Oggi voglio scrivere un post su una parte di me che non vi ho ancora mostrato davvero. Anzi, il mio post di oggi non sarà uno solo, bensì saranno due: uno prima ed uno dopo il mio imminente viaggio in India.
Oggi vi parlo di una me yogini.
In Sanskrito, una delle lingue più importanti dell’India, tra le più antiche attestate nel mondo giunte fino a noi e fondamento di molte lingue indoeuropeee, yogi è l’allievo-praticante di yoga, mentre yogini è l’allieva. Anche se ci sono giorni in cui vorrei essere nata maschio, lo confesso, io sono a tutti gli effetti una yogini.
Voglio quindi raccontarvi di una me ad aeternum studente, ma anche neo-insegnante, in una disciplina antica e molto in auge negli ultimi decenni, che si è diffusa, a partire dall’India, in ogni angolo della Terra: lo yoga.
Di yoga esistono molte scuole di pensiero e molti orientamenti, altrimenti detti “stili”, ma tutto lo yoga giunto in occidente all’inizio del secolo scorso è in sostanza quello che chiamiamo Hatha. In questo termine è inscritto già il senso ultimo di tutta la pratica, poiché lo yoga riguarda la danza di equilibrio di tutte le cose verso la loro stessa perfezione, come unione di due forze che non si oppongono, ma si completano, quelle di Ha e quelle di Tha.
Ha- prende una connotazione di energia solare e maschile, rivolta verso il proprio centro, di contrazione, energia muscolare, volontà diretta, attenzione focalizzata verso un obiettivo specifico; mentre –tha è sinonimo di energia femminile e lunare, di radiazione verso l’esterno e l’altro, rilassamento, assenza di energia, resa alle forze esterne, distrazione da un focus specifico ed attenzione rivolta verso l’Assoluto.
Lo Ha-tha in cui mi sono formata io, due anni fa a Dubai, è detto Hatha Flow, poiché c’è in questo tipo di yoga un elemento di “flusso, corrente” che lascia scorrere le posizioni del corpo, inserite in sequenze più o meno estese a ritmo di respiro, in una fluidità di movimenti consapevoli e di finalità che “uniscono” in effetti le qualità dei due elementi della disciplina.
Oggi mi preparo a continuare la mia formazione con le mie stesse insegnanti di Dubai, presso lo stesso maestro di una di loro in India, alla fonte quindi del sapere e della tradizione millenaria in cui lo yoga è sorto.
Si, perché finalmente ci andrò in India, e là, presso la Fondazione Kevala, nella regione del Chikmagaluru, non troppo distante da Bengalore, me ne starò chiusa per un mese intero dentro un ashram.
Lo so, lo so. Una non può proprio fare a meno di parlare di yoga senza tirar fuori tutti questi termini bizzarri e poco chiari. E dai, prendiamolo così questo primo articolo.
Vi racconto perché sono diventata insegnante di yoga e perché la cosa più importante che possiamo fare in tutta la nostra vita è respirare, partendo dalla definizione di Ashram.
Allora, che cos’è un Asrama o Ashram?
Nessun mistero: detto cosi suona un po’ pomposo ma in realtà, per tradizione indiana antichissima, è un luogo in cui i saggi, o rischi, si ritiravano per condurre un’esistenza di completa armonia con la natura, nella più dedita conoscenza del proprio sé, allo scopo di raggiungere uno stato di beatitudine fisica e metafisica di ‘riunione’ con la propria entità spirituale e con quella di tutte le forze energetiche universali.
Ogni giorno, sotto la guida di un capo spirituale e maestro, detto guruji o, se benedetto da un livello di illuminazione spirituale massima, guruveda, attraverso una disciplina di un certo tipo, gli yogi, all’inizio esclusivamente maschi, si impegnavano in diverse pratiche di natura yogica, meditativa e spirituale, in un percorso scandito da testi di riferimento molto antichi, considerati sacri.
La figura del maestro di yoga, o guru, è tuttora considerata di estrema importanza nell’accostarsi a questa disciplina. Per questo uno yogi, seppure già diventato maestro, resta comunque allievo di un altro maestro, per cosi dire, più esperto e più saggio.
