…leggere le storie delle altre donne, oltre a forza e coraggio, mi trasmette quei valori tipici di chi va ma anche resta, di chi vive sopravvivendo e di chi sopravvive vivendo, di chi è la forza delle proprie scelte che decide di condividere affinché possano essere fonte di ispirazione e occhi sul mondo per chi ha la sensibilità di camminare nelle scarpe altrui.
Feliciana Chiaradia
Chiedetemi se sono Felice
Ma il viaggio non era più quello della Freccia Bianca Foggia-Bologna, con tre valigie, un mare di salsicce, una nduja“per fare amicizia” (come dice nonno), i pompelmi del giardino, mamma che fuori dal finestrino piange, papà che si tiene le lacrime e i piccoli che non vedono l’ora di andare al Mc sulla strada, che dista due ore di viaggio e sono dure.
Perché Bologna è una regola, e non vi nascondo che mi manca.
Gli amici nuovi, quelli ritrovati, l’amica di sempre; la vita del campus, l’america negli occhi dell’ex fidanzato americano, piazza Santo Stefano per leggere e la freccia di Corte dei Fiesolani che solo se mi posiziono vicino alla seconda colonna alla mia destra, quella più esterna, riesco a mostrarla al ragazzo di Porto e alle due ragazze di Beirut che passavano a trovarmi in Couchsurfing. Quando prendi un treno è sicuro che cresci, che impari a fare attenzione a non andare in prima classe con il biglietto da 9,50 euro di seconda, anche se sono le cinque di mattina e sul regionale veloce che da Bologna porta a Padova non c’è alcuna indicazione. E il ponte Stalingrado che ti piega gli ombrelli, la piadina crudo-rucola-squocquerone del Mercato di Mezzo e Via delle Pescherie Vecchie che ti illumina di immenso.
La Funivia, Piazza Malpighi che profuma di lavanda a Natale, di rose a maggio e al lume candela in estate.
Poi Sala Borsa, i biglietti del Tper della domenica, l’aeroporto Marconi e i cannoli al pistacchio di Nonna Caterina che quando ho lasciato casa, il 13 di Ottobre di quest’ anno, da quella stessa Puglia non prendevo più il treno e mamma piangeva ancora di più ma non era venuta. Ero sola con papà e una valigia che speravo pesasse meno di 15 kg, stracolma, senza più nduja per fare amicizia, che vaglielo a spiegare ai nonni che nel bagaglio a mano non la posso portare.
Dopo i primi vani tentativi di rifiuto ho accettato i taralli, i caciocavalli, le crostate che le nonne facevano affinché le portassi con me in Spagna, che non se ne facevano una ragione, che “a Bologna le hai sempre portate“. Allora le portavo a casa, le lasciavo ai miei fratelli che ci avrebbero fatto merenda.
E partivo, e parto.
Una volta ho visto la neve, allo svincolo di Palaggiano e poi sull’aereo per Bergamo e da Bergamo anche su quello per Barcellona. Ero felice ma piansi.
Avrei cambiato quella casa in cui vivevamo in nove e non avevo luce perchè l’unica finestra era sul cortile interno e nessuno si accorgeva della tua “roba” stesa, quando fumare è la priorità.
Ricordo che piansi mentre chiamavo un taxi, con tre valige enormi, uno stendino e una stampante. Ricordo che piangevo e asciugavo le lacrime con la sciarpa mentre andavo a salutare il mio amico senzatetto, un sessantenne romeno che se gli compri del pane ti abbraccia anche se hai solo 20 cent. Non ti rimprovera mai il fatto che, in Avinguda Gaudì, non ci compri neanche un caffé.
Ricordo che smisi di piangere solo quando vidi l’ascensore di Travessera de Dalt, 122.
Era il cinque di Gennaio. “Anno nuovo, vita nuova”. Ma il mio anno era iniziato con tre mesi di anticipo: e sembra ieri. Sembra ieri ma l’università è quasi finita, ho ottenuto una internship e faccio colazione col mango e un té rooibos.
Sembra ieri che mi chiedevano quando sarei tornata a Bologna e rispondevo che sarei partita per Barcellona e ridevano, sembra ieri che mi chiamarono dall’università di Madrid, non rinunciai, ma aspettai la mail della ” Generalitat de Catalunya “, che un giorno arrivò. Perchè Barcellona la sentivo mia “a pelle”. Sembra ieri che mi dicevano di essere pazza, che così facendo non avrei trovato lavoro né fidanzato, “ché se stai male non hai nessuno e non conosci neanche la lingua”.
