Considerazioni maturate in quarantena
Sono trascorse settimane singolari e non solo per me, ma per il mondo intero. Io sono stata – e lo sono tuttora – molto occupata. Sono, e come me tantissime altre, donna in carriera, madre, moglie, cuoca e colf. Nonostante la scarsezza di tempo da dedicare a me stessa, ho riflettuto molto in questi giorni di quarantena e ho maturato alcune considerazioni che finalmente riesco a mettere per iscritto. Prima, però, cercherò di illustrare a grandi linee in che tipo di contesto stiamo vivendo qui in Spagna, soffermandomi soprattutto su Barcellona, perché è qui che vivo.
La cosiddetta “desescalada”, ovvero la progressiva riapertura dei negozi, bar, ristoranti, ecc. va per fasi e ogni regione, a seconda dei progressi fatti, avanza, si ferma o retrocede. La regione di Barcellona è finalmente entrata nella fase 1, con due settimane di ritardo rispetto ad altre zone della Spagna.
A volte si ha la sensazione di non uscirne più.
I parrucchieri sono aperti ma ci si può andare solo con appuntamento previo e vi entra una persona alla volta. Bar e ristoranti erano chiusi, a parte i take away. Ora iniziano ad aprire, anche se possono riempirsi solo al cinquanta per cento. I negozi di abbigliamento stanno iniziando ad aprire, fino a poco tempo fa vi si accedeva solo dopo aver preso appuntamento per telefono. La gente compra per lo più online e ho comprato i vestiti della mia bambina su internet.
Da qualche settimana si può uscire per portare i bambini a spasso. In teoria dovrebbe farlo un solo genitore ma io vedo famiglie intere nelle strade e nelle piazze. L’uso della mascherina è ormai obbligatorio. La indossano in molti, almeno nel mio quartiere, oltre il quale non posso spingermi (non si può fare più di un chilometro) perché potrebbero multarmi.
Sembra che la mascherina stia diventando un vero e proprio accessorio di moda. Se ne vedono indossate alcune in stampati molto carini, a pois o a fantasie floreali. Ciò nonostante, nessuno sa usarla e continuo a chiedermi se non sia più un escamotage psicologico per sentirsi tranquilli e far stare tranquilli gli altri mentre si cerca di fare una passeggiata che abbia anche solo una parvenza di normalità.
Nei parchi e nelle piazze, ho visto una mamma togliersi la mascherina per inveire meglio contro il figlio che lanciava polvere agli altri bambini. Ho visto bambini, con la mascherina al collo come un fazzoletto da cow-boy, che si scambiavano indisturbati ogni tipo di giocattolo. Ho visto chi porta la mascherina come una fascia in testa o appoggiata sul mento e chi la sposta per grattarsi il naso. Lo faccio anch’io, lo ammetto, non la sopporto. Ci sono diversi agglomerati di persone nel mio quartiere.
C’è voglia di stare in compagnia, di vedersi, di riunirsi, di vendere, di comprare, di viaggiare, di vivere!
Quest’anno, l’arrivo dell’estate per me è quasi una promessa di tristezza e afflizione. Non si esce, non si viaggia, si interagisce con la famiglia in Italia con il contentino delle videochiamate.
Considerazioni maturate in quarantena:
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La distanza è una gran brutta bestia. Anche con ipad, WhatsApp, Instagram e Skype. Mi chiedo che senso abbia vivere lontana da una famiglia così bella come la mia e vorrei avere il dono del teletrasporto. Ho pensato anche, più volte in queste settimane, a come sarebbe tornare in patria per rimanerci. Ebbene, tutte le volte ho accantonato questo pensiero in un angolo remoto del mio cervello. Sto troppo bene qui.
