Gli esami non finiscono mai
Non vi sentite mai sotto esame? Osservati, confrontati, giudicati.
I primi passi nella vita da expat sono tutti su un palcoscenico, davanti – volenti o nolenti – ad un pubblico di spettatori convenuti lì per caso; un po’ annoiati, neanche particolarmente interessati alla tua performance. Ti osservano, di sottecchi, con un’aria mista tra nonchalance, superiorità, curiosità.
Te ne stai lì, con tutti i riflettori ben puntati, e insceni la tua quotidianità: un colloquio di lavoro in un mondo che non conosci, una scenata al parco ai tuoi figli che giocano sfidando tutte le leggi della fisica, la prima carta di credito chiesta in banca, qualsiasi prima esperienza che puoi avere in un mondo in cui cammini senza conoscere le regole non scritte del gioco.
C’è chi ti osserva con attenzione in attesa del momento in cui inciamperai e cadrai rovinosamente a terra (non so voi, ma in Italia ho chi non aspetta altro per vederci tornare con la coda tra le gambe); chi ti guarda divertito come si può guardare una scimmia allo zoo, pronto a tirarti una manciata di noccioline per vedere la tua reazione.
Ci sono quelli a cui non interessa assolutamente niente e, forse, nemmeno ti stanno guardando ma sonnecchiano dietro ad una mano sapientemente appoggiata alla fronte per reggere la testa che altrimenti ciondolerebbe, ma tu sei talmente paranoico che pensi ti stiano scrutando con la stessa attenzione con cui Cracco ti guarderebbe affettare le cipolle, pronto a lanciarti improperi e commenti al vetriolo sulle tue (ovviamente scarse perché la ipercriticità è una delle tue caratteristiche salienti) abilità, mentre piangi senza sapere se è per lo zolfo della cipolla o per le parole ricevute.
A me tutto questo mette un’ansia da prestazione che non vi dico.
Una volta non ero così.
Mi lasciavo scivolare tutto addosso, certi problemi manco me li ponevo.
Facevo quello che dovevo fare e andasse come doveva andare, senza pensare alle conseguenze e ai giudizi della gente.
Come la me bambina che arrivava in spiaggia e si spogliava correndo verso il bagnasciuga, lanciando vestiti ovunque; entrava in acqua talmente in fretta da non percepirne nemmeno la temperatura, si tappava il naso e si buttava di testa nella prima onda mentre la mamma “spiegava”, urlando, le conseguenze di un bagno con una parmigiana di melanzane in pancia prima che fossero passate le famose 2 o 3 ore (a seconda delle tradizioni di famiglia). La logica nella mia testa non faceva una piega: “sono al mare, al mare si fa il bagno. Forse l’acqua sarà fredda, ma cosa importa? Il bagno lo voglio fare, tanto vale risolvere la faccenda subito: un tuffo veloce e passa la paura, che poi ci si abitua subito. La congestione durante la digestione dev’essere una leggenda metropolitana…”
Oggi, invece, l’ingresso in acqua è più o meno così: mi avvicino al bagnasciuga senza respirare nel tentativo di tenere la pancia il più possibile, mentre mi faccio dei film mentali sui movimenti tellurici a cui e sottoposta la ciccia piena di cellulite delle mie cosce; arrivo all’acqua e mi blocco, testando con un alluce la temperatura (che, ovviamente, percepisco gelida anche alle 6 di sera con 40°. Si sa che a una certa età si avverte sempre un po’ di “freddino”); dopo 5-10 minuti di training autogeno e accurate valutazioni di tutti i fattori fisici e ambientali, inizio la prudente discesa verso acque più profonde (altezza ginocchio), dopodiché comincio il rituale legato alla sapienza popolare di mia nonna di bagnare polsi, fronte e nuca; procedo cautamente nella mia avanzata fintanto che questo stillicidio non mi porta ad una profondità tale da bagnare la pancia; scongiurato il pericolo della congestione (si sa che bisogna bagnarsi progressivamente per abituare il corpo), tra urlettini di fastidio e ripensamenti intermittenti, finalmente, mi butto e inizio a nuotare, imprecando e battendo i denti. Ovviamente, in tutto questo, la testa rimane fuori dall’acqua, che ho una certa età e poi la cervicale, i capelli arruffati e che si sciupano, le infiltrazioni nelle orecchie…
Anche le cose più semplici e gioiose, con il passare del tempo, sono diventate macchinose, stressanti e piene di risvolti ansiogeni.
Si fa tutto lo stesso, eh! Non sia mai che mi faccio fermare dalle mie paure ed insicurezze.
La testardaggine, croce e delizia del mio bagaglio caratteriale, non mi ha ancora abbandonato, ma con l’andare del tempo devo ammettere a me stessa che ho perso buona parte della mia capacità di sopportare e gestire lo stress. In compenso sono diventata bravissima a crearmelo anche dove non c’è: meravigliosi regali della maturità (solo anagrafica, quella personale, per fortuna o purtroppo, rimane una chimera)!
