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Il cuore ad alta quota

di Giulia Robin
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Il cuore ad alta quota

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Mi dice la mia casa: “non abbandonarmi, il tuo passato è qui”. Mi dice la mia strada: “vieni, seguimi, sono il tuo futuro.”
E io dico alla mia casa e alla mia strada: “Non ho passato, non ho futuro. Se resto qui, c’è un andare nel mio restare; Se vado là, c’è un restare nel mio andare.
Solo l’amore e la morte cambiano ogni cosa.

Trovare le parole di Gibran in un libro di Fabio Volo sembra una barzelletta.

Ho iniziato questo libro in volo, con il cuore ad alta quota, esattamente sopra le Alpi.

Lo stomaco ancora pieno dalle scorpacciate italiane e le gambe accavallate verso il sedile accanto al mio, vuoto.

Odio volare, e cerco sempre di distrarmi il più possibile per sfuggire alla paura che mi divora da dentro ogni volta che mi stacco dal suolo.

Cerco di alleggerire i pensieri scegliendo di iniziare uno dei libri ricevuti. Tempo di girare la seconda pagina e Gibran mi taglia in due.

Freddo lungo la schiena, cuore in gola. Rileggo, poi di nuovo, e ancora una volta.

Solo l´amore e la morte cambiano ogni cosa.

Come dargli torto. Se questo aereo precipitasse, probabilmente morirei sul colpo e ciò cambierebbe non solo il mio corso delle cose, ma anche la vita di molte persone. Invece l’amore che ho provato in passato, che ho ricevuto, che ho implorato e a volte rifiutato, mi ha sempre cambiato un pochino. Come una chitarra che si cerca di accordare, ci si riesce solo a tentativi.

Decido quindi di cucirmi le parole di Gibran addosso: non ha importanza se restiamo o andiamo via, perché né il nostro restare né il nostro andare potrebbero mai veramente cambiare qualcosa, come l’amore o la morte.

Non parla però del tornare. Nel tornare c’è un po’ di morte e un po’ di amore, setacciati, radiografati e mischiati fino a non riconoscersi più. Un mix emotivo nel quale sai benissimo perché te ne sei andato, ma sai altrettanto bene perché certe cose ti mancano. E quello non te lo scordi.

C’è una momentanea confusione appena svegli: dove sono, in che letto ho dormito?

C’è un riconoscere odori e sapori, alcuni dimenticati, altri indimenticabili.

C’è uno stupore ingenuo nel ricordarsi che l’acqua della doccia esce gelida per i primi minuti, che il letto va attaccato al comodino perché mamma lo sposta sempre, o che nel cassetto delle posate c’è sempre la mia forchetta personale.

Quando si torna ci si abitua alle circostanze, in maniera così veloce da fare impressione.

Ogni posto regala un ricordo, in ogni minuto ti rendi conto di quante cose non hai mai notato prima e che adesso invece sono così palpabili, reali.

I monti dietro casa – i ricordi che mi legano a loro sono infiniti.

Il parco e la sedia del gigante, le storie che papà mi raccontava “ma nemmeno oggi c’è il gigante papà?” – “no, è in castigo perché non ha fatto i compiti”.

Monza, il centro con il suo pavé dissestato. I caffè con la stessa tappezzeria, la stazione, tutti i treni che ho preso e quelli che ho perso.

La mia scuola elementare e l’ex Tridente, esattamente il luogo dell’educazione della mia infanzia di fronte al luogo della perdizione della mia adolescenza. Un connubio quasi surreale.

Il nostro centro sportivo NEI, tutti sono cresciuti al NEI. E’ stato il mio dopo scuola, la mia prima piscina, il mio primo corso di acro gym. Il posto dove ho giocato la partita più brutta della mia vita, dove ho pianto per mezz’ora negli spogliatoi perché non sapevo perdere. La mia biblioteca durante l’università, il cortile dove fumavo di nascosto, il piazzale di baci fugaci.

Milano, il Duomo, che come lo metti lo metti, se ne sta lì nella sua maestosità, immenso, imponente, infinito. Alla faccia di quelli che dicono che Milano è brutta e triste, non l’hanno mai vista di notte. Quando c’è una persona ogni 20 passi e l’aria sembra che si moltiplichi ogni volta che inspiri.

Torni a casa e il tempo sembra essersi fermato, tutto è uguale a come lo hai lasciato.

Torni a casa e ti sembra di non essere mai andata via.

Torni a casa e quando devi ripartire senti sempre quella piccola fitta al cuore, sorda, pungente, ma c’è.

Torni a casa e ti chiedi quando tutto questo sia iniziato, quanto sia bastato poco perché succedesse.

Torni a casa e tutto è come l’hai lasciato…

Tutto, tranne te.

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