E’ proprio la tradizione che ha visto trasmettere le conoscenze, la filosofia e le tecniche dello yoga oralmente fin dalle origini, ad aver generato la figura del guru e mantenuto in vita, nei secoli, questa chiamata verso lo studio, l’approfondimento, la sete per altre conoscenze, insieme al desiderio fervente di padroneggiare la disciplina sotto i suoi molteplici aspetti. In Sanscrito, questo bisogno di auto-conoscenza e studio di sé si denomina Swadhyaya, o auto-educazione.
Ad ogni maestro di yoga è fatta espressa richiesta di continuare ad approfondire la propria pratica e la conoscenza: il triste giorno in cui si crede di non avere più nulla da imparare è il momento che sancisce l’inizio del regresso e della fine della propria crescita personale di essere umano, prima ancora che di yogi; se si è insegnanti e dotati di un minimo di coerenza, bisognerebbe immediatamente smettere di insegnare.
Comunque un ashram è tutt’oggi un luogo di studio e di raccoglimento per persone interessate al proprio “innalzamento spirituale”. Una cosina così insomma, senza alcuna pretesa, no?!
Ma sì, davvero: uno yogi lo sa e si adopera ed auspica, per sé e per gli altri, questo “innalzamento spirituale” e ciò sia che creda o non creda nel Karma.
Ovviamente non esattamente quello della canzonetta che ha vinto il Festival di Sanremo, bensì quello più famoso ancora della “legge Causa-Effetto“, quello per cui ogni azione compiuta, prima o poi, ha un’influenza sul futuro dell’individuo.
Mi rendo conto che le interpretazioni dell’espressione “innalzamento spirituale” possono dare luogo ad un ventaglio ampissimo di considerazioni. E preciso, per altro, che qui non voglio andare a scomodare alcun ragionamento di ordine religioso, in quanto lo yoga non è una religione, né io sono persona idonea a sorreggere argomentazioni di questa natura.
D’altro canto troppi ancora sono i preconcetti che assimilano con diffidenza lo yoga al Buddismo o che lo fanno percepire come una sorta di demoniaca deviazione dal proprio culto, personale-personalissimo, sul quale nessun vero maestro di yoga metterebbe mai lingua.
Stiamo solo parlando di spirito, di quell’essenza immanente di cui siamo fatti insieme alle altre cose che ci compongono, al di là delle nostre splendide cellule che danno vita ad ossa, denti, capelli, etc.
Sto parlando dei pensieri, sentimenti, emozioni e di tutte le nostre percezioni sensoriali ed intuitive di cui siamo ricchi, ma che spesso giacciono addormentate sotto strati di preclusioni, ideologie, confusioni personali, testarde convinzioni; sto parlando della nostra sensibilità, della nostra creatività, e di molto altro ancora! Sto parlando di quell’anelito di vita che ci anima, del soffio energetico invisibile, impalpabile eppure presente, che ci permea.
Ma davvero lo yoga ha a che vedere con questa questione della spiritualità? Oh, sì, certo che sì. Ma è una pratica, quindi del corpo si occupa e dal corpo “parte”.
Così, mentre sul tappetino una persona scioglie tensioni e blocchi energetici accumulati e ritrova sollievo a livello muscolare, linfatico, circolatorio, respiratorio, nervoso, è possibile arrivare ad un benessere che, da fisico, trascende decisamente in qualcos’altro senza nemmeno che questi lo desideri o ci abbia pensato.
E’ per questo che adoro quello che faccio ed è la cosa migliore che mi sia mai capitata.
Ed è per questo che, a distanza di due anni, ancora più conscia di tutto ciò che ancora non so, faccio le valigie e parto di nuovo a studiare.
Ma che significa la parola Yoga?
Un tentativo tra milioni per cercare di definire la parola yoga potrebbe partire dalla sua etimologia.
In Sanskrito, sì sempre lui, scusate, la radice yug o yolk significa “unire, legare insieme, soggiogare”. Uhm, non suona molto libero, vero? Ma lasciatemi finire. Cos’è che “uniamo”, se facciamo yoga?
Beh, uniamo tutte le componenti del nostro essere: corpo, spirito e mente. Il che, se mi permettete, non mi pare poco. E per quanto riguarda quel “soggiogare”, si tratta di questo: disciplinare la mente, l’intelletto, le emozioni, la volontà per arrivare a guardare la vita con equanimità, in tutti i suoi aspetti.