Ed eccomi qua, a 36 anni suonati, ad affrontare uno dei peggiori incubi dopo l’esame di maturità: la patente.
Quei pochi centimetri quadrati di plastica rosa che sanciscono la tua indipendenza quando raggiungi i 18 anni, che segnano la differenza (almeno nella tua testa) tra rimanere incastrato in un paesino di nemmeno 3.000 anime e seguire nuove rotte verso la città più vicina.
Quando finalmente stringi tra le mani il tuo lasciapassare per la libertà e ringrazi qualche divinità per il suo ottenimento, non immagini che di lì al raggiungimento del suo (della patente) diciottesimo compleanno ti toccherà rifare tutto da capo, dall’altra parte del mondo.
Perché tra Canada ed Italia, nonostante se ne parli da anni, non esiste il reciproco riconoscimento delle patenti di guida. Il che vuol dire, né più né meno, rifarla da capo.
L’unico “privilegio” che ti è concesso è di farti riconoscere, tramite documenti e traduzioni, l’esperienza al volante e saltare tutto l’iter tra il quiz e l’esame finale.
Non è poco visto che qua il percorso prevede 3 step: l’equivalente del nostro foglio rosa dopo la teoria, una prima patente con limitazioni dopo un anno dal foglio rosa (riducibile a 8 mesi se prendi lezioni di guida) ed un secondo esame di pratica ad un anno dal primo per avere la patente completa, senza limitazioni.
Il test è fattibile, basta studiare quelle cose che sono diverse dal nostro codice della strada (tipo qua si può svoltare a destra con il rosso, la precedenza ce l’ha il primo che arriva all’incrocio poi, nell’ordine, tutti gli altri), come ci si comporta con scuolabus e tram e il sistema a punti con le relative sanzioni. Il resto lo fanno l’esperienza e il buon senso.
La pratica è stata fonte di non poco stress, soprattutto perché sai che, se fallisci l’esame finale, poi potrai tentare solo quello per la patente con le limitazioni e tornare per quella definitiva dopo un anno almeno.
Ho passato una mattina con le mani sudate, il cuore che ogni tanto perdeva qualche colpo e lo stomaco completamente chiuso (io non ho mai lo stomaco chiuso e le mie boteriane – passatemi il neologismo – forme ve ne possono dare testimonianza!) per fare il mio esame sotto la neve.
Perché, diciamocelo: siamo in Canada. Se fai l’esame a gennaio e se sei sfigato non puoi pensare di non farlo con la neve…
Com’è andata?
Guida perfetta, patente presa! Mi congratulo con me stessa per il risultato conseguito, un po’ meno per le paranoie che mi faccio quotidianamente.
Adesso mi preparo psicologicamente per affrontare un’altra buona dose di stress: i colloqui di lavoro.
La stagione della caccia all’impiego è ufficialmente iniziata. Abbiate qualche pensiero positivo per me mentre mi contorco sulla sedia di un qualche responsabile delle risorse umane e mi do il tormento alle mani (o gesticolo più del solito, da brava italiana agitata: a voi la scelta del copione!) nel tentativo di esorcizzare la mia ansia da palcoscenico.
Chi sono
15 Commenti
Ciao Anna, il tuo articolo è carinissimo. 🙂
Invece il punto in cui tu scrivi: “non so voi, ma in Italia ho chi non aspetta altro per vederci tornare con la coda tra le gambe” mi ha davvero scioccata. Davvero c’è gente così meschina?
Ciao Isabella. Grazie per avermi letto e per il tuo commento 🙂
E’ un discorso un po’ complesso quello del ”tornare con la coda tra le gambe”. Non credo sia cattiveria, solo troppo amore nella sua accezione piu’ egoistica di chi sa che ogni successo fuori dall’Italia e’ un passo in piu’ che ci allontana da loro. Figurati che ho fatto un colloquio qualche giorno fa e nemmeno mi hanno chiesto come e’ andata! Ma vabbe’, le spalle larghe non mi mancano e si va avanti lo stesso!
Com’è andato il colloquio?
Niente di fatto, purtroppo. Mi mancava decisamente l’esperienza canadese per poter fare un lavoro da casa dove avrei dovuto seguire tutto da sola, senza possibilità di avere formazione sul campo. Mi ha fatto molto piacere che fossero comunque cosi’ interessati agli altri aspetti del mio cv da spendere mezz’ora del loro tempo in un pre-colloquio telefonico e poi un’altra ora e mezza di persona. In compenso ho portato a casa un sacco di consigli utili su cosa studiare, quali corsi frequentare, che certificazioni prendere per integrare le mie conoscenze.
Ciao Anna! Mi é piaciuto il tuo articolo.. e sono a Toronto anche io e probabilmente la tua ansia per l’esame della patente sarà la mia stessa tra qualche mese quando dovrò iniziare anche io a studiare per farla!
