Disoccupazione in Finlandia: la mia premessa
Mi sono trasferita in Finlandia quattro anni fa dopo aver firmato un contratto di lavoro valido per tre anni. Questa possibilità mi pareva un miracolo, una vera e propria benedizione. Per questo non ho voluto cominciare a preoccuparmi troppo presto di ciò che sarebbe avvenuto dopo tre anni, una volta terminato il lavoro. Non so voi, ma io tendo ad andare in ansia con largo anticipo, qualunque sia la questione. Per questo ho fatto il possibile per evitarlo e godermi invece l’esperienza. C’erano così tante cose alle quali badare, dovendomi trasferire in un paese mai visto prima, nonostante la pandemia. Dovendo cominciare il lavoro tutto particolare della dottoranda, poi, avevo già abbastanza preoccupazioni.
Una volta giunto il terzo anno di contratto, ovviamente, l’ansia si è fatta sentire. I miei diretti superiori mi assicuravano che avremmo trovato insieme una soluzione per continuare a lavorare in accademia. Dicevano che tutti gli altri dottorandi e ricercatori terminavano la loro ricerca solo dopo aver ottenuto la disoccupazione. Ripetevano che questa era “ordinaria amministrazione”. Che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Purtroppo per me, questo discorso si è rivelato valido solo per qualcuno.
Facciamo un passo indietro
L’anno scorso, proprio in questo periodo si sono tenute delle elezioni che hanno ribaltato il governo finlandese. Da allora sono cambiate molte cose, in particolare, l’approccio verso gli immigrati. Non voglio entrare in questioni politiche, bensì esporre i fatti che hanno radicalmente cambiato il mio quarto anno in Finlandia. Cavilli burocratici mi hanno privata del sussidio di disoccupazione in Finlandia. Questo, poi, nonostante l’ufficio apposito abbia confermato che mi spetterebbe. Ho trascorso mesi a telefonare a vari enti. Mi sono informata e ho inviato tutti i documenti richiesti, oltre ad aver dimostrato di star attivamente cercando lavoro. Tutto invano. Vi risparmio l’intera faccenda perché è tanto noiosa quanto spiacevole.
Ciò che volevo condividere con voi è il senso di smarrimento che deriva da una situazione simile. Non ho alcuna sicurezza economica, tantomeno un sistema di supporto. In compenso, ho il terrore di commettere errori fatali ad ogni passo. Tutto ciò può accadere anche a casa, in Italia. Ciononostante, quando ci si trasferisce all’estero, è come se ogni difficoltà venisse amplificata. I chilometri aumentano e, in caso di bisogno, occorre avere da parte i soldi per un biglietto d’emergenza. Se lo stesso avvenisse in Italia, sarebbe quasi certamente più economico. Quindi all’estero bisogna tener conto di ostacoli economici, logistici ma anche burocratici e linguistici.
Parole che feriscono quando parlo della disoccupazione in Finlandia
L’estate scorsa, non appena ricevevo un messaggio da un amico o conoscente e mi ritrovavo a doverli informare della mia situazione, avevano tutti la medesima reazione. Mi chiedevano: “Beh allora quando torni?” oppure affermavano: “Sicuro in Italia troverai lavoro più facilmente!”. Oppure ancora: “Non hai più motivo di restare lì, no?”. Le mie risposte si limitavano a “Ma in Italia non ho diritto alla disoccupazione, almeno qui ho una mezza speranza”. Ovviamente non sapevo ancora che sarei stata privata dei miei diritti, nonostante mi spetti la disoccupazione in Finlandia.
Avete idea di quanto male possano fare certe frasi? Viste così sembrano innocue magari addirittura amorevoli. Voi, però, mettetevi nei panni di chi ha sacrificato tutto per arrivare dove si trova. Che se fossi riuscita a trovare lavoro in Italia, forse non mi sarei trasferita tanto in fretta. Che se odiassi il luogo dove vive, forse non avrei atteso il termine di un contratto per andarsene. Che se avessi i soldi per l’aereo, forse sarei tornata in Italia in visita, senza bisogno di rimpatriare solo per disperazione.
Punti di vista o presunzione?
Cominciate a capire perché, nonostante sia terrorizzata di ciò che mi attende, non sono ancora rientrata in Italia? Parenti e amici non avevano cattive intenzioni quando mi hanno scritto quei messaggi. Di certo non sanno quanto le loro parole mi abbiano ferita. A volte parla la cecità di chi non conosce altro mondo che il proprio e, tutto sommato, chi sono io per biasimarli? Se non avessi sperimentato tante culture diverse, forse reagirei come loro. Come se l’Italia fosse l’unico paese in cui vivere. Come se la tranquillità del conoscere la lingua del posto bastasse a giustificare condizioni lavorative pietose.
È vero, ho paura. La Finlandia non mi sta rendendo le cose facili. Da quando è cominciata la disoccupazione è come se mi avessero tolto la terra da sotto i piedi. Sono smarrita e nei brevi momenti di lucidità ho valutato le mie opzioni. Le politiche sull’immigrazione e la disoccupazione in Finlandia sono cambiate dall’oggi al domani. Non prevedo di restare qui in eterno. Tuttavia, lasciatemi dire questo. Quando il vostro amico o parente espatriato vi scrive e ammette di essere in difficoltà, vi prego, non ditegli di tornare in Italia. Non insistete e, se vi è possibile, ascoltatelo. Vi ringrazierà di cuore, credetemi.
E voi, siete mai stati disoccupati all’estero? La procedura per la disoccupazione nel vostro paese di residenza è lineare o labirintica? La disoccupazione sarebbe un motivo valido per tornare a vivere in Italia?
3 Commenti
Mio marito ha dato le dimissioni e per questo avrebbe diritto alla disoccupazione. Essendosi licenziato lui, peraltro, teoricamente prende la prima mensilità solo dopo tre mesi di “blocco” che servono da deterrente per chi, altrimenti, si dimetterebbe dopo un paio di giorni solo per vivere di sussidi. Questo, ovviamente, se nel frattempo non trovasse un’altra posizione. La burocrazia è, con rispetto parlando, abbastanza ridicola. Per non parlare degli impiegati statali che a volte si perdono in bicchieri d’acqua. Come farebbe lui, ad esempio, a presentarsi a un colloquio conoscitivo con il collocamento se, e loro dovrebbero saperlo, lavora ancora a tempo pieno? Mica può prendersi le ferie per un’ora di colloquio… E che dire dell’aspetto umano, dimenticato chissà dove? Insomma: un calvario…
Un abbraccio a te Rahel e in bocca al lupo! Anche se, da quel che ho potuto osservare, stai approfittando di questa pausa per rinascere nel migliore dei modi!
Cara Rahel,
il tuo articolo casca a fagiolo, pochi giorni dopo la mia pubblicazione su Instagram il cui argomento era “se sono in difficoltà all’estero, non vuol dire che io voglia tornare in Italia o cambiare vita”. Per la disoccupazione in Francia, ammetto di averne usufruito per alcuni mesi e senza troppe difficoltà, riuscendo a sopravvivere senza grosse difficoltà economiche. è una cosa che, a mio parere, funziona bene in Francia, poi non so se per fortuna o a causa della mia meticolosa conservazione di scartoffie e documenti. per ora posso solo farti un grande in bocca al lupo e sperare con te che la situazione si sblocchi. e quando sarà il momento di cambiare, il tuo cuore lo saprà senza influenze esterne.
Chiara da Parigi
E… hai mai pensato di tornare in Etiopia? Com’è la vita là? Non senti questo richiamo africano?