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Quando i genitori espatriano cosa ne pensano i figli?

di Giovanna Tinti
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valentina-genitoriValentina, figlia di Giovanna espatriata  in Oman, riflette sul paese di adozione dei suoi genitori e sulla scelta della sua famiglia. (Il suo primo articolo lo potete leggere QUI, scritto dopo una visita in Oman per festeggiare il suo compleanno in Oman con la famiglia)

L’Oman è un paese estremamente affascinante.

Prima che i miei genitori ci si trasferissero non sapevo nemmeno dov’era e quando dico che vado in Oman a trovarli tutti assumono un’espressione a punto interrogativo e cominciano a fare supposizioni su dove possa essere: “Ma… è in Russia? In Africa? Vicino all’India?”.

Quando spiego che si trova sotto agli Emirati Arabi e di fianco all’Arabia Saudita, poi, tutti mettono su la faccia del “Oh caspita, ma vai lì in mezzo?”,  perché ovviamente cominciano a collegare a quei nomi tutta una serie di preconcetti o idee che con l’Oman non c’entrano nulla. È normale, la mente umana è fatta così, associa idee e significati precostituiti a ciò che non conosce, e l’Oman, come tanti altri luoghi e esperienze della vita, bisogna “vederlo per credere”.

La religione in Oman è ibadita, ovvero la terza via che si aggiunge a quegli sciiti e sunniti di così tanto sentiamo parlare nei telegiornali. Gli ibaditi si concentrano principalmente solo in Oman e altri pochi luoghi e (qui cito direttamente dalla pagina Wikipedia perché ne sa molto più di me) si distinguono per una particolare moderazione e per il ripudio della violenza ritengono che il comando della comunità non spetti necessariamente ad un discendente del Profeta, ma solo al più degno dal punto di vista religioso, indipendentemente dalla sua parentela, dalla sua appartenenza etnica e dal colore della sua pelle”.

omanLe parole d’ordine quindi sono apertura e moderazione, gentilezza e interesse verso l’altro. Usi e costumi occidentali sono ben accettati, anche se ovviamente è richiesto rispetto per il loro credo e le loro regole. Che vuol dire, tenersi per mano e darsi il bacino per strada sì, ma senza dare spettacolo; calzoncini corti e canottiera sì, ma avendo il rispetto e la sensibilità di capire che in certe zone è il caso e in altre no, quindi se sei in spiaggia va bene, se vai al supermercato sotto casa pure, ma se vai nella città vecchia o in giro in certe zone il venerdì (la loro domenica) magari ti metti una gonna lunga e una maglietta con le mezze maniche; il bikini, anche risicato, va benissimo sulle spiagge più turistiche e nelle piscine, in altri luoghi più frequentati dalle persone più anziane è meglio il costume intero o almeno un pareo. Poi nessuno ti dirà probabilmente mai niente se contravverrai a certe regole non scritte, ma credo che il rispetto esiga rispetto, e come gli Omaniti rispettano te, tu debba rispettare loro. E questo vale per ogni situazione e paese, perché come diceva molto semplicemente mia nonna: “paese che vai, usanza che trovi”.

Ogni volta che giriamo per Muscat non posso fare a meno di stupirmi della conformazione di questa città, che è enorme, sul mare ma ai piedi delle montagne. Montagne che spuntano qua e là, con le case attaccate, ma proprio attaccate, nel senso che a volte è niente che il muro posteriore sia proprio il fianco della montagna.

Tu passi in auto attraverso queste enormi vie trafficate a 5/6 corsie e da una parte vedi l’Oceano, dall’altra casine e condomini in cui abita una moltitudine di gente.

Sul ciglio di questi stradoni si possono osservare giardinetti dove le famiglie di indiani si ritrovano per fare pic nic seduti sul prato o portano le seggioline, la sera, per star lì a fare anche solo due chiacchiere. Un po’ insomma come se  a Bologna qualcuno facesse i ritrovi con gli amici nel fazzoletto di verde che c’è tra i due sensi di marcia dei viali. Solo che a Muscat questi praticelli sono a lato della strada, sono pieni di palme, di fiori colorati e di gazebo arabeggianti provvisti di panchine, la temperatura a novembre è tra i 28 e i 32 gradi e i parchi pubblici scarseggiano.

Quindi sembra strano, ma al contempo perfettamente normale, vedere queste famiglie dalle vesti colorate sedute lì in mezzo, a ridere e chiacchierare scambiandosi il cibo. E queste “stranezze” che appaiono come perfettamente sensate sono uno dei motivi per cui adoro viaggiare.

Ogni tanto guardandomi attorno mi chiedo come abbiano fatto i miei, dopo una vita passata in Italia (anche se mio babbo per lavoro è sempre stato itinerante), a trasferirsi in pianta stabile in un posto così lontano, con costumi così diversi, ad un’età in cui normalmente si cominciano a fare i calcoli per la pensione e a ventilare la possibilità di avere presto o tardi dei nipotini.

Altre volte penso che abituarsi in un posto così bello e tranquillo sia di sicuro più semplice che in altri luoghi.

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Resta il fatto che ci vuole del coraggio, perché cambiare vita non è mai facile.

