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Expats Café: il caffè dell’expat

La storia di Nicky

di Samanta - Jena DE
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Oggi lasciamo la parola a Nicky, expat da oltre diciassette anni. Di seguito troverete il resoconto dei suoi trasferimenti e dei tanti tipi di caffè che ha bevuto negli anni. Si tratta di un testo a tratti essenziale ma pieno di non detti. Un viaggio mentale e fisico alla scoperta di culture diversissime tra loro che hanno forgiato la sua anima nomade. Buona lettura!

Lasciai l’Italia 18 anni fa, subito dopo l’università.

Avevo così fretta di scoprire il mondo che non aspettai nemmeno di ricevere la pergamena del titolo di Dottoressa in Legge. Se ancora esiste, sarà in qualche polverosa cantina di un ufficio postale capitolino. Iniziò così la mia vita da emigrante, con un biglietto aereo per il Regno Unito e un titolo universitario ignorato.

Arrivai a Londra con una valigia gonfia di aspettative, pregiudizi e progetti.

Il vuoto, e quindi lo spazio per ciò che avrei imparato, non lo avevo considerato. Si fece spazio da solo prendendo a martellate gran parte del mio bagaglio. Lavoravo come cameriera mentre studiavo inglese. I suoi abitanti, in sintonia con il ritmo frenetico della città, non avevano tempo per chi non parlasse bene la lingua. Chiedere di ripetere piú lentamente significava essere trattata come una bambina di cinque anni.

L’esperienza londinese mi irruvidì, mi insegnò che in alcune culture ci deve guadagnare un trattamento amichevole. Imparai che a volte è meglio tacere che parlare, che l’esuberanza italica è talvolta fuori luogo, che bisogna rispettare sempre la fila. Dopo un anno di Londra, qualche chilo in meno, una maggiore padronanza della lingua e i primi veri peli sullo stomaco, vinsi una borsa di studio per l’Irlanda. Ero felice di lasciare una città così dura e il suo caffè annacquato ed eternamente amaro.

caffè-irlanda-nickyArrivata in Irlanda caddi in un profondo sconforto: parlavano con un accento incomprensibile.

L’incubo di ricominciare tutto da capo si dissolse presto. Scoprii che ero in un mondo magico, pieno di gente amabile. Di giorno si lavorava sonnolenti e di sera ci si scaldava in accoglienti pub con fiumi di birra, pietanze pesanti ma buone e concerti dal vivo, il tutto irrorato da pioggie torrenziali.

Dalla casa in cui vivevo potevo raggiungere il pub in cui mi vedevo con i miei amici in due modi. Un cammino molto lungo e illuminato e uno molto corto che attraversava un cimitero celta. Il secondo divenne l’abituale. Passeggiare fra lapidi e croci al buio con un tempo la lupi perse presto ciò che aveva di terrificante. Lezione imparata: l’orrore perde il potere di spaventare quando si ripete.

La bella Irlanda mi scaldò il cuore con la sua gente, la sua pioggia e la sua birra. Mi spinse verso qualcosa di inimmaginabile: non azzardandomi a bere il suo caffè che sembrava una tazza di guiness, imparai a bere il caffè solubile. Ora potevo andarmene.

Barcellona mi accolse in tutto il suo splendore, furore e pazzia.

caffè-nicky-barcellonaEra bella, semplice, colorata. Le sue estati e le sue notti erano interminabili. Le feste, poi, erano innumerevoli ed era piena di giovani di tutte le nazionalità che ballano al battito pulsante di una città che, nel 2005, era la piú felice del mondo. 

Amai Barcellona follemente e la chiamai “casa” per tanti anni. La crisi economica, le inquietudini indipendentiste, i normali cicli di vita della città e i miei personali, me la fecero vedere piú grigia e piú sgualcita. Mi accorsi che il suo caffè aveva un retrogusto di bruciato. Partii il piú lontano possibile.

La Nuova Zelanda, bellissima e ruspante, mi accolse tra una natura lussureggiante e i suoi paesini Playmobil.

Centri abitati da 300 o 400 persone composti da qualche casa, almeno un pub, in cui si alternavano un ospedale, una stazione di polizia, o la caserma dei pompieri. La vicina Australia piú fashion e meno accogliente, piú ambiziosa e meno bella, mi fece divertire senza sedurmi. Questi due Paesi furono un tuffo nell’acqua piú blu, dove trascorsi due anni sabatici selvaggi, tra un lavoretto e l’altro, molte spiagge, molto mare e molte avventure, pensando solo al presente mentre bevevo un caffè troppo strutturato, quasi artificiale. Finito il tuffo, era il momento di tornare a casa, a Barcellona.

dubai-caffè-nickyMa quando si è nomadi è difficile fermarsi e ora sono a Dubai, città sicurissima, bellissima, carissima, pulitissima.

La gente educata e secca, offre una cordiale gentilezza senza sorriso, come un bacio senza contatto. Dubai nella sua multiculturalità è desertica: chiede che si rispettino le sue ferree regole senza esigere nessun processo di integrazione, non ti vuole adottare come figlio/a, non ti chiede di imparare l’arabo o di assorbire la sua cultura, e non ti dà la possibilità di ottenere la nazionalità o la residenza permanente. Offre una relazione di convivenza in cui chiede adattamento a cambio di multiculturalità.

Non so per quanto tempo potrò bere il suo caffè VIP, non troppo buono ma in una tazzina dorata, il mondo è grande e la vita è solo una, ma ora sono qui e il futuro è oggi.

Se vuoi seguire le avventure di Nicky, seguila sulla sua pagina Medium e non perderti nessuno dei suoi post.
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