Dall’altra parte del confine
Ogni esperienza expat è diversa, su questo non ci piove.
Per alcuni ha significato un traumatico viaggio di sola andata, l’abbandono del proprio paese, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Per altri ha significato semplicemente trasferirsi da una città all’altra, che sia all’estero poco importa, in qualità di cittadino del mondo.
La maggior parte delle volte un po’ di tutte e due le cose.
In questa esperienza di vita ognuno ha il suo modo di integrarsi, più o meno efficace.
Ci sarà chi sogna costantemente di tornare a casa e chi crede vada più che bene tornare nel proprio paese solo per le vacanze, lo stretto necessario.
Chi prevede di tornare, chi lo esclude con fervore.
Ogni storia rappresenta la meraviglia dell’ essere unici, simili ma diversi, e questo blog, con la sua preziosa raccolta di testimonianze, ne è un esempio lampante. Ognuno con il suo bagaglio di ricordi, ognuno con la sua testa, il suo cuore, con il suo meraviglioso modo di vivere e scegliere.
Queste storie funzionano, ci colpiscono, perché vi cerchiamo e vi troviamo noi stessi.
Tutti viviamo a modo nostro l’equilibrio personale tra le due caratteristiche alla base del rapporto con gli altri. L’empatia e l’autoconservazione. Equilibrio che negli expat viene messo a dura prova!
L’empatia difatti ti porta a fidarti del prossimo in generale e, nel caso dell’expat, del paese dove arrivi. Come non potresti? In fondo sei solo, in una realtà nuova, devi costruire tutto da zero.
Ogni parte di questo processo di costruzione è imprescindibile dai rapporti umani, dal prendere l’autobus a firmare un contratto di affitto o di lavoro. Ci affidiamo ad un sistema sconosciuto e alle sue regole perchè non possiamo fare altrimenti.
L’empatia si basa sul fatto che si presupponga le persone attorno a noi provino, sentano e si esprimano con lunghezze d’onda simili alla nostra. E’ alla base della comunicazione, il nostro codice di lettura dei sentimenti altrui.
Rappresenta le radici dell’ apertura mentale, della fiducia nel prossimo. Simboleggia la capacità di mettersi nei panni dell’altro e creare una connessione, fondata sul fatto che esiste una lingua oltre quella parlata.
Quella che nasce dall’ appartenere alla stessa specie.
Nell’equilibrio dei rapporti umani, tuttavia, è fondamentale anche l’autoconservazione. Essa fonda le sue radici nella paura.
Se fossimo solo empatici, aperti e fiduciosi infatti, saremmo destinati a soccombere.
La paura ci protegge, ci permette di sopravvivere in condizione avverse, ci mantiene cauti e prudenti.
La paura fa parte della natura umana e, come ben sappiamo, viene fomentata dall’ ignoranza, non necessariamente nel senso negativo del termine. Ignorare, ossia non sapere. Ciò che non conosciamo e non sappiamo gestire, ovviamente fa paura.
L’autoconservazione ha però anche un altro lato che va a braccetto con la paura, ossia il coraggio.
Conservarsi vuole anche dire andare oltre la paura, affrontarla e gestirla. Ci vuole molto, molto coraggio nell’avere fiducia in sé stessi, delle proprie capacità e percezioni, e ancora di più nell’avere fiducia negli altri.
Di sola empatia si muore, di sola paura si muore, di solo coraggio si muore.
Per ogni singolo rapporto umano sano ed equilibrato servono tutte e tre.
Ma perché tutto questo discorso astratto?
Ultimamente guardo l’Italia e la sento lontana. Lontana e sofferente.
Sento nei post su facebook, nei discorsi di amici e parenti, come l’equilibrio tra i rapporti umani si sia rotto e l’autoconservazione, sotto forma di paura, sia alla base di tanti pensieri e posizioni, più o meno consapevolmente.
Non biasimo troppo il politico che inneggia a chiudere i porti.
Fa il suo lavoro, parla alle pance e raccoglie i consensi, esegue le promesse che ha fatto in campagna elettorale. Esprime il volere degli italiani che l’hanno votato.
Ma le persone, le persone vicino a me, sulla mia stessa bacheca, nel mio stesso paese, persone con cui ho condiviso tanto e continuo a condividere tanto…mi chiedo, come fanno a non rendersi conto del processo di deumanizzazione che l’intero Paese sembra star subendo?
La deumanizzazione fonda le sue radici sulla riduzione dell’empatia.
Rappresenta l’anello finale dell’”infraumanizzazione”, ossia attribuire agli altri emozioni più semplici e meno elaborate rispetto alle nostre.
Poiché le altre persone appaiono meno complesse, più “bestiali”, queste perdono la connotazione umana.
Ciò legittima automaticamente la posizione di colui che discrimina. La Deumanizzazione sfocia inevitabilmente nell’aperta ostilità, fino all’aggressività.
