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Eating disorder – parte 2

di Barbara-Bonn
modella-anoressia

Eating disorder – parte 2

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Di nuovo qui a parlare di anoressia. Sempre in termini generici, visto che ogni caso è differente.

Secondo lo psicologo Boris H. N. il disturbo anoressico attraverso l’astensione dal cibo è la decisione di non accettare nulla nel proprio spazio; non portare dentro la propria struttura qualcosa di esterno, con la decisione di controllare i confini dell’io e di non assimilare nulla. Controllo è qui la parola chiave: il vissuto intrapsichico della paziente ha bisogno di controllo. Vuole controllare il suo spazio interno ed i confini dell’io. Quindi non accetta nulla da fuori, non vuole assimilare alcun elemento esterno.

Altri studiosi sottolineano che nelle anoressiche ci sono spesso sentimenti di incapacità e inadeguatezza, di non valore. Tutte queste insicurezze poi si trasformano in distorsioni dell’immagine corporea, a cui si associa un bisogno di dipendenza.

Il rifiuto del cibo permette sia di agire l’opposizione adolescenziale e al tempo stesso di abbandonare il mondo dell’infanzia.

Altri studiosi focalizzano l’attenzione sul sistema famigliare e non parlano di persona anoressica ma di famiglia anoressica: sono le interazioni famigliari ed extra-famigliari che condizionano e definiscono il comportamento anoressico. La famiglia viene vista come il contesto primario di apprendimento, quindi è il contesto in cui avviene o fallisce il processo di individuazione e differenziazione.

Sono state individuate due tipi di famiglie che creano un sistema in cui entrambe anoressia e bulimia possono presentarsi la famiglia disimpegnata e quella invischiata. Nel primo caso sia la comunicazione tra i membri della famiglia e sia le funzione protettive famigliari sono difficili. La famiglia invischiata non da’ ai singoli membri la possibilità di avere un proprio spazio e quindi rende difficile l’individuazione.

Ci sono delle modalità di interazione che rendono il sistema famigliare più propenso ad essere anoressico o bulimico. Ecco elencate le 4 categorie principali: invischiamento, iperprotettività, rigidità ed evitamento del conflitto. Nel primo caso si ha una totale confusione di confini che non sono stabili e non delimitano un io; i vari membri sono ipercoinvolti l’uno con l’altro e vi è una confusione di ruoli.

Vi sono poi le famiglie che proteggono i propri membri in maniera esagerata; sono sempre estremamente preoccupate; quelle rigide, in cui vi è la tendenza alla ripetizione stereotipa di certe tipologie di comportamento; la famiglia si presenta restia ai cambiamenti nei suoi modi di interazione. E’ una famiglia resistente al cambiamento e si presenta come armoniosa e unita: anche se questa e’ solo un patina irreale.

Poi vi sono famiglie che evitano il conflitto a tutti i costi, o magari lo occultano in modo tale che non esplode mai in maniera chiara ed evidente ma rimane latente. In questo tipo di famiglie ogni volta che la tensione famigliare diviene pericolosa uno dei membri si comporta in maniera incongrua di modo da deviare l’attenzione verso se stesso e da evitare il conflitto comunque.

Una delle studiose più importanti in Italia dell’argomento anoressia e bulimia è la professoressa Selvini Palazzoli che ha sviluppato l’interesse per la terapia famigliare dagli anni 70.

Negli anni ’60 si aveva un modello psicoanalitico prettamente individuale peri casi anoressici, con lui si ha in Italia lo studio della famiglia anoressica-bulimica come un tutt’uno, non ci si focalizza solamente solo sulla persone che presenta i sintomi anoressici o bulimici. Quindi si studia la famiglia come sistema unico ed eterogeneo, in cui il sintomo del singolo in realtà è l’espressione dell’intero sistema –famiglia. Siamo quindi di fronte a una visione multidimensionale della famiglia

Secondo la Selvini non è da sottovalutare il rapporto conflittuale della coppia, quindi la relazione genitoriale può creare il sistema adatto in cui si sviluppa l’anoressia e bulimia. Sono le alleanze trans-generazionali che coinvolgono i figli e creano coalizioni con un genitore o con un altro che creano l’humus ideale per il manifestarsi della anoressia o della bulimia. Insomma i figli possono entrare in un gioco di lotta coniugale ed essere usati come pedine, entrano insomma in un meccanismo perverso, che la Selvini chiama il “gioco di istigazione”, che aiuta a produrre il sintomo anoressico. Nel prossimo articolo specificheremo meglio questo gioco di istigazione e il divideremo il sintomo anoressico in due sotto categoria: Anoressia di tipo A e di tipo B.

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