Insegnare italiano a Buenos Aires: gioie e dolori della docenza
Sarà che in ogni famiglia c’è almeno un nonno o un bisnonno italiano, sarà che l’Italia rappresenta il sogno proibito di tanti argentini, la terra promessa dove il lavoro si trova facilmente, lo stipendio è altissimo e i servizi totalmente gratuiti. Ma è un fatto che a Buenos Aires, se insegni italiano, non sarai mai disoccupata. Nemmeno milionaria, ma tant’è.
Basta che ti sentano parlare in italiano al telefono o con un amico in un bar, oppure che riconoscano il tuo accento mentre paghi il biglietto del cinema, che inizia un interrogatorio serrato sul “perché sei qui che l’Italia è tanto bella?”, che si conclude con “Dai lezioni?” e scambio di numero di cellulare.
L’argentino medio l’italiano lo studia per piacere e non perché gli serve per obblighi lavorativi. Così la malcapitata docente – io – si illude che si ritroverà davanti studenti motivatissimi e soprattutto curiosi verso la cultura.
Niente di tutto questo. O meglio sì, gli studenti lo sono, ma a modo loro.
Sono motivatissimi rispetto alla conversazione (intesa non come parte di un “processo di apprendimento di competenze specifiche”, ma nel senso di “facciamo delle chiacchiere”) e curiosi nei confronti della cultura, ma solo finché troveranno confermati i loro stereotipi sull’Italia, di cui hanno un’immagine iper-idealizzata.
Gli alunni, più che imparare davvero, vogliono pasarla bien, che in pratica significa fare relazioni sociali. È per questo che sono così disposti verso la conversazione ma… in spagnolo! Anche perché hanno voglia di esprimere concetti profondi e complessi, per i quali hanno bisogno della lingua madre.
Il fatto che tra le due lingue ci sia un elevatissimo livello di intercomprensione è un’arma a doppio taglio: da una parte rende l’approccio iniziale meno respingente, dall’altra crea l’illusione che basti far finire tutte le parole con E e I per parlare italiano. Un po’ come gli italiani che vanno in vacanza a Ibiza e credono che sia sufficiente mettere la S in fondo, no?
Prima o poi faranno una scoperta traumatica: italiano e spagnolo non sono la stessa cosa. Quando per l’ennesima volta, alla domanda: “Di dove sei?”, risponderanno “Di Argentina” e tu spiegherai che non si dice, che non è italiano, ti guarderanno meravigliati e chiederanno: “E perché?”. Perché sono due lingue diverse.
Però i miei alunni sono divertenti, istrionici, accoglienti. E forse hanno ragione loro. L’importante, in fondo, è pasarla bien.
Chi sono
2 Commenti
Ciao collega 😉 io in generale riscontro che gli alunni hanno difficoltà con l’uso delle preposizioni ed i verbi ausiliari al passato prossimo. Forse sono tra gli argomenti di grammatica meno simpatici da memorizzare. In bocca al lupo! Luglio è periodo di esami lì da te?
A luglio ci sono i parziali all’università. L’anno scolastico/accademico va da marzo a fine novembre.
Verbi ausiliari e relative concordanze, convincerli che per “ieri” o “un’ora fa” il passato remoto non ci va, oggetti diretto senza preposizione “a”; poi una serie di calchi a volte molto divertenti: affettare, otorgare, brindare…
Un saluto