Invece era proprio ieri che sono uscita con Veronica per il solito incontro domenicale.
Perché il Vermut è un must e lo dovevo provare. Un aperitivo domenicale tra una patata murciana e l’altra, un pò di “queso de cabra” e un bicchiere di Milù.
Da un tavolo per quattro in due te ne ritrovi in uno per sei in dodici. Un giro di “ratafia” e siamo tutti amici. Una sigaretta tra le luci soffuse di Placa d’Osca e si “plantea” il futuro viaggio assieme. I due tizi del Michigan brindano con noi dall’altra parte della sala. Le pagine di libri e le rose appassite appese al soffitto, reliquie del Dia di San Jordi, si muovono per il vento, ma poi si ricompongono. Il bastone del ragazzo di cui ormai da cinque minuti sono innamorata cade, mi dice di avere la sclerosi multipla e di essere ubriaco e innamorato. E’ tanto bello che probabilmente “senza bastone saresti stato uno stronzo”.
Brindiamo e beviamo al tempo che resta e che passa senza che ce ne accorgiamo. Mi dicono che i due signori vicino a noi che si baciano come se fossero assieme da più di venti anni hanno fatto “match” su Tinder ed è la prima sera che si vedono; l’amore ai tempi dell’Ikea nell’unico posto al mondo in cui Alfons Mucha non è datato.
Che sono le due del mattino me ne accorgo solo dal numero del bus che da 32 è passato ad N0. Saluto Veronica e la ringrazio. Salgo sull’autobus e sento un fardello sedersi accanto a me. Inizio a pensare al significato del giorno appena iniziato e a sentire la sete. Vedo il pullman passare velocemente le stazioni e arrivare in un batter d’occhio.
D’altronde io feci una tesina sulla resilienza, imparai che nulla è dovuto e che dopo un terremoto non puoi fare altro che ricostruire, che quando l’oggi passa e passa male, il domani arriva comunque. E non possiamo far altro che renderlo migliore.
Chiedetemi se sono felice perché forse, per la prima volta in vita mia, non ho dubbi. “Buona (seconda) Pasqua”
Special Guest
3 Commenti
È stata magia leggerti, grazie per questo vortice di volti, parole, sogni e destini. Ti ho letta tutta d’un fiato e le emozioni ancora viaggiano con te alla velocità di un treno… Buona fortuna! ⭐️
mitica… anch’io ho letto di corsa come se qualcuno mi inseguisse.. o se avessi i secondi contati.. rivedo la mia partenza.. “ma sei sicura.. ma lasci tutte le cose certe, se stai male sei da sola e manco conosci la lingua… ed ero alle Canarie.. e non erano casa mia… e non lo sono state così mega trolley borse in mano trolley piccolo a rimorchio… pausa.. e poi Malta… case piccole gialle preziose silenzi da riempire… improvvisi… il mare davanti… quella lingua piena di vocali e di x… arabo… misto ad italiano e inglese… questa è casa… casa mia… con le amicizie da costruire… i botti tutta estate perché ci sono mille santi da festeggiare… e le strade si riempiono di statue iper barocche.. e c’è un carnevale di gente incappucciata… il calesse che passa sotto casa… strani involtini di pasta sfoglia.. i pastizzi.. venduti a 30 centesimi… hai ragione… sí.. chiedetemi se sono felice… è qui la risposta… ..
Ciao e Grazie Feliciana,
il tuo racconto erano emozioni vere, allo stato puro senza taboo, o magari ben nascosti tra le righe di chi ha creduto nel suo sogno, ha avuto il coraggio di perseguirlo in mezzo a mille dubbi e paure, ma guidata da quella voce interna chiamata cuore, dal quale coraggio peraltro prende la propria definizione. Mi sono rivisto molto in te nonostante qualche anno in più, sono partito per esplorare per espolarmi dentro, il viaggio nel viaggio e mi ha portato a vivere in paesi diversi ed oggi in Spagna !
ti auguro il meglio, di non mollare anche se sai: “imparai che nulla è dovuto e che dopo un terremoto non puoi fare altro che ricostruire, che quando l’oggi passa e passa male, il domani arriva comunque” con l’augurio di goderti l’oggi!
Un abbraccio,
Fede