Avete ragione, un’altra cosina da nulla, mi rendo conto. E poi come faccio a dimostrarvi, a chilometri di distanza da voi, senza farvi fare una vera lezione di yoga, che tutta questa robina qua può davvero accadere su quel benedetto tappetino?
Forse se vi faccio un esempio pratico e di vita vissuta, ho qualche possibilità in più.
Due anni e mezzo fa, con mio marito e i miei due figli ci siamo spostati dalla Svizzera Italiana a Dubai, per motivi di lavoro di lui.
Io praticavo già yoga a Locarno e prima di allora lo avevo praticato, un po’ a singhiozzo, per circa 14 anni.
Cambiando paese, approccio, maestri, ho cambiato anche atteggiamento, aspettative personali e grado di coinvolgimento. A Dubai sono stata folgorata! E che botta.
Arrivata due mesi prima, ancora frastornata dal sole abbacinante, dal chiarore e dal deserto, i grattaceli senza fine, le strade a 5 corsie, le limousine e l’oro, ma soprattutto travolta dai bambini analfabeti in inglese e retrocessi per questo di un anno a scuola con la frustrazione che ne conseguiva, alle ore 3 delle notte del 14 Ottobre 2014 sono stata travolta da una spada di Damocle che non mi ha uccisa solo perché io, sopravvivendo al dolore, potessi lenire le mie ferite, guarire e ricominciare a vivere davvero con molta più determinazione.
A tutti succede di prendere una botta da paura, qualche volta.
A tutti succede di fare una caduta così brutta che quando ci si rialza tutto attorno gira. La botta che presi io fu tale da cambiarmi i connotati: perché quando mi riguardai allo specchio dopo aver assorbito il colpo, i vari pezzi nei quali ero finita non restituivano un’immagine composta di me, ma ero diventata i mille frammenti rotti e disordinati ai quali era necessario porre riparo e mettere un nuovo ordine.
Non parlerò di quell’evento, perché la causa del mio tracollo non è rilevante.
Ce ne possono essere a milioni e non è del resto necessario fare un’esperienza molto dura per rimettersi in sesto e continuare il proprio viaggio con miglior piglio e convinzione, anche se, per l’idea che mi sono fatta fino a qui, in genere è solo attraverso le prove che miglioriamo e cresciamo.
Quello che conta è che, dal mattino seguente, quando mi risvegliai incredula dovendo ammettere con me stessa che purtroppo era tutto vero, io sentii il mio cuore rompersi in un dolore acuto e penetrante e il mio soffio di vita allontanarsi da me, ora dopo ora, piano piano.
Ero enormemente spaventata e sentivo che mi stavo letteralmente perdendo.
Per qualche settimana, incapace di realizzare fino in fondo, divenni un’ombra in vestaglia e lacrime. L’unico mio desiderio: il letto.
Conobbi uno stato interiore di totale prostrazione, apatia, a tratti di atarassia. Ero fisicamente diversa, quasi irriconoscibile nella mia magrezza improvvisa, l’incapacità di deglutire cibi, la leggerezza nella mia testa, l’assenza di energie.
La cosa più dolorosa nel dolore che provavo era il pensiero di non riconoscere me stessa e che nemmeno i miei cari potessero farlo, chiedendosi attoniti dove fossi andata a finire. Era come se il mio corpo fosse altro da me, la mia anima sospesa da qualche altre parte in cerca di una rassicurazione capace di farla rientrare nelle mie fibre.
Ero letteralmente dis-unita, perché infranta profondamente, e quindi rotta.
Ero il preciso opposto di Ha-tha, ma all’epoca non sapevo che lo yoga mi avrebbe potuto aiutare. Però il mio istinto mi guidò, forse. Nella mia solitudine da neo expat della città dei balocchi, la tristezza risultava ancora più assordante. Dovevo fare qualcosa.
Mimetizzata dalla mia 4X4 bianca, confusa tra le altre identiche auto del luogo, dopo aver vagato per ore senza meta, un mattino di invariabile sole mi fermai, incuriosita dal nome, davanti ad uno studio di yoga.
