Oggi condividiamo con voi la testimonianza di Noemi Neri, expat a Valencia. L’autrice racconta del dolore dell’espatrio, dell’inevitabile cambiamento che ne consegue e della sua esperienza all’estero “dove persino le rotonde hanno i semafori”. Buona lettura!
“Voltare pagina”, per me che sono amante dei libri, è l’espressione più indicata per definire il cambio di vita che ho fatto diventando expat. In valigia non si mettono solo vestiti e averi, spesso ci sono dentro speranze, preoccupazioni, nostalgia. Lasciare tutto non è stato semplice. Rinunciare alle abitudini, la casa, le strade, gli odori, i volti di sempre è un po’ come decidere di darsi nuovamente alla luce. Fare reset di tutto ciò che fino a quel momento ci è stato familiare per ricominciare a costruire la propria vita da un’altra parte.
Ma allora perché si parte? Io sono di origini toscane ma ho vissuto gli ultimi tre anni a Bologna. La mia percezione è che quando lasciamo la nostra città, possiamo vivere ovunque. È avvenuto quel distacco dalla zona comfort e ormai siamo nomadi, pronti a riadattarci in altri luoghi. Il legame al territorio ha iniziato a venire meno già in questo primo piccolo cambiamento. Lo step successivo è stato comprendere non tanto la meta, se non il desiderio di fare il primo passo per venire via da un posto, che questa volta era l’intera nazione, che mi andava stretto. Si sa, ogni cambiamento comporta un sacrificio.
Come crescono le aragoste? Quando l’aragosta sente che il guscio che la avvolge inizia a essere stretto, non può che uscire e produrne uno nuovo. Uscire dal guscio significa essere vulnerabile e alla mercé dei predatori. Lo stimolo che spinge l’aragosta a poter crescere è la sensazione di disagio. Il dolore insito nel cambiamento è ciò che favorisce la nostra evoluzione, la voglia di andare, sperimentare, imparare una nuova lingua, confrontarsi con un’altra cultura. Così, spinta anche io dalla necessità di andare, circa un anno e mezzo fa ho affrontato 1500 chilometri in macchina insieme al mio compagno e i nostri tre gatti.
Oggi vivo in una città da quasi un milione di abitanti, dove alle rotonde ci sono i semafori, tanto sono grandi. All’inizio è come una lunga vacanza, tempestati di continui stimoli, circondati da tante novità da scoprire. Dopo qualche mese di assestamento, abbiamo un bel po’ da fare: da una parte occuparci della nostra integrazione, ricostruire una comunità, cercare opportunità lavorative, apprendere la lingua e le tradizioni. Dall’altra dobbiamo trovare un nuovo equilibrio con tutto ciò che abbiamo lasciato. Frequentare famiglia e amici avviene secondo ritmi differenti e le dinamiche non sono sempre semplici da gestire.
Uno dei miei primi progetti è stata la scrittura di un e-book, ovvero una guida con tutte le informazioni burocratiche e non solo, per i miei connazionali che decidevano di intraprendere lo stesso mio percorso di trasferimento. In parallelo ho aperto una pagina web bilingue in cui ho iniziato a scrivere principalmente articoli e recensioni di libri. Ho aperto poi un gruppo Telegram che oggi ha più di trecento iscritti, il cui scopo era offrire uno spazio che mettesse in contatto le persone al fine di conoscersi e condividere esperienze.
Ho fatto tantissime uscite al buio con gruppi di persone che non sapevo minimamente chi fossero, ho iniziato a fare nuove amicizie, a organizzare piccoli eventi per ritrovarci, come pic-nic, cinema, una semplice pizza. Oltre a intercettare gli altri italiani sul territorio, volevo che fosse un’occasione di scambio interculturale. Nel corso dei mesi il gruppo è cresciuto e ci incontriamo costantemente. Poi è iniziata l’integrazione a livello lavorativo cominciando a instaurare alcune collaborazioni sul territorio pur mantenendone altre con l’Italia.
A volte mi fermo a pensare a tutto ciò che mi sarei persa se non mi fossi trasferita. Non so se questa città può essere un punto di arrivo, nel corso degli ultimi anni, soprattutto in seguito alla pandemia, ho la percezione di un mondo più liquido. Sia dal punto di vista lavorativo, dove il tanto ambito posto fisso mi sembra che adesso non rispecchi più i tempi, per la gestione degli orari ma anche degli spazi. Sia dal punto di vista della casa, il concetto di “abitare un luogo” è in continua trasformazione. Penso per esempio ai cosiddetti nomadi digitali, liberi di svolgere il proprio lavoro ovunque e per questo più propensi a spostarsi di città in città o di stato in stato.
Decidere di trasferirsi all’estero lo ritengo un progetto sempre positivo. Tuttavia, la vita degli expat ha le sue difficoltà. Voglio citare quelle che riguardano gli affetti e che producono un cambiamento su due diversi fronti: la città attuale e quella di provenienza. Per quanto riguarda quella attuale, proprio in virtù dell’essere slegati dalla propria città di origine e di sentirsi più cittadini del mondo, spesso accade, come una sorta di contrappasso, di vedere andare via persone con le quali abbiamo stretto un legame di amicizia. Per quanto riguarda le relazioni affettive della nostra città di provenienza, la questione si complica ancora di più, ma come si dice, questa è un’altra storia.
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