La comunicazione come causa di psicopatologia
Questo post non è un essai universitario e nemmeno un tema di scuola.
Quindi, avrete pazienza se lascio il mio intreccio mentale spargersi sul foglio.
Il soggetto è qui la comunicazione, di fondamentale importanza in un colloquio psichiatrico e nella nascita stessa della psicopatologia. Sono due facce della stessa medaglia. La soluzione e il problema al contempo. Trovo il concetto molto interessante e anche poco esplorato. Insomma, la comunicazione come la chiave di volta.
Nell’ultimo post abbiamo parlato del colloquio psichiatrico sottolineando che avviene all’interno di un incontro con almeno due persone.
Sì, almeno due persone, perché a volte la malattia è il sintomo di un sistema.
E’ importante che ci sia la persona ammalata a confronto con la psichiatra perché il tutto riesca.
Va notato che a volte le richieste di aiuto non vengono comunicate in maniera diretta.
Se si è da uno psichiatra spesso il problema non è emerso così dal niente ma è il risultato della nostra storia.
Il terapeuta che abbiamo di fronte dovrebbe essere in grado di comprendere anche il nostro discorso latente. Se andiamo da una psichiatra per un problema di anoressia, non è perché qualcosa ci è accaduto nell’ultima settimana ma perchè i nostri sintomi sono di lunga data. Lo psichiatra che avremo di fronte analizzerà sia la nostra comunicazione verbale ma anche quella non verbale, non meno importante.
La radice latina del “comunicare” vuol dire mettere in comune e, logicamente, mettiamo in comune sia il comportamento verbale che quello non verbale, paralinguistico: la persona che non si trova a suo agio, guarda l’orologio in continuazione.
Tra l’altro, per inciso, si pensa che la possibilità di mandare messaggi diversi possa essere una delle cause della psicopatologia. Allungo un attimino questo inciso. La capacità di comprendere messaggi contraddittori ci aiuta a comprendere la realtà interna di un individuo di fronte a noi, che magari dice di stare bene in nostra compagnia e guarda sempre verso la porta. D’altro canto, pare anche che la comunicazione doppia, a doppio binario la chiamerei, crea problemi psicopatologi.
Quando, per esempio, una madre comunica un proprio bisogno come un bisogno di suo figlio, a lungo andare crea problemi nel bambino stesso, perché questi si confonde, non sa più quali siano i propri bisogni.
Pensate quanto sia problematico confondere i propri bisogni con quelli degli altri a livello di identità personale. Intacca proprio la concezione di chi sono io.
Il doppio messaggio dell’intonazione è particolarmente deleterio per i bambini che capiscono al volo. Se uno dice: “ti voglio bene!” con rabbia quale effetto questo ha su un bambino? Insomma se diciamo a una bimba che è il nostro tesoro con il tono di chi pensa che è un’insopportabile peste, come potrebbe la bambina non confondersi ?
Il terzo caso è quando la comunicazione non verbale esprime l’opposto di quello che si comunica verbalmente. Questo avviene quando non si riesce a comunicare qualcosa verbalmente. In questi casi, di solito, si è consapevoli dell’ambivalenza.
Per alcuni studiosi la psicopatologia nasce proprio nell’ambivalenza della comunicazione. Un altro dato non indifferente che ci insegnano gli psicologi è che la comunicazione non può prescindere dal contesto perché è anche il contesto che fornisce il significato alla comunicazione. Il contesto, sottolinea Maturana – altro studioso di fondamentale importanza negli studi della comunicazione – è formato da una serie di elementi: il luogo, la relazione fra le due persone, la storia e le profonde interconnessioni.
Ecco, quindi vediamo come la psichiatria e la psicologia sono interrelate alle scienze della comunicazione, non ne possono prescindere. E per finire, mi ricordo durante la mia laurea in psicoterapia alla Ulster University Tommy, il mio professore, mi diceva sempre che saremmo diventati degli esperti in comunicazione.
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