Sono certa che tutti noi expat ci siamo sentiti ripetere almeno dieci volte la fatidica domanda: “pensi di restare qui per sempre?”
Lo strano quesito te lo pongono anche solo dopo 3 mesi dal tuo trasferimento, mentre ancora cerchi di riprenderti dallo shock, e questo genere di curiosità viene soprattutto a chi non ha mai vissuto all’estero in vita sua, perché, a pensarci bene, è proprio una domanda sciocca.
Che cosa vuol dire “per sempre”?
Come si può pensare al giorno d’oggi che un emigrante, che ha lasciato tutto per ricominciare altrove, magari più di una volta, possa immaginare per se stesso e la sua famiglia di vivere in terra straniera “per sempre”?
“Per sempre” non è riuscito a restare nemmeno a casa sua, il posto del suo cuore: come potrebbe farlo altrove. In una società in costante mutamento chi parte è “per sempre” alla ricerca di nuovi orizzonti, lavorativi, culturali, sentimentali e geografici.
Quando ero all’Università per il corso di Sociologia Culturale, studiammo i movimenti migratori in Europa.
Ricordo precisamente di essermi sentita molto distante da quelle storie, come se osservassi la vita delle persone attraverso il microscopio, in una camera sterile, con il camice bianco. Erano numeri, erano storie che mi interessavano, certo, ma erano lontane, non mi riguardavano e all’epoca non avrei mai creduto di poterne far parte.
Secondo i testi in dotazione al corso esisteva un pattern, un comune denominatore, che rendeva molto simili i “progetti migratori” al netto delle differenze culturali, religiose, demografiche e di provenienza dei migranti. Era “il ritorno” come fine ultimo del progetto stesso di partenza.
Si parte dunque per mille motivi diversi, ma l’obiettivo è tornare.
Certo, questo non è vero per tutti, ogni storia individuale ha le sue sfumature e differenze ma, al di là delle personali idee su ciò che sarà, io sono convinta che pochi sperano di non tornare più a casa. Magari fra 20, o 30 anni… ma a casa.
In ogni caso il concetto di “per sempre” non appartiene a me ed a quanti si spostano per il mondo mossi dalla voglia conoscere, di fare bene, di stare meglio.
Non credo noi migranti si possa mai davvero aspirare ad un vero equilibrio che ci porti a stare in un posto per il resto della vita.
Invidio molto chi lo ha ottenuto, a me sembra una chimera.
Equilibrio nel paese che ti accoglie?
E’ possibile, ma solo se rinunci a confrontarti con il tuo passato o con il tuo futuro.
Equilibrio nel paese che hai lasciato? Impossibile, sei troppo cambiato, non appartieni più interamente ai quei luoghi.
Ma allora, perché tornare? Non saprei dirvelo.
Più che a un vero ritorno fisico, io credo aiuti molto pensare ad un ritorno possibile. Ad un tempo in cui potrai godere dei risultati dei tuoi sacrifici in un posto che senti più tuo degli altri. E’ un progetto di ritorno immaginario che ci aiuta a definire la nostra traiettoria nel mondo. Che poi si avveri o meno, questo dipende da mille cose.
Sicuramente questa idea mi viene subito in mente quando qualcuno mi domanda se ho intenzione di restare qui “per sempre”.
Certo che no, non ne ho “intenzione”, conosco un po’ il mondo, so che altrove in futuro ci saranno nuove opportunità per me e la mia famiglia, le nostre priorità con il tempo cambieranno, sono convinta che non esista un posto che sia quello giusto per sempre.
Se ci fosse stato sarebbe stato casa mia.
Invece credo fermamente che ci siano molti luoghi giusti in corrispondenza delle diverse fasi della propria vita. Anche per questo non riesco ad apprezzare (anche se certamente lo rispetto ed in un certo modo lo trovo invidiabile) il percorso di vita di chi nasce e muore nella stessa città, senza essersi mai posto il problema o dato l’occasione di vivere per un po’ lontano dalla cara asfittica comfort zone.
Non posso prevedere il futuro, ma non posso nemmeno immaginarlo statico, in una città, per il resto della vita, in un paese “per sempre”.
Non cambiare più è un pensiero che mi dà i brividi.
Concorso Letterario per Racconti tema Expat “Le paure ed il coraggio delle Donne” aperto fino al 31 luglio 2017. Leggi il bando.
Chi sono
4 Commenti
Concordo con te, brava, ben detto! Devo dire che quando sono arrivata in Australia con tutto davanti ancora da fare, a volte mi sono sentita davvero un po’ imbrigliata in una situazione che richiedeva di restare e quasto mi faceva temere un “per sempre” . Adesso, dopo quasi sei anni di Australia e il passaporto in tasca, ho sciolto dei nodi e ho cominciato a realizzare davvero che non sarà per sempre, abbiamo la cittadinanza quindi ora possiamo anche andarcene e continuare a girare il mondo. È un controsenso ma io personalmente credo di dover continuare a cercare e se sarò fortunata troverò un posto che potrebbe essere il mio per sempre mentre per il mio compagno il per sempre in un posto non esiste proprio come concetto interiore. Io ho dovuto lavorare un po’ invece per capire bene che anche se siamo qui ora non significa che sarà per sempre sempre che un per sempre esista da qualche parte nel globo!
Quanto è vero quello che dici!
Mi hai tolto le parole di bocca, anche se non condivido alcune cose che hai detto: io non invidio né chi vuole tornare, né chi vuole nascere e morire nello stesso posto.
Ma forse è perché sono espatriata da poco e sono ancora troppo giovane per il “per sempre”.
Magari ti risponderò in un post sul blog 😉
Ariane – Berlino
Se fosse possibile un ‘per sempre’ non saremmo neanche partite, hai ragione.
Oggi cara Elena cercavo un po’ di ispirazione…grazie!Abbiamo formulato lo stesso pensiero!!:-)