assieme scrivimi pure, volentieri! 🙂
Ciao Giulia, mi sono imbattuta nel tuo blog, bell’articolo complimenti!!condivido a pieno, si deve scacciare la negatività e si deve fare ciò che si sente che ci fa stare meglio. Brava!!
Ciao Alice, grazie del supporto e sono felice che ti sia piaciuto l’articolo. Noi donne siamo piene di risorse, tra cui la resilienza e il coraggio credo siano le nostre doti migliori e bisogna tirarle fuori in continuazione! 🙂
Ti ammiro davvero tanto! buono studio e un in bocca al lupo di cuore per tutto!
Grazie Giulia e crepi! 🙂