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Formati con costanza nell’ambito del digitale e lavorerai sempre. Mi sento una privilegiata perché continuo a lavorare e a guadagnare. Al mattino mi sveglio, mi faccio un caffè, accendo il computer e sono in Outlook, Teams e nel mio computer di lavoro, come se fossi in ufficio. Con tutte le flessibilità che ti concede il telelavoro, come mettere una lavatrice, scaricare la lavastoviglie, rifare i letti. Giovani (e anche meno giovani) che ci leggete e che cercate lavoro, sappiate che il digitale è il presente e il futuro. E con questo non mi riferisco al fatto che in futuro faremo tutti solo e sempre telelavoro. L’interazione in ufficio è molto importante e insostituibile.
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Come sempre, ahimè, è soprattutto sulla donna che incombono gli incarichi domestici e le responsabilità genitoriali. Oltre a lavorare ci sono la cura della casa, i piatti in tavola, contrattempi quotidiani e una bambina piccola a cui badare. Devo rinunciare a preziose ore di sonno per avere un po’ di tempo per me. Una curiosità, chissà se qualcuno mi sa rispondere, ditemi. Secondo voi, la Ferragni e Shakira hanno cameriera e baby sitter in casa anche in queste circostanze?
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Queste settimane sono dure, intense, e stanno volando in un soffio. Momenti piacevoli si alternano a momenti di tensione e grande stress. Eppure ho la sensazione che non le dimenticherò mai e che lasceranno nella mia psiche un gradevole ricordo, nonostante tutto. Sto crescendo io mia figlia senza il nido e senza rinunciare alla mia professione, con riunioni di lavoro per telefono “piacevolmente” interrotte dalla lallazione di un bambino piccolo? So che è da matti, io stessa non lo credevo possibile il primo giorno, però ce la stiamo facendo. Tutti. E se il cammino verso la conciliazione famiglia-lavoro fosse in questa direzione senza però ridursi a questo, ma con molti più aiuti statali (per esempio baby sitter pagate dallo Stato)?
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Ho imparato il valore del tempo e che cinque minuti sono davvero preziosi e non vanno persi. Ho migliorato le mie capacità di multitasking e anche a far fruttare ogni momento della mia giornata adattando all’arco di tempo che ho a disposizione il tipo di attività da svolgere. In tutto ciò, cerco di coinvolgere la mia bambina di un anno facendo sì che le attività quotidiane siano pedagogicamente stimolanti per lei.
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Mi sto improvvisando pedagoga. Io sono a favore del nido, anche prima dei tre anni. Credo che fomenti le capacità sociali e intellettive del bambino e che contribuisca a farlo stare meglio con gli altri, a fare le cose in comunità, a seguire i ritmi, ad educare. Per questo, quando hanno chiuso gli asili mi sono sentita come se il braccio destro mi venisse a mancare. Non potevo permettere che la mia bambina venisse privata all’improvviso di quel tipo di stimoli. Così, quando posso, cerco di coinvolgerla in qualche attività diversa: lavori manuali, danza, canto. Persino le attività domestiche aiutano in questo, le piace aiutarmi a innaffiare le piante e cerco di insegnarle a rimettere gli oggetti a posto.
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Il sentimento preponderante di questi mesi, forse, è quello della gratitudine. Sento un profondo rispetto e un gran senso di riconoscenza per chi, ogni mattina, ci assicura frutta e verdura fresca e ogni tipo di generi alimentari, per chi pulisce e disinfetta le strade e per chi tutela la nostra salute. Un immenso grazie ai ricercatori, ai medici e agli infermieri, ovunque nel mondo, che ci stanno aiutando a uscire da questo inferno. Fino a pochi giorni fa, ogni sera alle 20h00 qui a Barcellona le persone uscivano sui balconi e c’era un clima di festa. Non ci dimenticavamo mai di applaudire e di cantare per voi. Qui c’è tanta voglia di ridere e di gioire, di abbracciarsi e di baciarsi. Grazie infinite per il lavoro che fate inesauribilmente da diverse settimane. Grazie perché, grazie a voi, un giorno (non so quando) torneremo a toccarci senza paura.
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