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Expat, non emigrata. E vi spiego perchè.

di Katia
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Testimonianza inviataci da Ilaria

Eh già, così si chiamano oggi coloro che cercano fortuna all’estero.

 Expats, English word molto più cool dell’italiano immigrato, che nella piccola madre patria si associa istantaneamente ad immagini di barconi e sbarchi clandestini.

C’è chi ci nasce in una terra straniera e chi ci si trasferisce ma, nell’animo, c’è sempre stato all’estero.

Viaggiare non mi è mai bastato, ogni volta che ritornavo il desiderio di ripartire era sempre più forte.

È da quando ero poco più che una ragazzina che l’Italia mi va stretta, e ho sempre sognato che un giorno sarei andata all’altro capo del mondo.

Tutto ciò, nonostante sia cresciuta in una classica famiglia borghese, con genitori impiegati statali che sognavano per me il posto fisso. Una sorella maggiore che, crescendo, ha realizzato tutto quello che si può chiedere nella vita: matrimonio, figli, posto fisso, mutuo per la casa, pensione assicurata.

E poi ci sono io, la pecora nera.

Ho ancora il tema di quando avevo 12 anni, in cui descrivevo il mio futuro da veterinaria che viveva in America.

Veterinaria lo sono diventata, ma non senza sacrifici.

Il breve periodo di studi ad Edimburgo durante il mio PhD mi aveva fatto capire che ce l’avrei potuta fare, ma poi ero ritornata in Italia, alla ricerca del posto fisso.

Ho provato ad essere normale, ad avere un marito con posto statale, una casa stabile. Ma non faceva per me, c’era sempre un senso di inquietudine e insoddisfazione che mi rodeva dentro.

Dopo tanti traslochi in Italia (da Roma a Teramo alla  Liguria e poi ritornare mestamente a Roma a casa dei miei genitori) ho dato un taglio ad un matrimonio che si trascinava da tempo e, a 35 anni suonati, ho messo tutti i miei sensi di colpa, le mie insoddisfazioni e le mie paure in valigia e sono partita alla volta dell’Inghilterra.

Come mai oltre manica?

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Perché è stato il primo luogo dove, nel giro di 24 ore, mi è stato offerto un posto di lavoro, con un vero stipendio, come veterinario, e non il veterinario/receptionist/donna delle pulizie per un quarto del compenso come in Italia.

È stato come rinascere: nonostante le difficoltà iniziali, giorno dopo giorno la lingua inglese diventata sempre più familiare, il lavoro migliorava e iniziavo ad esplorare l’Inghilterra.

Dopo neanche un anno ho ottenuto una promozione e ho ritrovato l’amore.

Ho amato la Gran Bretagna, le coste della Cornovaglia, le spiagge del Dorset, le campagne gallesi e le Highlands scozzesi.

Sono cresciuta e sono diventata una persona migliore.

Beh, tutto è bene quel che finisce bene, direte voi.

No, perché chi ha l’animo ramingo non si dà pace: ora sono un expat vera e propria. Out of the blue il mio compagno ha ricevuto una proposta di lavoro in Australia e l’abbiamo colta al volo.

Cani compresi, viviamo a Brisbane, Queensland da circa 3 mesi.

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La lingua non è più un problema, le nane pelose si sono adattate alla velocità della luce, il clima e l’oceano mi ricordano tanto la mia breve esperienza in Belize come volontaria, le palme nel giardino di casa sono la residenza di opossum e pipistrelli giganti.

Inoltre e ci sono una miriade di animali e uccelli che avevo solo visto sui libri o nei documentari di Sir Attenborough.

Ma questo, come lo chiamo io, è  expat livello advanced: già, perché la mia laurea e i miei anni di lavoro in UK non sono riconosciuti qui, quindi alla soglia dei 40 anni mi ritrovo senza un lavoro, o meglio senza 3/4 della mia esistenza perché  – colleghi veterinari lo sapete bene che il nostro non è un lavoro, ma fa parte di noi, del nostro essere- .

Cosa fare, direte voi.

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Mi sto rimboccando le maniche e  ho iniziato a studiare per sostenere l’esame nazionale l’anno prossimo (sì perché qui non si scherza, è un po’ come rifare tutti gli esami dell’università in un unico grande esame).

Mi sono reinventata come dog walker (almeno non devo andare in palestra), faccio volontariato all’ RSPCA e sto cercando lavoro come vet nurse.

Qui in Australia la comunità italiana è molto unita, ma non fa per me.

Ho lasciato l’Italia perché non mi sentivo di appartenere a quel luogo, non mi mancano i pan di stelle o la burrata, ma piuttosto il sorry detto cento volte al giorno, le thank you cards dei miei clienti e, ve lo dico di nascosto, anche quel cielo grigio che sembra debba sempre venir giù un temporale ed invece niente se non un po’ di drizzle.

Certo, i ritmi sono molto più rilassati, cappotti e maglioni di lana credo rimarranno inutilizzati negli scatoloni non ancora aperti e già per me al mattino non si dice più ‘morning ma g’day.

Rimarrò qui? Ce la farò? Non lo so, magari dopo il livello advanced ci sarà il livello expert…

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4 Commenti

Roberta Gasparello 10/04/2017 - 10:13

Brava , mi sento anche io così come te , vorrei espatriare e scoprire nuovi mondi . Ho quasi 58 anni ma mi sento una ragazzina . Ciò che mi ferma è il fatto che non troverei lavoro . Tocca aspettare la pensione , chissà mai se arriverà poi questa pensione , e quando ?!???

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Ilaria 10/04/2017 - 12:58

Grande Roberta, questo è lo spirito giusto! Solo in Italia l’età é un ostacolo, in UK e anche qui in Australia (da quel poco che ho visto) c’è gente che ricomincia una nuova vita dopo i 50 anni. Finché siamo giovani dentro si può fare tutto 🙂 in bocca al lupo!

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laura 10/04/2017 - 13:56

Da expat ho capito una cosa: l`eta` non conta, quindi non ti faccio le congratulazioni perche` hai fatto il passo a 35/40 anni, ma semplicemente perche` l`hai fatto. E anche in Sud Africa si usa il `good day` e lo trovo piu` simpatico del semplice buongiorno, dura di piu`!

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Ilaria 10/04/2017 - 14:44

Grazie Laura! Come mi disse una bella persona incontrata in Belize “do what makes you happy, and take your dogs with you!”: beh, diciamo che ho preso il suggerimento alla lettera e non ho rimpianti 🙂 all the best in South Africa!

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