Avete presente quelle zie zitelle che quando vi vedevano da bambini vi pizzicavano le guance fino a farle diventare viola, come fossero di gomma e non appartenessero ad un essere umano?
Ecco, questa è un po’ l’immagine che ho del popolo turco di fronte ai bambini.
Come anche in altri paesi del Mediterraneo, i bambini in Turchia sono amati “da tutti”. E non parlo solo dei bebè, ma anche di bambini più grandicelli.
E’ un aspetto che ho notato già il primo anno che ero in Turchia, a Bodrum. Giravo ancora con gli occhi da turista e tutto mi sembrava ancora magico e rosa. Però già all’epoca avevo fatto caso a questa particolarità del monto turco. Anche gli uomini seri e impettiti, anche i ragazzi che cercano di fare i fighi per fare strage di donne, erano conquistati da questi pargoli.
In Europa, o almeno in Italia, è difficile vedere uno sconosciuto che si ferma ad ammirare un bambino, emettendo suoni strozzati di gioia. A meno che non sia un bebè di straordinaria bellezza, se non conosci il bimbo o la sua famiglia, ammiri da lontano e te ne vai sorridendo.
In Turchia invece è normale avvicinarsi. A volte senza nemmeno guardare in faccia i genitori del piccolo, o senza chiedere un consenso: si comincia a toccare il bambino sul viso, a stropicciargli le guance, pizzicandole tra le dita.
E’ un aspetto che lascia non poco perplessi i genitori non turchi del bambino in questione. All’inizio restano a guardare con quella faccia a punto interrogativo (che avevo anche io che non sono madre). Poi cominciano a passare a sguardi meno sorridenti, adirandosi ma cercando di non darlo a vedere. Se la cosa si ripete per lungo tempo, allora passano all’azione.
In Turchia si usa dire “Ne kadar güzel bir çocuk, maşallah”, ovvero “che bel bambino”. Il maşallah viene invece aggiunto alla frase per proteggerlo dal malocchio. Della serie ‘ho detto che è un bel bambino, speriamo non gli capiti nulla che lo sfiguri o gli faccia del male’.
Ai bambini inoltre, da bebè, viene spesso appuntata la spilletta con l’occhio di Allah. Questo occhio, che non ha di fatto niente a che vedere con la religione, serve sempre a proteggere dagli sguardi cattivi, dal malocchio.
Tuttavia, per quanto si pensi al proteggere il bambino con parole e spille, non ci si ricorda però sempre dell’igiene.
Sicuramente è fatto in buona fede. Ma quando il genitore non turco vede mani di lavoratori appena usciti da cucine, bagni, imprese di pulizie sul viso di proprio figlio, ecco che lo sguardo da sorridente diventa minaccioso.
Per chi vive in Turchia per un certo periodo, ci sono due possibilità. O ci si abitua, o si passa all’azione, come vi dicevo.
Non appena un estraneo fa per avvicinarsi al pargolo, gli si para davanti con uno sguardo tra il sorridente e il minaccioso della serie”guardare ma non toccare!”
Anche il mio fidanzato, Barış, da questo punto di vista, è il classico turco. Appena vede un bambino, occhi a cuoricino, gli si avvicina prendendogli una manina o facendogli il solletico. Io li guardo ad occhi sgranati ogni volta. Mi sono abituata a vedere queste scene, ma ancora mi fanno effetto. Barış ai bimbi piace molto. Iniziano subito a saltargli intorno e a giocarci. E i genitori turchi osservano estasiati e sorridenti.
Gli ho spiegato più volte che in Italia, ma anche in Germania e in Francia da quanto ho visto, non si usa fare così.
In Italia se uno sconosciuto si avvicina al proprio figlio ci si mette un po’ in allerta. Non voglio esagerare. Insomma, per quanto non sia tipico “spacioccare” i figli di uno sconosciuto, non tutti hanno cattive intenzioni. Purtroppo però, con il passare degli anni e con cosa si sente al telegiornale quasi ogni giorno, sempre più spesso si tende a stare un all’erta se un adulto che non conosciamo si avvicina un po’ troppo al nostro bimbo.
La scorsa estate eravamo in Germania, con Barış, su un treno diretto a Dortmund. Ad un certo punto è salita una scolaresca e i bimbetti si sono sparpagliati su tutti i posti liberi Avranno avuto tra gli 8 e i 9 anni. Una bella biondina si è seduta accanto al mio fidanzato. Lui le ha sorriso, lei ha ricambiato. Dopo poco si scambiavano qualche frase in tedesco, lei gli faceva vedere i suoi disegni. Si chiamava Anna, 9 anni, ancora la dolcezza tipica dei bambini addosso.
Alla fine si sono messi a fare delle foto con il telefono di Barış. Io ero spaventata. Adesso arriva l’insegnante e chiama la polizia, e altri scenari simili. Ok, io forse sono un po’ negativa. Però, se per Barış fare foto con una bambina può essere una cosa normale (perché in Turchia succede spesso), per Anna o per l’insegnante tedesca, non è così scontato.
Ad ogni modo l’insegnante non ha visto e non siamo stati portati via dalla polizia!