In parole povere significa che le persone arrivano a preferire che una nave affondi ed esseri umani anneghino in mare, piuttosto che trovare una soluzione al problema dell’immigrazione di massa elaborando delle strategie di aiuto.
Ironico a dirsi, nella mia professione mi rendo invece conto di quanto gli animali stiano subendo invece un processo inverso, vengono ossia Umanizzati e trattati come persone.
Un gattino in pericolo smuove il nostro cuore, non lo fa invece un bambino che rischia di affogare.
Quando sono arrivata in Irlanda mi sentivo persa, disorientata, spaventata.
Il motivo per cui ora ho un lavoro, una casa, una vita con cui sto pagando i debiti che ho lasciato in Italia, è uno e uno soltanto: l’empatia umana.
Mi hanno dato una possibilità anche se ero straniera, anche se non parlavo perfettamente la lingua, anche se ero “diversa”.
Con la mia esperienza e la mia professionalità ho fatto crescere la clinica dove lavoro offrendo un servizio che in Irlanda è molto difficile trovare, ma al momento dell’arrivo avevo soltanto 500 euro in tasca, non avevo una casa né un lavoro.
Ho potuto integrarmi, ma solo perchè me lo hanno permesso. Io come tutte le donne, gli uomini, le famiglie che espatriano.
Non posso negare che fossi una privilegiata. Bianca, europea, qualificata.
Nel mondo “civile” diamo l’empatia, il supporto sociale o “welfare” per scontato.
Tuttavia, nessuno obbliga un paese straniero a trattarti come se fossi uno di loro, nessuno li obbliga ad accoglierti, ad aiutarti, soprattutto se non sei “efficiente”.
Se non sai la lingua, se non hai un soldo, se non sei autosufficiente sul lavoro o non hai ancora una dimora.
Sono cose che diamo per scontate, perché considerate parti integranti di una civiltà fondata sui diritti umani e che spinge tanta gente ad espatriare all’avventura, “ vado e poi vedo”.
Una tanto apprezzata e osannata “intraprendenza” che spesso poco si differenzia dall’ avventatezza. Possiamo permettercelo perché forti di diritti che ci spettano in quanto esseri umani in difficoltà, cresciuti con regole non scritte di una società civile.
Sono i fatti a insegnarci oggi che non è affatto scontato, che non basta essere una persona per ricevere aiuto, per avere diritto ad essere soccorso e salvato. Perché dunque dovremmo pretendere di ricevere integrazione, accettazione, supporto e soccorso come expat?
Ci vuole tanto, tanto coraggio a mettersi in discussione.
Tanto, tanto coraggio a guardare in faccia la realtà e farsi della domande.
Ma, in una informazione preda delle fake news, in cui le opinioni di chiunque possono essere condivise in un post come verità assoluta e le verità piegate al migliore offerente, in un mondo che propina soluzioni apparentemente facili a problemi complessi, una cosa è certa.
Ci vuole coraggio nel farsi delle domande, ma ancora di più ce ne vuole per comprendere appieno e prendersi la responsabilità delle proprie risposte.
Chi sono
5 Commenti
Cara Roberta,
seguo con interesse e con…manco a dirlo, empatia!, ciò che scrivi. Neolaureata e neoabilitata alla tua stessa professione, con gli stessi timori e con lo stesso sguardo sul mondo. Ci siamo già sentite, anche io mi sto preparando per la partenza in terra straniera: farò dei tuoi pensieri un appunto prezioso, li renderò consigli da ricordare quando avrò bisogno di andare avanti. Grazie e buon viaggio in questa tua esperienza!
Ciao Gaia! Ti auguro un enorme in bocca al lupo per tutto, la nostra professione è dura, soprattutto in Italia, secondo me uno sguardo all’estero è fondamentale per capire il proprio valore! Tienimi aggiornata!
Ciao Roberta, grazie per le tue parole.
Sono una donna di 47 anni, che nel 2015 ha provato a farsi una nuova vita in Olanda, dove avevo l’appoggio di un’amica. Ma nel momento in cui dovevo accendere un nuovo click, per poter rimanere, nonostante il lavoro e la casa trovati, dopo sette mesi, la paura ha avuto il sopravvento, ed ho deciso di tornare in Italia. Adesso viso a Firenze, città non molto distante dalla mia terra natia, convivo con un uomo speciale, che mi sta aiutando a ritrovare me stessa e quello che voglio veramente. Avendo un grande amore per i paesi nordici, stiamo programmando di ritornare a vivere in Olanda…Si torna sempre dove si lascia una parte del nostro cuore, per poter riprendere quello che abbiamo lasciato in sospeso…Complimenti per la tua esperienza e per la tua capacità di osservazione. Continua con l’equilibrio, paura, empatia e coraggio. Grazie. Gaia
Ciao Gaia! Continua così, sei sulla strada giusta! Vi auguro tutto il meglio, anche io mi sono riunita al mio compagno, vivere questa avventura in due non ha prezzo ? Mi raccomando, niente cose in sospeso! Un abbraccio
Grazie infinite Roberta, un abbraccio anche a te