Le mie condizioni erano così brutte che non avrei saputo dove trovare le energie per muovere il mio corpo. Ma il desiderio di finire un respiro fino alla fine, senza sentirlo soffocare in gola, come da giorni succedeva, mi fece ricordare delle mie lezioni di yoga ovunque, prima di allora e del rilassamento finale nel quale avevo sempre trovato sollievo, pace ed in effetti un respiro calmo e profondo. Era quello a cui anelavo. Ritrovare il mio respiro. Mi sarebbe bastato, me lo sarei fatto bastare.
Prima ancora del cibo, è l’aria il nostro nutrimento.
Nei miei polmoni non ce n’era abbastanza.
Essendo quasi morta ma condannata, invece, a vivere con il mio dolore, chiedevo solo di poter recuperare ciò che distingue la Vita dalla Morte: il soffio vitale che tutti anima, finché la Vita è in noi.
Un’ insegnante indiana iperflessibile mi chiedeva di muovermi e respirare in tanti modi diversi.
Incurante di tutto e tutti obbedivo, provavo, scivolavo, barcollavo, mi raddrizzavo, ci provavo di nuovo, mi affannavo, sudavo, quanto sudavo, e mi fermavo, quando diceva lei.
Per sentire il sangue pulsare nelle tempie, nei polsi, per sentire il mio fiato, per sentire l’odore dell’ammorbidente, poco importava allora, l’essenziale era “sentire”.
Sentire, prova ineffabile che esistevo.
Chiamava le posizioni con nomi in Sanskrito, il suo accento era forte, non capivo tutto, dovevo guardare con attenzione e sforzare altri sensi; cantava mantra che risuonavano limpidi nel silenzio della sala e le vibrazioni dell’OM, cui avevo tentato di unirmi ad inizio e fine pratica, avevano indubbiamente smosso qualcosa dentro, al posto in cui prima avevo avuto un cuore.
Dovevo solo eseguire, fare, stare nel mio corpo, recuperare una presenza di me che avevo creduto persa.
Alla fine di quella prima lezione, sciolta in un ruscello di lacrime, trovai una mano che mi aiutava a rialzarmi e che mi disse: “tu sei molto più forte di questo, qualunque cosa sia. Se non ci credi, fai yoga tutti i giorni per 3 settimane e vedrai”.
Una prescrizione medica, una terapia, per me la prima speranza contro la sofferenza, in settimane. Un genio!
Persa nel mio dolore, non sapendo più la ragione di moltissime delle cose che fino a quella caduta mi erano sembrate capisaldi e certezze, chiusa nel mio silenzio, mi andava benissimo obbedire ad una sfida, ero quasi morta del resto, cosa ancora avrei avuto da perdere?
Così feci yoga per tre settimane e al termine di quelle per molto altro tempo ancora.
Provai molti stili e molti maestri e capii che da ognuno c’era cosi tanto da imparare che ogni volta uscivo rinvigorita, energizzata ed inspirata. Oltre a riprendere un paio dei 5 chili persi nei primi giorni seguenti lo choc, mi scoprii più forte.
La mia postura cominciò a cambiare, il corpo, in particolare spalle e petto, ad aprirsi.
Il respiro era migliorato, si era creato più spazio per l’aria che circolava più lieve portando ossigeno rigenerante in ogni regione e angolo del mio essere.
Quando lo sforzo lo richiedeva, potevo recuperare la sensazione semplice, eppure a me necessaria in quel momento, del battito del mio cuore, che da solo mi ricordava, ed era una benedizione, di essere viva.
Un giorno, nel momento in cui restammo accovacciati sul lato destro in posizione embrionale, ancora qualche istante, sentii con precisione questa sincera tenerezza per me stessa.
Mi vidi là, da fuori, sola e piccola, indifesa, appena arrivata in una nuova terra straniera, tuttavia ferita dalla vita come mai prima. Mi vidi là, mentre mi stavo aiutando come potevo, impegnata a provarci con tutte le forze che mi erano rimaste, e che stavano aumentando, intenta a mettercela tutta per riprendermi, per tornare a sorridere, per ritornare a vivere davvero.
Capii il senso della parola compassione, la provai per la prima volta per me stessa. Quel giorno per me sentii amore e rispetto, un rispetto molto più forte del male che mi avevano fatto, colpendomi alle spalle quando meno me lo aspettavo.
