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Erasmus once, Erasmus forever

di Serena - Barcellona

 

Appena ho sentito al telediario cosa fosse successo ho sentito i brividi percorrermi la schiena: “Un autobus che stava riportando a Barcellona una sessantina di studenti Erasmus, dopo aver visitato le famose Fallas di Valencia, si ribalta sull’autostrada all’altezza di Freginals (Tarragona) e il bilancio è di 13 vittime.

Tutte donne, tutte studentesse tra i 20 e 29 anni, 7 di loro italiane.

Quando sono stata a Valencia per visitare Las Fallas (nel 2013) ero tornata dall’Erasmus da due anni, e da quasi uno stavo vivendo a Barcellona. Un mio caro amico era organizzatore di eventi per studenti Erasmus e ci convinse – a me e ad altri ragazzi un po’ più “grandicelli” – a partecipare a questa gita a Valencia. Si prevedeva un tour de force: partenza alle 6 di mattina da Barcellona, arrivo a Valencia alle 10, visita della città e de Las Fallas, fuochi d’artificio alla mezzanotte, discoteca e alle 4 di mattina autobus di ritorno a Barcellona. Nonostante non fossi più una studentessa Erasmus, non mi importava, mi sarei divertita e avrei fatto tante foto… A dormire ci avrei pensato a tempo debito.

Ma ora ditemi come faccio a non pensare che – 3 anni fa – su quel autobus c’ero anche io? Come faccio a non sentirmi una di quelle ragazze? Come faccio a non pensare ai miei genitori, al classico messaggino di mia madre “Quando arrivi a casa scrivimi“? Come faccio, semplicemente, a prendere questa terribile notizia come tante altre? Pranzo, lavatrice, doccia, museo, divano, telegiornale, cena, Modern Family, letto. E stamattina di nuovo, la notizia in tutti i telegiornali, la triste scoperta che 7 delle 13 vittime sono italiane. I loro nomi in tutte le portate giornalistiche: Francesca, Elisa, Valentina, Elena, Lucrezia, Serena e Elisa.

Questa è una di quelle notizie che mi scuotono dentro, nel profondo, che mi impediscono realmente di andare avanti con il mio día-día. Perché mentre rispondo a un’email di un cliente mi isolo dal mondo esterno e ci ripenso. Nella pausa pranzo leggo le ultime notizie, gli ultimi aggiornamenti e ricado sempre lì. Potrebbe essere toccato a me, avrei potuto essere io.

Una di quelle ragazze piene di sogni che avevano appena cominciato a scoprire il mondo, a viverlo, lasciandosi alle spalle la routine italiana, magari di un paesino che non gli avrebbe garantito la stessa felicità e lo stesso futuro che Barcellona gli stava promettendo. Imparare una nuova lingua, sentirla propria ogni giorno di più, conoscere gente nuova ogni sera, vivere una nuova cultura, studiare in una nuova Università, compartir piso, andare al Sonora e poi al Razzmatazz il mercoledì sera e fare l’alba con gli amici, la spiaggia già ad aprile, la clara in una terrazza al tramonto, i vicoli del quartiere Gotico, i colori di Gràcia, la Sagrada Familia, il Tibidabo…

Due cose ti cambiano la vita: innamorarsi e andare in Erasmus. Santa verità.

Io l’Erasmus lo feci a Tarragona, nel 2011, e ad oggi è ancora l’esperienza più bella della mia vita. Furono 5 mesi corti ma intensi, 5 mesi in cui ho conosciuto persone splendide provenienti da tutto il mondo, 5 mesi passati a scoprire e a scoprirmi, semplicemente 5 mesi che tutti gli studenti universitari si meriterebbero. L’ansia, i pianti e l’angoscia previ la partenza, al ritorno si erano trasformati in lacrime amare per un’avventura che era destinata a finire, ma anche in speranza, una grande speranza che come una fiamma mi ha mantenuta viva dentro, perché sapevo che avrei lottato con tutte le mie forze per tornare in Spagna, per rendere realtà quello che fino ad allora era stato solo un sogno lungo 5 mesi.

Penso a quelle ragazze e forse condividevano con me la stessa speranza, forse nonostante il loro Erasmus fosse iniziato da poco, già avevano realizzato che sarebbe stato grandioso. Penso a quelle ragazze e penso che, banalmente, non è giusto. Non è giusto perché non potranno scoprire la magia che un’esperienza come l’Erasmus può creare, non proveranno quella assurda ma reale connessione che può unire le persone che condividono tutti quei mesi… Non è giusto, e basta. Penso ai loro genitori, che potrebbero essere i miei, e che come i miei all’inizio saranno stati titubanti e preoccupati, ma che alla fine le hanno lasciate partire, facendo loro il regalo più bello: dargli l’opportunità di conoscere il mondo con i loro stessi occhi e mettersi alla prova. Penso anche che i loro sogni non le abbandoneranno mai, saranno per sempre con loro, le accompagneranno ovunque andranno. Penso ai loro sorrisi nelle foto che son state pubblicate sui diversi giornali e le vedo felici, erano felici. Quando penserò a quelle ragazze,  mi ricorderò del motto che ha marcato il mio, di Erasmus, ma che mai come in questa triste circostanza riecheggia nella mia testa:

Lo bueno nunca acaba, si hay algo que te lo recuerda.

(Le cose belle non finiscono mai, se qualcosa te le ricorda)

Sulla pelle, nel mio cuore. Io vi ricorderò.

Erasmus once, Erasmus forever.

 

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2 Commenti

Agnese NYC 22/03/2016 - 15:25

Simona grazie di aver scritto questo post in ricordo di queste splendide ragazze che stavano vivendo un’esperienza fondamentale per la loro vita. Questa notizia mi ha colpito parecchio, perché anni fa anche io, come te e come tante altre, ero una di loro. L’intercambio culturale al quale ho partecipato aveva come destinazione proprio la Spagna ed è stata una delle esperienze più arricchenti, che ricordo con gioia. È stato lì che ho capito quanto fosse bello viaggiare, conoscere ed interagire con altre culture, e se oggi vivo qui lo devo anche a quel viaggio.

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Serena - Barcellona 22/03/2016 - 15:31

Ti ringrazio Agnese, è stato un istinto naturale scrivere questo post.. Mi sono immedesimata all’istante in ognuna di queste ragazze. Io, come te, ho iniziato ad amare il mondo e a viaggiare proprio dal mio Erasmus… È una vera tragedia che queste ragazze non potranno vivere le stesse nostre emozioni.

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