Dopo una breve pausa siamo giunti al termine della nostra serie “Donne che Emigrano all’Estero – Untold”. Se vi siete persi le prime due puntate, potete recuperarle qui e qui. Questa volta lasciamo la parola a Samanta da Remagen che ci racconta del suo espatrio fatto di treni in ritardo, colpi di testa e budget ridicoli. Buona lettura!
Samanta da Remagen: “Le donne che Emigrano all’Estero, a volte, sono un po’ avventate. Ma va bene così”.
Non so bene perché sono partita. Cioè, in realtà lo so o, perlomeno, ho una mia personalissima versione dei fatti. Avevo un lavoro part time in Italia che non mi faceva sopravvivere, non avessi avuto dei risparmi da parte. Detestavo il fatto tutti mi chiedessero: “Ma adesso che ti laurei, poi, rimani qui a fare la cassiera?”. Il mio capo non mi piaceva, ma proprio per nulla. Avevo anche una tesi magistrale da scrivere con fonti difficili da reperire, a ridosso delle Langhe. Alle mie spalle, poi, giaceva placido e soddisfatto un semestre trascorso in Saarland dove avevo iniziato a ponderare l’idea di trasferirmi da qualche parte. Il fatto, infine, avessi delle conoscenze che si erano da poco trasferite a loro volta in Germania, ha contribuito alla mia decisione di partire.
Ho chiuso il mio appartamento in fretta e furia, cercando di svuotare almeno le dispense. Quindi, ho venduto la macchina e infilato quanto più potessi in due valigie. Ho preso il treno alle tre di notte e sono arrivata alle nove di sera. Tutto questo, peraltro, con buona pace dei ritardi della Deutsche Bahn e delle scale mobili di Milano Centrale. Di funzionare, infatti, non ne avevano proprio voglia e le due valigie mi toccò camallarle come nella migliore delle tradizioni fantozziane.
È stata una decisione impulsiva, la mia, avventata e persino un po’ sconsiderata. Una decisione, quella che presi, della quale però non mi pento.
Il primo impiego avvenne per caso, quelli successivi invece presero forma rimboccandosi le maniche. Iniziai a insegnare, appoggiai l’ufficio turistico locale, strinsi le prime amicizie. Insomma: mi costruii un’esistenza con il poco che avevo e il tanto, quello sì, che volevo raggiungere.
Per i primi due anni riuscii a barcamenarmi con 350,00€ al mese, affitto incluso. Non volevo intaccare troppo i miei risparmi né farmi mantenere dai miei genitori. Al contempo, presi questo mio budgeting estremo come un gioco fatto di tabelle, liste della spesa al centesimo e giornate al parco. Riuscii a risparmiare a sufficienza da concedermi persino concerti e serate con gli amici. Insomma: non mi mancava proprio nulla.
Quando ripartii lo feci per voglia di avventura ma anche un po’ per noia. Curiosamente, delle amicizie che strinsi, almeno un paio ripartirono proprio in quel momento. Eravamo pronti a ricominciare, a rimetterci in gioco. Fu la scelta migliore di sempre, nonostante le mille disavventure della quali a posteriori posso solo sorridere. Ritornare in Germania un anno dopo fu una decisione, questa volta, consapevole. Impiego full time, corsi di aggiornamento, percorsi in bicicletta e freddo pungente mi accompagnano di nuovo ormai da tre anni. Un bimbo in arrivo, un salvadanaio da riempire per comprare la casa dei nostri sogni e un mare di possibilità alle quali, forse, non ci ha preparato nessuno.
Me lo chiedessero ora, non so se partirei di nuovo. Sono passati ormai dieci anni da quella notte di dicembre. Tante cose sono cambiate, dalla salute di amici e parenti sino alle condizioni lavorative passando per il costo della vita. Ciononostante, so che partire mi ha salvato almeno un pochettino l’esistenza e me l’ha fatta riscoprire. Con buona pace dell’avventatezza dei vent’anni e dei treni che, quando passano, lo fanno in ritardo.
Concludendo…
Le Donne che Emigrano all’Estero, ma per estensione gli espatriati tutti, vengono spesso invidiate, altre volte idealizzate, altre ancora prese a male parole “giusto perché”. I dibattiti sulla differenza tra migrante ed espatriato si sprecano, così come i vari gruppi social che, alla fine, sono un po’ tutti uguali. A farla da padrone sono discussioni sul costo della vita, sulle abitudini incomprensibili dei locals e sulla possibilità o meno di sopravvivere con 70K. Provare per credere.
Cosa è andato perso? La dimensione umana. Quella che ci fa dire “aspetta, ti do una mano”. La dimensione che ci vede fallibili ma anche pieni di iniziativa, pronti a scontrarci contro muri spesso di gomma ma che ci sembrano impossibili da superare. Con buona pace dei detrattori che ci chiamano “mantenute, fortunelle, bisognerebbe bloccarvi alla frontiera ogni volta che volete tornare in Italia”.
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