Il periodo più temibile dell’anno
Qualcuno potrebbe pensare al Natale, con le incombenze e le formalità legate ai regali ed alle cene aziendali, il delirio di luci e “jingle bells” in tutte le declinazioni, i cenoni, la confusione.
E invece no.
Quando vi capiterà di avere un figlio alle elementari, il periodo peggiore dell’anno diverrà, ovunque voi siate sul globo terracqueo, la famigerata fine della scuola.
A parte il fatto che già di per sé la fine della scuola è uno spauracchio: cosa farne dei bambini durante i mesi di vacanza?
Chi si occuperà di loro mentre siamo al lavoro?
In che modo riempire o le loro giornate evitando che si accampino sotto al televisore ed alla Playstation tutto il santo giorno?
Ai miei tempi (sono invecchiata, perché ho cominciato ad utilizzare come incipit dei discorsi ai miei figli “ai miei tempi”), le vacanze scolastiche dei bambini non erano un problema per la famiglia.
Si veniva “parcheggiati” dovunque ci fosse un adulto disponibile: un fratello maggiore, un nonno, la mamma di un compagno di classe, una vicina. L’adulto aveva il compito di sorvegliarti anche in maniera approssimativa; toccava ai bambini gestire l’ozio e la valanga di tempo libero delle lunghe giornate estive.
Ricordo che chiedevo a mia madre di acquistare per me anche più di un libro delle vacanze, così da occupare la mattina risolvendo problemi, cruciverba o analisi del testo.
In seconda battuta, attingevo continuamente alla fortunatamente fornitissima biblioteca comunale del mio paese, divorando anche un libro di narrativa al giorno.
Oggi invece, i nostri ragazzi sono abituati ad avere durante l’anno un’agenda piena di impegni degna di un consulente di Wall Street; così, appena questi appuntamenti in estate finiscono, i bambini si ritrovano catapultati nel tempo del nulla, che pare loro dilatarsi a dismisura.
Se prima il mercoledì dovevano correre a solfeggio, poi lezione di chitarra, infine due ore di allenamento di scherma ed il sabato corrispondeva a catechismo e scout, d’estate il pomeriggio “è troppo azzurro e lungo”, come cantava Celentano.
Allora, si cerca di iscriverli a:
- quel summer camp, per mezza giornata di manualità/contatto con la natura/pasti vegani che fa tanto new age nella fattoria sulle colline;
- quella colonia in spiaggia a tempo pieno dove si praticano tutti gli sport dal ping pong al kite surf;
- quei laboratori di chimica/fisica nucleare/entomologia applicata/cucina molecolare/archeologia romana presso il museo della città, con la speranza che dopo due settimane tuo figlio sia pronto per candidarsi al nobel;
- quella settimana full immersion one to one fun and learn per trasformarlo in un piccolo British lord con un accento impeccabile;
e via via dicendo, per una spesa media di un centinaio di euro a settimana, che calcolato su un’estate diventano lo stipendio mensile di un’impiegata.
Ma prima di tutto ciò, preparatevi fisicamente e psicologicamente, perché la fine della scuola è accompagnata purtroppo da una serie interminabile di manifestazioni conclusive che neanche i mondiali di calcio: il saggio, la recita, la consegna del regalo alla maestra e, udite udite, la temutissima cena di classe.
Al saggio generalmente ci si arriva sfiancati da prove ripetute a giorni alterni. I bambini ormai calcano i palchi come gli artisti affermati, ricordano più loro la coreografia o il brano da eseguire con lo strumento che la maestra stessa, che ormai si agita e dimena le mani nell’aria completamente afona desiderando che tutto si concluda presto.
La recita di solito è un copione che non volevate conoscere ma che invece nei giorni precedenti imparerete a memoria per aiutare vostro figlio ad imparare la parte.
Alla prima (e unica rappresentazione, deo gratias) dello spettacolo, voi praticamente potete fare il gobbo e girandovi a destra e sinistra vedrete altri genitori intenti a sussurrare le battute come voi. Tanto valeva mettersi d’accordo, non c’era bisogno nemmeno di mettere in scena la recita, visto che non è più una sorpresa per nessuno e persino i momenti in cui bisogna ridere ormai sono noti. Si evitavano così i drammi per reperire le parrucche, cucire i costumi, allestire i fondali scenografici colorati fino alle due di notte con le tempere lavabili, le litigate per chi deve avere la parte del cappellaio matto e chi invece sarà Panco Pinco.
La consegna del regalo alla maestra è preceduta da settimane di brain storming sulla chat WhatsApp delle mamme per decidere l’oggetto più consono.
Si creano faide che la mafia è nulla al confronto, vengono a galla livori sopiti da tempo contro la malcapitata rappresentante di classe (c’è chi nella chat insinua che la gara d’appalto per decidere in che vivaio acquistare la pianta carnivora ornamentale per la maestra non si sia svolta regolarmente, forse la rappresentante ha ricevuto delle mazzette); salvo poi, al momento della consegna del regalo, spellarsi le mani apllaudendo e gridando commossi che la rappresentante di classe é così brava che verrà investita dal ruolo anche l’anno successivo (perché tutti congiureranno per votarla, anche se lei dopo la terribile esperienza di un anno preferirebbe scomparire nell’oblio) e che merita un regalo anche lei.
La cena di classe presenta lo stesso problema del regalo: la gara di appalto per la scelta del ristorante è molto accanita. La spunta in genere il ristorante che offre la possibilità ai genitori di non vedere e non sentire i propri figli scalmanati per tutta la durata della cena, magari con un area recintata insonorizzata piena di gonfiabili o una baby sitter dedicata che nel frattempo li intrattenga con un laboratorio di manualità per la costruzione di uno space shuttle con gli origami di post it riciclati non sbiancati chimicamente.
I genitori, liberati dai figli, possono brindare ripetutamente alla sopravvivenza ad un altro anno scolastico, ad un altro anno di chat WhatsApp delle mamme, augurandosi di ritrovarsi ancora una volta lì, davanti alla scuola, qualche settimana dopo, per un nuovo mirabilante inizio.
E fine della storia.
PS. Fatti, persone e cose descritte purtroppo NON sono puramente inventate. Sono 100% corrispondenti alla realtà vissuta sia in Italia, che in Guatemala.
Buona fine della scuola a tutti!
Chi sono