Provai quella forza che mi fece rialzare e mi rese solida sulle mie gambe e radicata e allo stesso tempo, protratta verso l’alto. Dopo una vacanza a Bali, qualche mese dopo, in un resort che offre yoga di altissimo livello, presi la decisione intima di imparare tutto quello che c’era da sapere sull’argomento.
A Bali sentii, per la prima volta dopo tantissimo tempo, la nascita di una passione e il bisogno fisico quasi, di condividerla.
Cercai su due piedi un lavoro temporaneo come assistente in un asilo nido vicino casa.
Essere sovraqualificati per un ruolo a Dubai non corrisponde ad essere tagliati fuori dal mercato di lavoro, ma è piuttosto garanzia che tu possa svolgere meglio quella professione. Una cosa piuttosto logica che non ho visto accadere spesso altrove…
Nel primo asilo, mi fecero fare tre giorni di prova: scoprii una vocazione mancata, le ore erano scorse liete senza che me ne accorgessi, e ritrovare manine e faccine innocenti con le risa argentee che risuonavano nelle orecchie mi metteva addosso un sacro buonumore, di cui avevo disperato bisogno.
La direttrice mi chiese di restare: avevano un grande bisogno di personale bilingue franco-inglese, mi potevano usare come jolly per tutte le sostituzioni, contratto immediato. Bingo.
Se lo yoga mi aveva rimesso in piedi, i bambini lieti mi restituirono il sorriso e la certezza che alla vita avevo ancora tanto da offrire. Quando si soffre si crede, in errore, di essere in credito con tutti e si può cadere nello sbaglio di attendersi qualcosa dagli altri. Invece si deve immediatamente ricominciare a reinvestire in se stessi e a dare. Solo cosi l’energia ricomincerà a scorrere libera e a fluire in modo armonioso e positivo.
Con tre mesi di lavoro all’asilo mi autofinanziai quel mio primo training di yoga di 200 ore, presso un organismo di formazione internazionale, conobbi le mie guru-ji e portai avanti la sfida di condividere la mia conoscenza nel Sudafrica in cui ci saremmo spostati alla fine dell’estate.
Di certo si possono leggere gli eventi della propria vita in molti modi diversi, ma io credo nella resilienza e nella capacità umana di resistere agli impatti d’urto scioccanti, per farne un primo, nuovo, solido tassello di una ricostruzione e riorganizzazione emotiva positiva e felice.
Dunque dico che senza l’evento che mi ha ferito a morte, ma dopo il quale non sono morta, no, bensì sono rinata, sono rinata anche proprio grazie allo yoga!
Se mi chiedono cosa ha fatto lo yoga per me, la mia risposta è facile: mi ha salvato. Posizione dopo posizione, respiro dopo respiro.
Ed è per questo che credo in questo sistema e stile di vita affascinante: se ha funzionato su me può funzionare su chiunque altro e io ora posso e quindi scelgo di farlo: cercare di aiutare altre persone in ricerca o bisognose di supporto, e semplicemente persone solo incuriosite a provare.
Ma quindi, in soldoni, come funziona lo yoga e come agisce su di noi?
Abbiamo parlato di conoscenza: conoscere il nostro corpo corrisponde a “sentirlo”, a metterci in ascolto su come è la nostra percezione corporea di quel momento. Questo noi lo facciamo attraverso il movimento.
Con armonia, nel proprio ascolto interiore, soprattutto dei propri limiti del momento, lo yogi impara, gradualmente, a muovere in tutti i possibili assi il proprio corpo e a portarlo gentilmente a sviluppare una muscolatura allungata e flessuosa capace di fortificare e spingere quel corpo oltre quegli stessi limiti.
Lo yogi fa questo attraverso specifici movimenti, detti asana, che seguono un ordine logico e scientifico preciso, per iniziare a far fluire l’energia a partire dalla punta dei piedi, nostre “radici” o fondamento, fino alla corona della testa.
Questa energia vitale, o prana, resa più libera di scorrere tra i nostri muscoli, le articolazioni, le cellule, gli organi interni, attraverso le differenti asana, si veicola in maniera opportuna se l’allievo è pienamente consapevole anche dell’altro elemento fondamentale della pratica: il respiro.
