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INTO THE WILD 2

di Antonella Svezia
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DIARIO DI BORDO  28 giugno – 3 agosto 2016

36 notti tra le montagne del Nord

INTO THE WILD 2

Riassunto della prima parte

Sono immersa nella natura incontaminata della terra dei lapponi dal 28 giugno, e lo sono insieme a mia figlia. Per 36 giorni vivremo un’esperienza fantastica, io e lei; nella parte finale, mio marito ci raggiungerà. Di questa avventura ho scritto un diario e voglio condividerne con voi alcune pagine. Qui, la prima parte.

29 luglio 2016 – meno 5 giorni

Manca poco e si riparte.

Le prossime giornate verranno riempite da attività riguardanti la partenza, ma anche da sensazioni e sentimenti contraddittori.

Alla voglia di tornare alla normalità di una vita fatta di tutte le comodità varie, come aprire il rubinetto e avere l’acqua o andare a fare la spesa, si contrappone la malinconia del lasciare questi luoghi in cui il tempo sembra essersi fermato, in cui la natura vive la sua vita e noi ci adattiamo alle condizioni da essa dettate. Un mondo in cui gli incontri con gli esseri umani sono rari, ma allo stesso tempo intensi e non riempiti di parole superficiali che non esprimono nulla.

Sarà una giornata di riposo per i due di noi che dovranno partire a piedi. Mi alzo presto e comincio a fare il pane, faccio tutto in punta dei piedi per non svegliare Figlia e Marito; con gesti calmi preparo l’impasto, gli ingredienti li ho preparati la sera prima. Ci metto solamente 10 minuti.

Infilo gli stivali ed esco per andare al lago a prendere due secchi d’acqua. Mi servirà per le varie faccende della giornata. Di solito questo è un lavoro che fa Figlia, sa bene che per me è faticoso e sta diventando più forte di me. Ma oggi voglio farle risparmiare le forze per il lungo viaggio.

Mi fermo già dalla discesa e ammiro il lago. L’acqua è completamente immobile, il cielo non promette una giornata soleggiata, ma l’aria è mite.

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La vista sul Tjekimsjavrre

Rimango fuori fino alla fine della lievitazione e vedo dei turisti di passaggio in direzione di Tarraluoppa, sono partiti presto, forse prevedono che piova.

La strada fino a Tarraluoppa é molto bella, passa per il punto più alto di tutto il sentiero del parco nazionale, arrivando a ben 1700 metri di altezza.

La passeggiata dura 4 ore, senza pause se si conosce la zona, se invece si esce dal sentiero possono servire anche 8 ore. È forse una delle passeggiate che mi piacciono di più; per i primi 4 chilometri il sentiero è in salita, si passano diversi fiumi, si lasciano i due laghi il Duottarjavrre e i Tjekimsjavrre, ma davanti a sé sulla destra del sentiero si può vedere da lontano un magnifico grande lago, il Festajavrre, citato anche nelle guide come uno dei posti usati dai lapponi nei loro spostamenti fin dai tempi più remoti. Poi si deve attraversare il fiume più grande e, lì, bisogna immergersi nell’acqua.

Dopo il guado, il sentiero sale velocemente fino ai 1700 per poi scendere giù ai 900 metri di Tarraluoppa. Da circa 1 chilometro di distanza si intravedono le casette dell’accampamento e, arrivati all’ultima discesa, si sente il cuore balzare nel petto dalla gioia.   

Ritorno a fare il pane e intanto i due vikinghi si svegliano e vogliono far colazione con il pane fresco.into-the-wild

Metto in tavola tutto quello che abbiamo, i formaggi, il burro, la nutella e la marmellata di mele, ormai l’ultima. Ora non serve risparmiare cibo, nei giorni che mi rimangono mangerò quel che c’è, non importa per me. Una volta a Jokkmokk mi fermerò al supermercato e potrò comprare tutto quello di cui ho sentito la mancanza, come per esempio un bel pacchetto formato extralarge di patatine! Intanto lo posso sognare.

Dopo colazione mi metto a lavare dei vestiti, con il vento che tira saranno sicuramente pronti in tempo per la partenza.

A gesti lenti riscaldo l’acqua e preparo le varie bacinelle. Scendo al lago per il risciacquo, altrimenti dovrei trasportare troppi secchi, ma questo significa risciacquarli con l’acqua fredda, anzi gelida. Marito si mette a controllare tutte le bombole delle capanne, brucia le immondizie nel bruciatore e prepara i pacchi di rifiuti non riciclabili che dovranno poi venire prelevati dagli elicotteri a fine stagione.

La prima nevicata a queste latitudini può esserci anche ad agosto. Le stagioni lapponi sono otto, non solo quattro.

