Quest’anno le feste natalizie le trascorro qui in Francia. E non è la prima volta per me, cinica sostenitrice dell’indipendenza emotiva.
Queste settimane, però, avranno un sapore diverso. Quello della pigrizia.
Negli ultimi mesi, mi sono data davvero troppo da fare. Lavorare in remoto richiede lo sforzo di non poco conto di infilarsi rapidamente un maglione-vagamente-elegante poco prima di un meeting su Zoom, unito a quello di trascorrere l’intera giornata davanti ad una scrivania a qualche metro dal letto in cui maledico ogni notte la mia insonnia.
Quest’anno è stato un anno operoso.
Ho vestito anche i panni del boulanger: biscotti ripieni di marmellata di more, pizza, focaccia genovese, panini al latte, torta allo yogurt. Quelli del parrucchiere: sforbiciate casuali qui, ritocchi aleatori lì, e i ricci riprendono forma. Ho poi dovuto indossare ogni sera i panni dell’analista di dati epidemiologici: numero di test per milione di abitanti, pazienti in rianimazione, valutazione dell’indice di positività. Per un neofita, tutto ciò richiede un certo impegno intellettuale, non si può negare. Con un po’ di riluttanza ho anche vestito l’abito del critico cinematografico: pigiama rigorosamente nero, analisi accurata delle ultime pellicole proposte da Netflix e lanci stampa via messaggi vocali.
Un anno sfiancante.
Troppe attività, troppe competenze in gioco. Quasi prevedibile, dunque, che queste sarebbero state feste natalizie all’insegna della pigrizia. Ho già preparato la lista di alimenti che andrò con cura a recuperare presso il mio rivenditore di surgelati di fiducia. Proprio io, sì, che ho sempre guardato con sospetto le persone accalcate in questi luoghi di ratifica dell’indolenza. Io, che ho molto spesso criticato gli apéros dînatoires come pratiche perverse e poco salutari, ho diligentemente scritto, su questa lista della fannullaggine: escargots con salsa burro e prezzemolo, canapés aperitivi al salmone affumicato e tartare di avocado, boccioli di rosa alle prugne e foie gras, piccole quiches pomodoro e pesto. Ancora mi domando però se aggiungere alla lista le patate a forma di abete, dalla silhouette così festiva. Ho i miei dubbi anche sui mini hamburger.
Vorrei comunque cercare di non cadere nel triviale. Pigri, sì, ma con eleganza.
Ciò che più mi preoccupa, tuttavia, è varcare la soglia del celebre rivenditore di surgelati. In tempi ordinari, poco prima delle feste, il locale è infatti preso d’assalto. In passato ho dovuto spesso destreggiarmi tra clienti esagitati, prima di raggiungere non senza notevoli difficoltà il vano congelatore delle vellutate pronte.
A volte però, tra fagioli e broccoli, si riesce anche a scambiare qualche parola. Qualche tempo fa un anziano signore, dopo aver sbirciato nel mio carrello, incuriosito dai boccioli di rosa, mi chiese se valesse davvero la pena acquistarli. Ricordo ancora il suo sorriso gentile, dopo la mia risposta affermativa. Allungò il braccio, prese anche lui i suoi boccioli, e mi salutò.
Quest’anno sarà forse un po’ diverso. Sarà di certo più semplice deambulare senza rischiare di esser colpiti da un bustone da 2 kg di baguette surgelate, gli ingressi saranno contingentati. Ma già prefiguro gli assembramenti all’entrata, e i tentativi degli impiegati di sedare gli animi.
Il virus della pigrizia può indurre comportamenti davvero aggressivi, talvolta.
Se tutto va bene, riuscirò a rientrare in casa indenne. Riporrò con cura i miei alimenti, nell’attesa di scongelarli a tempo debito.
Non oso però immaginare che reazione potrebbe avere mia nonna alla vista della mia tavola imbandita di surgelati. Mi sento vagamente colpevole al pensiero che lei preparerà i suoi cannelloni ripieni di ricotta di bufala e le sue zeppole di patate ricoperte di granelli di zucchero.
Io mi limiterò a: aprire il surgelatore, scartare i prodotti, lanciarli nel forno in attesa di scongelare a fuoco lento il cappone ripieno, elemento portante del pasto per raggiungere un certo grado di sazietà. Ho il netto presentimento che qui un buon numero di nonne siederebbe con piacere alla mia tavola progressista. In fin dei conti: quest’anno, tutto è permesso.
4 Commenti
Ti capisco e mi chiedo come sia possibile avere tanta voglia di fare niente dopo 9 mesi di lavoro da casa, eppure è cosi’. Buone feste!
Ciao Laura,
Grazie per avermi letta, innanzitutto!
Sì, un’amara constatazione, purtroppo.
A presto e buone feste a te,
Amalia
🙂
“Cinica sostenitrice dell’indipendenza emotiva” lo sarei pure io. Ci provo almeno. Ma è proprio quel connubio di cinica e emotivamente indipendente che spesso è in lotta dentro di me.
Un abbraccio,
Sil
Io e te, ci capiamo.