A 55 anni ci si aspetterebbe di andare a trovare i propri figli all’estero, piuttosto che aspettarli in aeroporto perché all’estero ci stai tu. Ti aspetteresti che tornassero loro per Natale a casa, e non viceversa.

Questo ribaltamento dei ruoli è inconsueto, direi quasi originale, e lascia sempre perplessa la gente che non sa tutta la storia, che dopo avermi chiesto dov’è l’Oman, aggiunge (sempre): “E perché vai proprio in Oman?”. Quando glielo spiego di solito segue una facciottina sinceramente dispiaciuta all’idea che i miei vivano all’estero e mi abbiano lasciata qui da sola, anche perché, per fortuna e purtroppo, la gente crede sempre che io sia molto più piccola di quello che sono in realtà.

Quindi la terza, speranzosa, domanda è (sempre): “Ma almeno qui hai fratelli?”. Perché il concetto di genitori che partono e figli che restano insinua questa idea di abbandono del nido, che è consentito ai figli che crescono, ma non ai genitori, che crescono a loro volta.

Ammetto che sia stato un po’ traumatico il fatto che la “Casa” come la concepivo prima qui non ci sia più. La Casa? Quel posto in cui vai a mangiare la domenica a pranzo, in cui si fa l’albero tutti assieme a Natale e ognuno ha le sue palline speciali da attaccare perché “Quella l’ho sempre attaccata io e quella tu”, in cui porta la maglietta preferita in cui il gatto ha fatto un buchino perché mamma sa come ricucirla e tu no, in cui apri il frigo senza permesso e prendi tranquillamente qualcosa da bere anche se convivi col tuo compagno da anni.

Ora che però mi sono abituata capisco che la Casa non è un luogo, ma un concetto, e come tutti i concetti si possono riadattare, espandere e ridimensionare. Quindi ora il frigo lo apro in Oman, e ci porto pure le magliette con i buchini (ammetto che sarebbe più facile imparare a ricucirli da sola, ma nella nostra famiglia ognuno ha le sue competenze specifiche). E il tempo passato assieme diventa più un tempo di qualità, che un tempo di quantità, e quello di qualità come si sa non è un tempo scontato o sempre facile da ottenere nelle famiglie.

genitori-omanL’ultima riflessione che mi viene da fare, sull’aereo di ritorno, è una riflessione di tipo più “politico-sociale” ed è assolutamente soggettiva, quindi assolutamente anche non condivisibile. Alla fine però i discorsi che sento fare dagli Italiani che vivono all’estero sono sempre uguali: qui (dove il qui è un qui generico, dall’Oman agli Stati Uniti, passando per l’Europa, l’Australia e via dicendo) si sta bene perché si riesce a lavorare e, soprattutto, ad essere soddisfatti del proprio lavoro e dei guadagni, ma mancano tanto gli affetti, la famiglia e quella sensazione di essere a casa che si associa al senso di appartenenza.

Il paese in cui ti trasferisci diventa il luogo in cui vivi, più raramente il luogo in cui ti senti a casa. E per quanto tu stia bene, rimane il fatto che se il tuo paese ti avesse dato la possibilità di realizzarti come ti sarebbe spettato e di avere quella “dignità” lavorativa che ti aspettavi, probabilmente te ne saresti rimasto dov’eri.

Perché alla fine l’Italia è bella, ti piace, si mangia bene, c’è la tua famiglia e ci sono gli amici con cui sei cresciuto. Ma. Ma “devi stare sempre attento ai 10 euro”, ma devi sempre sperare che il bonifico entri/la fattura venga pagata, ma devi sperare che. Che non arrivi la cassa integrazione, che il lavoro ci sia, che il mini contratto venga rinnovato, che anche se il mini contratto è stato rinnovato poi non ti rendano la vita un inferno.

Quindi, spesso, questo paese più cresci più sembra toglierti qualcosa piuttosto che dartelo; ti mette i bastoni tra le ruote più che aiutarti, e quando e se finalmente raggiungi un obiettivo spesso ti guardi indietro e ti vengono le vertigini ad osservare quanto hai dovuto sputar sangue per ottenerlo.

Quindi parti e te ne vai, stai meglio con te stesso e guadagni meglio, ma quando guardi a tutto quello che lasci a casa (gli affetti appunto) ti viene un po’ di amaro in bocca. E questo anche se non vivo all’estero lo capisco, perché tornare in Italia e trovare la sera stessa tutti i miei amici pronti a festeggiare il mio compleanno con un paio di giorni di ritardo mi ha regalato una gran gioia, che mi mancherebbe infinitamente anche se dovessi trasferirmi nel luogo più incantevole della terra.

L’ultima analisi che mi concedo è che è stato un compleanno bellissimo e che se c’è una caratteristica bella della mia famiglia è che sa come rendere i festeggiamenti speciali. Quindi la parola che associo a questo secondo viaggio in Oman è “gratitutine”, altra cosa mai scontata nella vita.

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2 Commenti

Robbi e Annalena 25/12/2016 - 19:33

buon natale da Robbi e Annalena

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Giovanna Oman 13/02/2017 - 18:43

vi chiedo scusa! ho visto il commento solo ora! Ma come avete fatto a beccarmi qua? 🙂 vi abbraccio!

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