Un forte accento è posto infatti su alcune tecniche di respirazione, dette pranayama, parte integrante dello yoga, che sono capaci di promuovere, attraverso il controllo o lavoro sul proprio respiro, anche un benefico controllo sulla propria mente. Ma cosa c’entra adesso il respiro con la mente? Un attimo, ci arrivo.
Nello yoga diciamo che la nostra mente è simile ad una scimmietta agitata che si sposta convulsamente nella giungla, saltando e piroettando tra una liana ed un’altra. Questa figura simbolica la chiamiamo Chitta Vritti.
Non appena mi siedo in meditazione all’inizio o alla fine della pratica o mi allungo in Savasana, la parte conclusiva di ogni lezione, dove siamo immersi in un rilassamento profondo, e faccio immancabilmente esperienza di Chitta Vritti: è inevitabile osservare con quanta facilità i miei pensieri saltino da una cosa ad un’altra, dalle questioni più triviali (“devo ricordarmi di comprare il latte“) a quelle più complicate (“che nervi quando mi parla con quel tono e mi fa sentire in quel modo“).
Ma io chiedo: si può raggiungere vero rilassamento in un corpo accaldato, che per un’ora e un quarto circa ha eliminato un bel numero di tossine, e ora, liberato e sciolto da un lavoro corporeo ed energetico profondo, mentre il prana pulsa e vibra nelle vene, giace totalmente immobile sul tappetino, pronto ad assorbire tutti i benefici dello yoga, se, nella mente, un motore sempre acceso, ci tiene ancora e sempre “su di giri”?
Come trovare, non fosse che per lo spazio di qualche minuto, un po’ di quiete anche là dentro, nella nostra grande cabina di controllo?
Attraverso il respiro, noi possiamo aiutarci.
Attraverso la guida maestra, il respiro ci ha condotti passo dopo passo, asana dopo asana, in modo accorto, sapiente, mirato, ad ottenere il massimo dalla posizione assunta, lungo tutto il tragitto che ci ha portati fino a quel punto. Poi, al termine della lezione, nel momento più importante di tutti, è di nuovo il respiro che ci permette di trovare il nostro “centro”.
Dopo aver chiesto al corpo, respirando, di piegarsi e raddrizzarsi, di flettersi e allungarsi, di curvarsi e torcersi sempre respirando, dopo aver chiesto al corpo, respirando, di invertirsi e sollevarsi, chiediamo ancora al respiro di guidarci nel rilassamento finale: se un pensiero si accende nella nostra mente è al respiro che portiamo la nostra attenzione.
Senza giudizio, senza valutazione, osserviamo semplicemente la qualità dell’idea o del pensiero che è nato: con consapevolezza, decidiamo di tornare a questo più tardi.
Per il momento, attraverso l’osservazione semplice del respiro, magari di come l’aria entri fresca dalle narici ad ogni inalazione e di come fuoriesca riscaldata ad ogni espirazione; magari visualizzando di inviare il respiro laddove avvertiamo sensazioni di tensione o, peggio, di dolore; magari cercando di aver cura che l’espirazione duri un po’ più a lungo dell’inalazione. Noi troviamo veramente un po’ di requie dalla scimmietta folle nella nostra mente.
Dall’immobilità totale del nostro corpo a riposo, dalla profondità della nostra respirazione, usciamo volta dopo volta rigenerati, energizzati, ma rilassati: lo stato di Savasana, dal Sanskrito Sav, cadavere e asana, posizione, in cui occorre restare assolutamente immobili, si dice sia la asana più difficile di tutte.
Mentre alcuni all’inizio non riescono a rimanere completamente fermi e a rilassarsi e altri si rilassano talmente tanto che si addormentano, chi resta vigile in uno stato di coscienza ha modo di integrare fino in fondo le qualità di Savasana: questa è la porta per la meditazione.
L’effetto finale che ne deriva è un rilassamento diffuso che lascia tuttavia carichi di energia e pronti a continuare la giornata ritemprati e freschi come dopo un lungo sonno ristoratore, rinvigoriti sebbene completamente rilassati.
Molto complesso è il lavoro di Pranayama, il controllo del respiro che a Kevala sarà centrale nel corso del nostro lavoro composto da asana, Krya (pratiche o “azioni purificatrici”), mantra, riflessioni e meditazione. Tutto ciò dovrebbe aiutarci nell’ambiziosa e desiderata impresa di “innalzare la nostra frequenza”. E lo so. Lo so che ne ho detta un’altra un po’ difficile e bizzarra.
