Cosa fai a Capodanno?
Avete presente quando eravamo più giovani che a inizio novembre ci preoccupavamo di come passare il Capodanno?
Ecco, mi trovo un po’ in quella situazione, dato che da 9 anni a questa parte, da quando vivo a Buenos Aires, a Natale o subito dopo rientro in Italia e riparto a febbraio.
Contavo di fare la stessa cosa pure nel 2020, quando in Italia è arrivata la seconda ondata, che mi ha indotto ad annullare la prenotazione e a rimandare l’eventuale acquisto del biglietto (ho sentito racconti kafkiani sulle regole per rimborsi o spostamento di date). Dico la verità, oltre sentire la mancanza di amici e parenti, avrei approfittato di un mese intero per andare al cinema e a teatro (questo piano era precedente al Dpcm del 26 ottobre), visto che qui in Argentina non abbiamo la seconda ondata semplicemente perché non è ancora passata la prima.
Che fortunelli, nevvero?
C0sì, malmostosa e demoralizzata, oltretutto con la pioggia che impedisce di usufruire della sola occasione di socialità concessa (incontrarsi all’aria aperta), metto ordine nei miei pensieri e nelle mie emozioni, dopo 4 mesi e mezzo di lockdown stretto, seguiti da 3 flessibili (restano chiusi teatri, cinema, musei, scuole e università – un anno con due sole settimane in presenza – mezzi pubblici solo per i lavoratori essenziali, bar e ristoranti solo con tavolini all’aperto, riunioni nei parchi con 10 persone al massimo).
Per me, emigrata all’estero, la pandemia ha acuito le fragilità nascoste di un progetto migratorio finora di totale successo.
Non che rimpianga di avere scelto di vivere qui, visto che in nessuna parte del mondo ci si salva dal Covid e almeno a Buenos Aires ho un lavoro sicuro che mi piace (vari, in realtà) e sto raccogliendo quanto seminato in questi anni.
Eppure, la città grande (che per questo amo tanto), i trasporti vietati e comunque a rischio contagio (certi giorni cammino per 20 km, tutta salute), l’appartamento piccolo (che non ti pesa finché esci alla mattina alle 7 e torni alla sera tardissimo), la coppia scoppiata, il virus che non si ferma mettono a dura prova la tenuta psichica.
In situazioni come queste, ti accorgi che la salvezza dell’expat è, oltre a un efficace inibitore della ricaptazione della serotonina, la rete delle altre expat.
Non tutte amiche intime, ma solidali, semplicemente perché “si fa così”. È un codice etico e anche utilitaristico. Quella che è stata in Italia e rientra con un volo speciale e ti porta una cosa che non saresti mai riuscita a farti arrivare per posta. Quella che ti chiama per tirarti su di morale o che cammina per km per incontrarsi a metà strada. Quella che ti fa ridere ricordando tutti i tipi assurdi con cui siete uscite in questi anni.
Vabbè, ora la pioggia è passata, ci sono tante cose da fare, gli affetti da nutrire, il piacere da coltivare, la bellezza della vita da cercare nelle crepe da dove entra la luce.
E se qualcuno mi chiede cosa farò a Capodanno rispondo che quest’anno vado a letto alle 10.
Chi sono