A me i bambini piacevano molto. Ora mi piacciono, ma se a starci dietro sono gli altri. Diciamo che tre mesi passati a fare la matrigna a Çağatay non hanno aiutato a farmi crescere il senso materno. Vorrei dei figli, ma tra un paio d’anni. Da inizio agosto aspettavo con ansia l’inizio delle scuole, per non vederli più girare urlanti per le strade.
Ad ogni modo, che mi piacciano molto o in modo normale, io non riesco ad avvicinarmi in modo così naturale ad un bambino che non conosco. Devo prima conoscerlo e poi mi lascio un po’ andare.
Forse è una aspetto dovuto al fatto che in Italia non c’è questo amore a prima vista per ogni pargolo, in genere. Non mi ci sono abituata fin da bambina, ecco.
Girando per le strade con Çağatay, di 5 anni, in molti lo guardavano. E’ un bel bambino. Lo guardavano ma in genere non lo “spacioccavano” più di tanto; nessun problema, direi. Il dramma iniziava quando Çağatay aveva una giornata no e faceva la lagna per tutto mettendosi a discutere per ogni cosa. Agli occhi di molti turchi, soprattutto i più anziani, io ero la cattiva.
Lo ero perché avevo detto un no che aveva fatto piangere il bambino. Loro non sapevano che prima di quel no secco avevo fatto di tutto per renderlo felice, cercando allo stesso tempo di fargli rispettare le regole. Non lo sapevano eppure mi giudicavano.
Qui, purtroppo, si tende a dire quasi sempre sì. Per carità, ci sono famiglie severe, con regole da rispettare, ma sono poche. In generale succede così: il bambino vuole una cosa, la mamma dice un debole no, il piccolo fa per cominciare a discutere o piangere e la mamma cede. Il bimbo vince.
Questo processo ha inizio quando ha giusto due anni, a volte meno. Ovvio che, quando avrà 4 o 5 anni, farà fuochi e fiamme se ci si azzarda a dirgli no.
Con Çağatay, quando eravamo a casa soli, abbiamo avuto non poche discussioni, all’inizio. La madre gli dà tutto, in automatico glielo devo dare anche io. Se piango, avrò ciò che voglio, sembrava pensare. Gli ho fatto capire dopo poco che, quando dicevo no, anche se piangeva per un’ora, era no. Alla fine ha smesso di provarci con me. Accettava il mio no e faceva altro, guardandomi con occhi da vittima per una quindicina di minuti. Poi tornava dolce dolce a chiedermi di giocare insieme e facevamo “pace”.
Barış fino a quest’estate non aveva mai dato uno schiaffo al figlio. Al massimo lo puniva se proprio aveva combinato qualcosa di grosso. Però Barış è già più europeo, da questo punto di vista. Capisce che se non educa il figlio ora, quando Çağatay avrà tredici anni potrà avere ciò che vuole. Quindi per fortuna gli impone delle regole e lo punisce quando serve.
In generale però non è una cosa così scontata. Ad esempio, al momento sono in un caffè di Izmir a scrivere. Dal piano di sotto vengono urla disumane di un bambino di 3 anni circa. Voleva un biscotto, la mamma non glielo ha dato, e lui si è messo ad urlare come un’aquila.
Altro esempio: circa mezz’ora fa una bimbetta poco più grande è venuta su con la mamma, sui suoi tacchettini bianchi (a 4 anni?), urlando anche lei. Sono entrate in bagno, con lei sempre urlante. La madre non le ha detto nulla. Non ha nemmeno provato a dirle “non siamo a casa nostra, ci sono altre persone, non urlare”. La bimba è uscita dal bagno, gridando è scesa sbattendo i tacchetti ed è risalita, sempre urlante. E la madre zitta.
Abbiamo una coppia di amici turchi con un figlio di 4 anni. Un paio di giorni fa siamo stati da loro. Muri, divani, tappeti di almeno due stanze erano completamente scarabocchiati con matite colorate e pennarelli. Ma vi sembra normale? A me no.
I miei se provavo a fare una cosa simile mi sculacciavano, e le volte che provavo a scappare ricevevo una ciabatta sul sedere. E meno male! Grazie mamma e papà per avermi cresciuta così. Grazie per punizioni, rimproveri e sculacciate.
Una cosa che, però, va sottolineata, è che ai bambini turchi si insegna a fare i “fratelli maggiori”.
Per carità, questo aspetto c’è anche in Italia. Ma qui in Turchia è più facile vedere bambini di 6/7 anni che stanno dietro al fratellino/sorellina più piccolo/a. Al maggiore, per quanto ho potuto vedere, viene più naturale badare al minore. Non è tanto un obbligo, quanto un piacere. E vi posso garantire che è una cosa molto dolce da vedere.
Io, quando vedo bambini con comportamenti fuori dal normale e genitori che si girano dal’altra parte senza dire nulla, scherzo con Barış dicendogli che per i turchi i pargoli sono come piccoli Allah ai quali tutto è concesso.
Come ho già detto prima non tutte le famiglie sono così. Ho anche amici che crescono i figli in modo sano, volendogli bene, ma mettendo dei paletti. Però, in linea generale, ho notato questa differenza con l’Italia.
Per quanto tutto ciò che ho raccontato sia veritiero, questo post può essere stato un po’ “rafforzato” a causa della mia esasperazione momentanea. Ma credetemi, in generale è come vi ho descritto.
Provare per credere.
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