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Come si traduce l’Anima?

di Monica - Sydney
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Come si traduce l’Anima?
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Prima di partire per l’Australia, ricordo che una delle mie più grandi paure era la barriera linguistica. L’inglese l’avevo studiato a scuola e, da adolescente, avevo fatto un paio di scambi all’estero.

Ma, nonostante ciò, l’inglese non mi piaceva e sapevo di non essere ‘naturalmente’ perspicace nell’apprendimento delle lingue. Così, quando mi si presentò l’opportunità di partire per l’Australia, pensai che buttarmi a capofitto in un paese anglofono sarebbe stata la soluzione per impararlo. Io, d’altronde, “Funziono bene sotto pressione”, come mio padre ha sempre sostenuto.

Una cosa che non avevo calcolato però, è che l’Australiano è una lingua a parte lontana anni luce da tutto quello che pensavo di sapere. E’ come se la distanza fisica dell’Australia, in qualche modo, si ripercuota su quell’inglese così diverso da quello britannico. L’unicità della sua terra la si rivede anche nel modo in cui gli Australiani ne parlano, di quella terra.

All’arrivo, mi resi conto velocemente che tutto quello che avevo studiato a scuola non mi sarebbe bastato.

L’accento, lo slang, le parole differenti…tutto era diverso da quello che sapevo. Dopo il primo momento di panico, decisi che avrei dovuto imparare il prima possibile. Il primo anno, frequentai pochi amici italiani e mi concentrai nel trovare occasioni per parlare e scrivere il più possibile in inglese. Piano piano, l’inglese cominciava ad entrarmi nella testa e l’accento australiano si faceva più comprensibile. Cominciavo a contestualizzare lo slang e quasi a sentirmi affezionata a quella lingua che tanto mi aveva fatto paura all’inizio.

Ma continuavo ad avere una sensazione costante di inadeguatezza e non capivo perché. Perchè mi sentivo ancora così isolata nonostante conoscessi moltissime persone? Perchè non ero mai contenta dei progressi che facevo?

Cominciai a capire che, quello che mi faceva davvero paura, non era non riuscire a comunicare.

Quello, prima o poi, sarebbe arrivato. L’inglese di cui avevo paura era quello con cui avrei tentato di tradurre la mia anima e la mia percezione del mondo.

Oggi, cercando di riordinare i ricordi, riesco ancora a percepire il senso di isolamento che ho provato le prime volte seduta in un pub con una compagnia australiana. Ricordo il comprendere il senso delle parole, ma di non raccapezzarmi nel senso profondo dei discorsi. Ricordo il voler rispondere, ma il non riuscire a trovare le parole giuste per dire quello che sentivo. Ricordo il ridere sforzato, per battute che per me non avevano nulla di ironico.

Ho pian piano compreso che il problema più grande per me non sarebbe stato tradurre dall’italiano all’inglese, ma tradurre il contesto, tradurre i sentimenti e le paure, tradurre le sfumature, le sensazioni e l’ironia.

Far coesistere e comunicare questi due mondi dentro di me: questo sarebbe stato il mio più grande scoglio.

Col tempo il mio inglese cominciava a migliorare, ma la traduzione di tutto il resto peggiorava. Al lavoro cercavo di essere meno diretta di come sono, tentando di tradurre quel modo di dire le cose così diverso dal nostro. In poco tempo, cominciai a sentirmi sopraffatta perchè non riuscivo a dosare questi due modi di essere. I miei colleghi percepivano il mio atteggiamento come debolezza, mentre io cercavo costantemente di non risultare invadente. Nella vita privata, in particolare, tradurre ciò che provavo al mio compagno australiano durante vita quotidiana e litigi era uno scoglio enorme. Nella frenesia dei sentimenti e della passione i fraintendimenti divennero quotidiani, così come la frustrazione di entrambi.

Cominciai a non sentirmi più me stessa, a pensare di non essere più divertente e a sentirmi ancora più lontana da casa di quanto già lo fossi.

Non so dire esattamente quando le cose cominciarono a migliorare. La mia padronanza della lingua cresceva e questo, certamente, fu di grande aiuto. Ma non era solo una questione linguistica. Penso che le cose migliorarono veramente quando cominciai a fidarmi di nuovo di me stessa e a smettere di voler essere una persona diversa da quella che sono. La consapevolezza di essere io, in qualunque lingua, e di riuscire a spiegare quello che intendo. Magari con venti parole al posto di una. Di chiedere spiegazioni quando non capisco, perché è normale non capire. Di non rammaricarmi se qualcosa non mi fa ridere, ma cercare di trovare un terreno comune che faccia sorridere entrambi.

Oggi, ho ancora tanto da imparare, ma ho smesso di cercare di cambiarmi.

Ho perfino fatto pace col mio accento italianizzato quando parlo inglese – quell’accento che tanto mi dava fastidio all’inizio. Oggi sento che quell’accento non è un fallimento ma un segno della mia unicità. Imparare l’inglese è stato una grande vittoria per me, ma comprendere che sarei stata speciale e unica in qualunque lingua avessi parlato quella sì, è una vittoria che mi accompagnerà ovunque andrò.

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4 Commenti

Merylu-Dublino 11/06/2019 - 08:41

Cara Monica,che io e te avessimo tanto in comune l’avevo già capito da alcune cose raccontate nella nostra unica chat Skype insieme ad Emma. 🙂 <3 Mi ci rivedo in tutto,ma proprio tutto, soprattutto in questo passaggio: "La consapevolezza di essere io, in qualunque lingua, e di riuscire a spiegare quello che intendo. Magari con venti parole al posto di una. Di chiedere spiegazioni quando non capisco, perché è normale non capire. Di non rammaricarmi se qualcosa non mi fa ridere, ma cercare di trovare un terreno comune che faccia sorridere entrambi." Grazie mille per aver affrontato il tema dell'integrazione con tanta onestà e trasparenza. Ti abbraccio forte ♥️😘

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Monica - Sydney 12/06/2019 - 09:18

Grazie mille Merylu! E’ esattamente quello che volevo trasmettere…e fa bene sentire che, sebbene ognuno abbia un’esperienza e un approccio personale, le insicurezze provate nel processo migratorio sono comuni e mai ‘sbagliate’. Contraccambio l’abbraccio!

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Michela 13/06/2019 - 11:00

Una condivisione bellissima, descrive bene cosa significa imparare una lingua, che non è mai solo un insieme di parole, ma piano piano diventa una parte del nostro essere. È bello potersi mettere in gioco e crescere davvero. Il confronto in questo senso é un dono preziosissimo.

“una vittoria che mi accompagnerà ovunque andrò”.
È proprio così.

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Monica - Sydney 17/06/2019 - 08:28

Grazie Michela – si è stata un’esperienza che ha sicuramente accresciuto la sicurezza in me stessa, E questo si, rimane per sempre. Un bacione!

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