Mi riprometto di tornare sull’argomento non appena ne saprò di più io stessa, dopo la mia immersione totale nell’esperienza dell’ashram. Da li, cercherò di produrre nuovi ricordi indelebili, assimilare nuove conoscenze, incontrare nuove amicizie e, magari, raccogliere anche qualche testimonianza diretta per voi, sotto forma di video, se me ne daranno l’autorizzazione.
Le curiosità sul vastissimo mondo dello yoga sono ancora numerose e il mio desiderio di condividerle, lo avete capito, è tanto.
Del resto, come dice la mia guruji, Peewee, più yoga avviene e meglio è!
Vi è venuta voglia di provare? Io vado a chiudere le valigie. A presto!
Namaste.
Poiché il dolore è inevitabile, le asana sono un laboratorio nel quale scopriamo come tollerare il dolore a cui non possiamo sottrarci e come fare invece per quello che possiamo trasformare in qualcosa d’altro.
B.K.S. Iyengar
Chi sono
Concorso Letterario per Racconti:
“Espatrio, le paure ed il coraggio delle Donne’.
Leggi il bando.
26 Commenti
Interessante, avvincente e coinvolgente
Carissima Raffaella,
Sintesi di complimenti che sono felice di ricevere, così generosi!
Grazie!
Namasté -Saluto (mi inchino a) le qualità divine che sono in te.
Amore mio, continua a illuminarci con il tuo vissuto in questa nuova avventura indiana.
Buon viaggio,
Io
Namaste. Hai tradotto meglio di me il saluto-benedizione!
Grazie di sostenere lo yoga che c’è in me…e di aiutarmi a cacciare i miei timori…aiuto!!! Si parte…
Sono semplicemente affascinato da non sapere al momento dire nulla, ma attendo di conoscere ed
assorbire i racconti di questa donna che si racconta.
Ciao, alle prossime.
Michele
Grazie infinite Michele!!!
Sono tanto riconoscente. Mi racconterò di nuovo volentieri.
Ciao ti seguo con affetto.
È molto bello questo! Grazie grazie grazie.
Brividi a leggere il tuo articolo!
Namaste.
Con tanto afffetto.
Ombretta
Carissima Ombretta,
Grazie della tua sensibilità. Tanto bene a te!
Namaste.
Katia, nonostante nel mio viaggio verso Roma abbia letto tutto d’un fiato il tuo splendi racconto di te e della tua crescita personale,non posso che soffermarmi a riflettere a lungo su quanto dici… ho imparato molto sullo Yoga oggi è di te so già molto… continua così e raggiungerai la perfezione ( tra corpo,spirito e mente)!!!nel frattempo seguendo il tuo consiglio, riprendo a respirare profondo perché la mia città natale mi richiederà molte energie!!! TVB amica mia
Carissima Vale,
Che amore che sei nelle tue parole di oggi. Ti voglio bene anche io e spero che un giorno tu possa scoprire un po’ di yoga insieme a me, per andare ancora più a fondo a rivelare la tua splendida natura.
Ti voglio bene anche io, Amica cara!
xxx
Ho letto questo articolo stamani ma non tutto d’un fiato. Prendendomi tempo per respirare vista la lunghezza e la complessità delle tematiche.
Respirando profondo e con concentrazione come meritava. Come suggerito proprio in questo articolo.
Davvero ben scritto e decisamente intenso e ottimamente strutturato. Mi è piaciuto molto. Come gli altri scritti da Katia Giammusso.
Angela,
Sei di una generosità incredibile e ti ringrazio per il bellissimo commento. Mi fa soprattutto piacere sapere che il tuo respiro abbia voluto prendersi il tempo di accompagnare la lettura, che richiedeva pazienza e volontà!
Grazie per entrambe e per continuare a seguirmi.
Quanta saggezza,che orgoglio essere una piccola parte della tua vita .Parti felice e portaci nel tuo cuore un bacio
Grazie Zia Lori, sei tanto Grande❤️ e ti porterei ovunque… tu non sia già stata! ? e sí che tu sei proprio stata praticamente dappertutto!!!
