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Halloween, una festa expat

di Katia
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Samhain: ingredienti per lo stufato

“Festeggiamo Papà Nöel – que tampoco es un gaucho de La Pampa (che non è nemmeno lui un gaucho della Pampa); perché non festeggiare anche Halloween?”, così si legge su un importante quotidiano argentino a difesa di una festa da molti considerata lontana dalla propria cultura.

Del resto di quel 56% di origine precolombiana presente, pare, nel DNA degli argentini, non si trova traccia in nessuna ricorrenza nazionale, a eccezione del 12 ottobre che da Columbus Day è diventato negli ultimi anni (e, credo, a ragione, anche se un po’ ipocritamente) Día de los Pueblos Originários (Giornata dei Popoli Originari).

Si sa che anche qui, come da noi, la festa non piace alle autorità religiose -cattoliche o evangeliche che sianoche considerano blasfemo celebrare gli spiriti o immaginarne l’immanenza sulla terra, se non per un breve periodo o nel caso si tratti di un santo o aspirante tale.


La festa è anche invisa a chi ritiene che sia l’ennesima contaminazione yankee
. E sarà pur vero, la pensavo così anch’io. Si è diffusa sicuramente fuori dagli Stati Uniti con il cinema horror. E con molta letteratura anglosassone. Grazie a dio. O in questo caso forse dovrei dire a Samhain, il signore delle tenebre, non necessariamente un demone, piuttosto un dio dei morti, sorta di Ade che regola la terra e il raccolto. Già, perché questa era per i Celti l’origine della festa. Ma va detto che la  commemorazione dei defunti ha origini ancora più antiche risalgono probabilmente ai Romani che già facevano festeggiamenti il primo Novembre in onore di Pomona, la dea dei frutti. Quando i Romani occuparono la Britannia si resero conto che anche i Celti avevano una festa simile il 31 ottobre. In quel giorno i Druidi, i sacerdoti, si riunivano sulle colline e danzavano intorno ai fuochi, offrendo alle divinità il raccolto e gli animali. Il rituale segnava il passaggio dalla stagione estiva a quella invernale e durante questo passaggio il tempo si considerava sospeso permettendo al mondo dei vivi e a quello dei morti di entrare in contatto.

testa-expat-festa Il primo novembre si festeggiava Samhain e le persone indossavano costumi e maschere fatti con pelle e teste di animali. I riti romani si fusero così con i riti celtici e anche bizantini che segnavano tutti il passaggio alla stagione autunnale. La Chiesa Cattolica Romana, ritendo eccessivi e “demoniaci” questi rituali, cercò di imporsi annullando le tradizioni popolari e nell’anno 835 d.c. decretò il 1° Novembre festa di tutti i santi e nel 998 d.C. Odilione di Cluny, famoso canonico del prestigioso e potente ordine cluniacense, impose che le campane della fastosa abbazia fossero fatte suonare al tramonto del 1° novembre di ogni anno e il giorno seguente, l’eucarestia fosse offerta in ricordo dei defunti. In seguito si volle consacrare il 2 di novembre come il Giorno dei Morti, celebrato con processioni di gente mascherata da angeli, santi e diavoli. Gli spiriti e le fate, che avevano rappresentato il mondo della rigenerazione che supera la morte, divennero esseri pericolosi che tornano dalle tenebre per recare danno ai vivi; le donne, che erano state simbolo di fertilità e della terra, divennero streghe cattive, il fuoco non rappresentava più la luce che guidava i defunti per tornare a casa e divenne lo strumento per scacciare il terrore. Ma molte delle antiche tradizioni resistettero e con le migrazioni arrivarono in America. Qui gli Irlandesi sostituirono le rape, usate nel loro paese, con le zucche, più facili da intagliare (e più buone da mangiare).
Una festa expat, come tante.


Una festa di cui troviamo tracce, pur con caratteristiche diverse, sparse per il mondo.

Certo oggi è dovunque una festa commerciale: costumi, discoteche, consumo. Un po’ come tutte le feste di qualunque origine, oggi. Sta a noi ridarle un poco dell’antico sapore, accoppiandola ai tanti e diversi modi di festeggiare, di ricordare i morti, gli spiriti di coloro che non ci sono più ma che continuano ad essere parte della nostra vita.

Pensiamo in America Latina, al Día de Muertos che ha origini incaiche e che si celebra in Messico con le Catarinas (così vengono chiamati gli scheletri) che cantano, suonano, ballano; con cibo e bevande imbanditi sulle tombe – come a Roma o in Calabria – con i tanti fiori e colori che rivestono la morte. Perché la morte e la vita sono inseparabili, danzano insieme, insieme non hanno fine.


halloweenRicordiamo che “trick or treat”, “dolcetto o scherzetto” degli Americani assomiglia tanto a
pro su ‘ene ‘e sas ànimas” (per il bene delle anime) dei bambini sardi che vanno in giro per le case a chiedere frutta, fichi secchi, dolci, o ai bambini siciliani che mettono sotto il letto “u canistru” per ricevere dolci e regali dai defunti. Proprio come gli antichi druidi o i primi cristiani che andavano per villaggi chiedendo il “pane d’anima” per rivolgere preghiere ai defunti del donatore.

E tante, tante altre tradizioni che accompagnano la festa di Halloween e il nostro Giorno dei Morti. In giro per l’Italia e altrove.

E anche qui in Argentina, dove ci si maschera da zombi, da mostri o da fantasmi, si ritagliano ragni e pipistrelli, si svuotano e intagliano zucche, si decorano le entrate delle case, si va in giro a chiedere caramelle.

Perché per un bambino tutto è occasione di gioco e con quel gioco si impara la vita, si impara a dominare la paura, a svelare che sotto un fantasma o un mostro c’è magari un altro bambino  che ha paura come lui. Che la morte esiste, che non va corteggiata ma neppure ignorata o temuta.

Che preparare zucche, ragni, fantasmi, pipistrelli, inventarsi un costume, è comunque un bel modo per far giocare anche i grandi ed è bello quando i grandi – genitori o no – giocano con i bambini. Perché la vita è un bel gioco da fare insieme. E che anche ai grandi fa bene giocare un po’ con le loro paure e soprattutto prendersi un po’ meno sul serio. Anche entrando in una specie di film dell’orrore.

Che tanto, purtroppo, lo sappiamo tutti benissimo, il vero orrore, il vero inferno, i veri demoni, i veri mostri, siamo sempre noi a crearli. Magari quando ci prendiamo troppo sul serio e smettiamo di giocare.

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Halloween a Edimburgo

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