La differenza tra Zimmermann e Schreiner: Lui
Di Feliciana Chiaradia
Dedicato a L(o)ui(s), il mio migliore amico.

Io, Feliciana
Entro nella sua stanza e noto i cuscini nuovi, sono colorati come la sua pelle, il suo sorriso, anche se il colore che prevale è un rosa pallido e macchie marroni che ricordano la terra che i suoi piedi scalzi hanno battuto intorno al mondo intorno. Perché ama stare scalzo, ma mette i calzini perché il pavimento nel resto dell’appartamento è freddo. Gli dico che è uno „sweetheart“, mi guarda con quello sguardo di quando fa gli scherzi e mi ripete „ovviamente“.
Mentre mi rilasso sui cuscini da divano ritorno a guardare il lampadario, e di conseguenza le sue mani che hanno costruito la cornice vicino la finestra, la quale da un tocco di classe alla foto che ha scattato lui stesso durante uno dei suoi viaggi e che mi colpisce ogni volta che entro nell’ultima stanza del primo piano. La stanza magica, come sono magici i suoi occhi quando mi mostra quasi emozionato l’anteprima del sito internet della sua prima azienda e mi spiega la differenza tra uno „Zimmermann“ e Lui. Lo „Zimmermann“ lavora in fretta, si occupa di quello che è l’esterno. Lui lavora lentamente per realizzare tutto quello che è l’interno. L’interno è il colore, il calore. E Louis è lui.
Louis è interno. E i suoi lunghi rasta arancioni che raccontano storie di vita veramente vissuta. Louis è lui.
Ed il tavolo che ha disegnato su cui riposa il suo investimento dell’anno: una pianola su cui risuonano melodie balcaniche ed una canzone dei Daft Punk. Louis è lui. Quando mentre della sigaretta non ne resta che una cicca, ascolta le poesie di Kate Tempest e mi fa innamorare (di „Prickly Pear“). Louis è lui. Il sorriso che non manca mai quando a colazione (si) pensa al pranzo e scrive i quiz per la serata senza però cercare le risposte. Perché le domande alle risposte che cerca le trova in India e nella “Werkstadt” dove restaura un Van per emigrare nelle regioni calde quando le temperature diventano troppo basse e, neanche la giacca di pelle che ha comprato in Canada per sei euro, e mi ha regalato e a cui ho attaccato un bottone rosso, aiuta più di tanto. E, siccome la storia di L(o)ui(s) e della giacca significano tanto per me, allora gli regalo una bottiglia d’olio e una di quelle bustine con l’aglio a pezzettini, perché una volta, quando abbiamo ordinato la pizza e l’abbiamo consumata sul balcone, ho notato che aveva aggiunto dell’extra olio e tagliato dell’aglio.
E Louis è lui. Non c’è bisogno di troppe parole per farlo contento.

Ritratto molto astratto di L(o)ui(s)
Louis ha la forma delle sue forme. Ha la form(ul)a delle forme perché è lui la forma. E la sua bellezza si nasconde dietro ad ogni piccolo dettaglio. È visibile all’occhio di chi, attento, guarda oltre la corteccia degli alberi e la maestosità degli elefanti. Io, ad esempio, non ho mai visto un elefante, ma il mio preferito è quello in “Big Fish”. Louis, lui ne ha visti e ne legge. Onestamente non so perché ne sia affascinato, ma mi piace pensare siano buoni come lui. E come le sue spezie. La sua pianta di menta è sempre in fiore da quando sono arrivata in questa casa. Il suo avocado, dopo cinque mesi, ha sviluppato una radice simmetrica. In comune abbiamo un film preferito sui dalmata, l’età, un rasta ed il fatto che entrambi dormiamo su un letto a castello, in direzioni opposte e contrarie, in piani separati. Mentre il mio è un letto IKEA standard, il suo l’ha progettato e realizzato lui con le sue mani che conservano le piaghe del lavoro minuzioso ed è progettato in ogni piccolo dettaglio. Basti pensare che, le scale diventano ottimi posti letto per i suoi blocchi e le sue matite dove schizza le idee per i progetti che sono anche un po’ i suoi sogni. Il lampadario, ad esempio, è la cosa che mi colpisce di più. Lo guardo mentre ascoltiamo “Jimmy” e lui ne canta delle strofe: “Hey you’ve gotta have a wash but you can’t clean your name”. Il lampadario ha una forma unica. Sono due triangoli simmetrici, la cui simmetria continua per finire in un labirinto di forme e c’è un doppio attacco, un posto per due lampadine. Ma Lui ce ne mette solo una.
Perché anche Louis cerca di nascondersi tra i cuscini color pescarancio.
Mi è capitato molte volte di incrociare il suo sguardo tra la gente e non ho mai avuto voglia di abbassare il mio perché i suoi occhi (ed il suo nome) parlano. Dove riescono ad arrivare con la loro potenza disarmante non lo voglio ammettere. Quello che mi dicono è un mistero che si risolve ogni volta un po’ che la porta della stanza si chiude e quei cuscini di divano diventano tappeti volanti che mi portano dall’Oriente all’Australia passando per il Vietnam dove però Lui non è mai stato ma il suo amico Zimmerman gli ha portato un quadro. Un quadro che diventa un metaquadro quando prima di tornarmene da dove sono venuta, scatto una fotografia con la mente e osservo Lui nella sua cornice: sopra il suo letto, di fronte i suoi alberi in cui si (ri)specchia, i rasta come corona, i cuscini come distese di fragole.
Gli voglio bene davvero perché lui non lo sa, ma è già (un pezzo importante del)la mia storia.

Ritratto molto astratto di me
Special Guest