L’orgoglio è mio. Che parole speciali per me!❤️
Ciao Katia, pensavo di conoscerti bene……, invece no. Ho letto d’un fiato tutto il tuo esposto: affascinato, incuriosito, contento di conoscerti nel profondo della tua sofferenza e nello stesso tempo mi ha colpito la forza della tua reazione. Vai completa la conoscenza del tuo interesse sicuro che c’è la farai. Buon viaggio, ti penserò.
Ciao Zione!
Grazie grazissime!
È così. La vita ci sorprende e il dolore accade quando meno ce lo aspettiamo. Ma c’è questa unica un’opportunità dietro un’aspra salita. E questa non è stata la prima. Ero un po’ “allenata” anche se non così bene. Non siamo mai pronti a tutto. Non siamo mai pronti. Ma possiamo fare fronte una volta che ci troviamo in ballo. E questa è stata una delle mie salite.. Siamo solo il risultato di tutte le esperienze vissute. Ma abbiamo la forza della nostra volontà e del cambiamento sempre, nelle nostre vene, se solo per noi vivere e mettercela tutta vince su tutto il resto. Io sono troppo felice di Vivere. Non posso farne a meno! xxx
Namaste ?? zio.
Grazie infinite per questa splendida condivisione e per la generosita’ con cui la fai. Attraversare mondi richiede oltre che una grande dose di resilienza, la voglia di mettersi in gioco a tutti i livelli. Mi avvicino pian piano a questo luogo del respiro che é lo yoga, da vie in qualche modo traverse, che hanno innescato il processo di trasformazione. Il tuo narrare mi conferma che senza una morte, di qualunque tipo, non puo’ esserci trasformazione e rinascita. Un abbraccio. Namaste ?
Madeleine,
il tuo messaggio mi riempie di gioia e soddisfazione. Sento che hai ricevuto molto bene il mio racconto, grazie!
Lo yoga è una delle vie, senz’altro non la sola, come tu sai. Ma il nostro compito su Terra è “solo” quello di essere felici. Una via la dobbiamo cercare. Sono felice che anche tu stia sondando questa. Sono certa che ti porterà molte sorprendenti scoperte e ti darà supporto nella tua ri-nascita, se è necessaria alla tua crescita personale. Ti abbraccio con affetto.
Namaste xxx
Finalmente ti risento e sono sempre piu affascinata da questo mondo dove fisicita e spirito si fondono nell’armonia. Tornerei volentieri indietro per avvicinarmi a questa disciplina che mi avrebbe tanto aiutato e gia mi fa bene solo leggerti. Hai scritto e spiegato in modo stupendo, chiaro e coinvolgente.Buon viaggio mia carissima.
Che bello ritrovarti. E che tu sia così attenta e fedele. Sono toccata dalla tua dolcezza. Cerca un po’ di yoga accanto a casa. Fa bene e va bene ad ogni età! Con affetto
Ho letto con estremo interesse un articolo pieno di passione e energia, quella che hai sempre e che sprigioni da ogni poro! E lo ho letto anche con commozione, perchè tutti abbiamo bisogno di essere salvati e di imparare a salvarci!
Mi sento così ricca e inebriata dal miele che le tue parole sono per me!
Grazie Emma.
Mi rendi felice.
Leggo, rileggo e rileggo ancora, per capire senza dubbi residui. Sono preso dalla levità della prosa, dall’intensa partecipazione emotiva che da essa traspira e che dal testo si travasa in chi legge. Argomenti complessi che si scolpiscono nella mente attraverso uno scritto apparentemente semplice e di immediata assimilazione, prodotto di un pensiero saldo e radicato, di una mente aperta e di una evidente capacità comunicativa. Un’ora di intensa emozione, affacciato sull’orlodi un mondo sconosciuto e coinvolgente.
Grazie Katia, per questo regalo; te ne sono profondamente grato. Sono ansioso di ricevere quanto ancora vorrai condividere con noi delle tue avvincenti esperienze. Sono certo che ritornerai dal lontano ashram più solida, più fortificata e più convincente che mai. Un abbraccio.
Ringrazio io te Romano.
Sono molto riconoscente, le tue parole mi toccano davvero.
Ricambio l’abbraccio