L’idea del tornare con la coda tra le gambe é la stessa di chi ti dice.. ma stai bene li? Guadagni abbastanza? Ma perché non torni? E del troppo amore.. che diventa puro egoismo.. e la domanda non é “come stai li?” Ma.. “quando torni a trovarci?”.. purtroppo ti capisco! 🙂
Cara Francesca, è dura non mandare tutti a quel paese, eh? A volte mi mordo la lingua perché la tentazione è veramente forte :'(
Evidentemente per tante fa parte del pacchetto expat, ma che tristezza… Un abbraccio Francesca, e speriamo che il freddo della settimana scorsa sia finito!
Ciao Anna,
che bella storia, ci sono tante difficoltá da expat che neanche si immaginano. Complimenti per la patente, e chi aspetta che tu fallisca… tranquilla, con il tempo si arrenderanno.
A 18 anni sono andata a Milano da Napoli e avevo la tua medesima sensazione… All’inizio non è stato facile e tutti non facevano altro che aspettare che tornassi… io non solo non sono tornata, ma mi sono spostata prima a Malaga, poi a Londra, ora a Madrid, e chi lo sa in futuro! Quando sono arrivata a Malaga, una persona con un profilo falso mi ha scritto su facebook “quindi a Milano hai fallito?” Rimasi senza parole, ma decisi di fregarmene altamente, ero felicissima della mia nuova esperienza e niente e nessuno poteva giudicare. La volta successiva, a Londra, è stato ancora peggio… per Madrid si sono arresi, o forse sono io che ho deciso di fregarmene. La vita è troppo breve per dare importanza alle invidie altrui.
In bocca al lupo per tutto!
Brava Ilaria, il tuo è l’atteggiamento giusto! Spero di arrivarci anch’io un giorno a fregarmene. Per ora sopporto, ma sono queste battute infelici lasciano ancora il segno, purtroppo.
In bocca al lupo a Madrid e ovunque ti porterà la vita: cambiare città, ricominciare da zero, rimettersi in gioco, non sono fallimenti. L’unico fallimento sta nel non tentare mai niente, ma questo lasciamolo a chi passa la vita a giudicare quella degli altri perché è piu’ facile cosi. Un abbraccio!
Gran bell’articolo 🙂 uno specchio sulla realtà, quell’iceberg che gli altri non vedono. Sono d’accordo con Ilaria, certe persone purtroppo sono talmente cattive da non fare altro che godere dei tuoi eventuali fallimenti…che poi non sono fallimenti, sono tentativi, incidenti di percorso. Quando ho lasciato l’Italia ne ho sentite di cotte e di crude sul mio conto, da persone che reputavo amiche. Solo invidia, solo critiche, neanche un briciolo di compensione e di ammirazione. Ma sinceramente me ne fregavo allora e me ne frego attualmente, perché sono felice e fiera.
In risposta ad Isabella: eh si`, purtroppo ci sono persone meschine, molto meschine 🙁 tutto sta nel farle cuocere nel loro brodo!
In ogni caso, complimenti per la patente 😀 e in bocca al lupo!
Grazie Chiara 🙂
Essere felice è la miglior risposta che posso dare a queste persone, ma mi manca ancora la capacità di ignorare le ferite che lasciano. Col tempo imparero’ a farlo, immagino…
Un abbraccio Chiara e grazie per avermi letto 🙂
Complimenti a tutte Voi!
Sono contento di leggere le storie di Anna, perché la conoscevo già prima della sua scelta, ma non così bene, rispetto a quando leggo i suoi racconti di vita.
Essere distanti o vicini è un concetto relativo ai giorni nostri, se qualcuno pensa che sei troppo lontano può sempre prendere un aereo e venirti a trovare.
Io ho parenti che vedo ogni 2 mesi, abitando nella stessa città.
Grazie per leggermi sempre 🙂 e per le belle parole che scrivi ogni volta. Fa sempre piacere sapere che qualcuno di capisce in mezzo al mare di gente che ti rema contro!
Un abbraccio, a te e a tutta la tua meravigliosa famiglia
Ciao Anna, ti ho cercato tra gli articoli pubblicati e sono stata contenta di leggere che hai preso la patente, brava! Molto carino il tuo articolo, adesso aspetto di leggere che hai trovato lavoro 😃nel frattempo non mollare 😉
Grazie mille aver scritto Daniela 🙂
Spero di poter scrivere presto un articolo sul mondo del lavoro, per ora prendo appunti e incrocio le dita 😉
Ciao Anna, sono un’infermiera italiana che vive a Dublino da ormai 4 anni, ma il mio desiderio più grande è quello di trasferirmi in Canada col mio compagno. Avrei un paio di domande da fare, è possibile contattarti in privato? Grazie e un abbraccio!