Figlia si mette ad ordinare le corna di renna raccolte tra le montagne; alcune verranno imballate per il trasporto a casa, mentre altre le vuole lasciare in un certo modo davanti all’altare dei sacrifici. Il risultato questa volta è una mandria di corna di renna che rappresentano delle renne in cammino.

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Mi piace vederla creativa. Riesce a trovare un mondo in quello che la natura offre. Ha fatto un coltellino da burro con un corno appuntito, ha segato le corna trasformando i pezzi in pendagli da attaccare ad un filo per una collana o per un portachiavi, oppure creando dei ganci a cui attaccare i vestiti. Ho avuto una grande fortuna dalla vita, ho avuto lei. Lo so che è solo una cosa temporanea e che un giorno metterà le ali, ma ora posso godere di questo regalo.

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Scende la nebbia e copre il Panettone.

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Il sole di notte

30 luglio 2016 – meno 4 giorni

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Il vikingo e la vikinga (Marito e Figlia) partono a piedi per il rientro.

È arrivato il momento della partenza di due di noi. Gli zaini sono pronti, quello di lui 27 kg, quello di lei 16. Il cibo è calcolato per i giorni di viaggio più uno extra, poi ho nascosto della cioccolata e dei biscotti. I vestiti sono pronti. Tutto è stato preparato per la passeggiata di circa 70 km fino a Kvikkjokk, luogo in cui ci rincontreremo.

Loro partiranno a piedi mentre io verrò prelevata dall’elicottero, visto che è mio compito restare fino a quando mi daranno il cambio.

Mi rimangono 4 giorni da sola, tra queste montagne. Voglio memorizzare questi contorni, queste magnifiche forme vicine e lontane, questi colori, che probabilmente non vedrò per lungo tempo. Vorrei ritornare ai piedi del Jungatjokka, ma non so se voglio correre questo rischio. È facile perdere l’orientamento andando su e giù tra le varie colline verdi e i vari avvallamenti. Tutto si assomiglia, tutto è verde.

Mentre la mia guida – mia figlia, se ne sta andando.

Quando esco con Figlia mi sento sicura, è lei ad avere il senso dell’orientamento, io mi lascio semplicemente condurre e faccio qualche domanda per capire dove mi trovo e per imparare ad orientarmi. Lei riesce a leggere il terreno, i contorni delle montagne vicine e lontane, i colori della natura.

Spero che il sole mi faccia compagnia, ma le previsioni non promettono bene. Prima di partire, Marito si alza presto e vuole andare a pesca, visto che è il suo ultimo giorno. Ritorna dopo 4 ore con dei grandi pesci, prepara il fuoco all’aperto e mangiamo insieme.

Comincia a piovere.

31 luglio 2016 – meno 3 giorni

Mi sveglio e piove, mangio e piove. Insomma piove praticamente da 24 ore con brevi interruzioni, e dalle informazioni meteorologiche che ho ricevuto via satellitare da mio cognato Fredrik, il mio unico collegamento con il mondo, pioverà fino alla mia partenza. Terribile! Avevo pensato di fare delle belle passeggiate e magari di ritornare a fare il giro del lago grande, ma questo tempo mette a rischio la mia vita.

Durante il cammino si hanno pochi vestiti per evitare il peso e tutti estremamente tecnici. Vengo a sapere da un passante che i miei hanno dormito in capanna a Tarraluoppa e che erano bagnati fradici. Sono sollevata che abbiano deciso di fermarsi lì, almeno avranno potuto asciugare i vestiti per poi proseguire. Oggi dovrebbero ripartire alla volta di Sommarlappa, (se non hanno deciso di cambiare itinerario a causa del tempo).

Decido di iniziare ad imballare le cose da portare via: i tre borsoni con i vestiti, i cibi rimasti che posso portare via, i vari corni di renna. Mi servono dei cartoni e li cerco nel magazzino. Lavorando, il tempo mi vola.

Non passa più nessuno; la ripa mamma e i suoi 4 piccoli mi fanno compagnia, ieri si erano nascosti da qualche parte per ripararsi dalla pioggia, oggi sono sotto la mia capanna. Vedo anche l’aquila che si lascia trasportare dal vento sopra le montagne in lontananza. Non mi sento sola.

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La sera vado a vedere la capanna della sauna e la spiaggia.

Faccio ordine, riscaldo la sauna per pulire tutto e mi siedo sull’erba bagnata ad ammirare i colori del lago e i dintorni, in attesa di fare la sauna e lavarmi. Dopo essere stata seduta in sauna ed essermi riscaldata per bene, mi butto nel lago ma ne esco due secondi dopo: l’acqua è gelida, non riesco proprio ad immergermi.

Il lago nella sua grandezza riesce a mette paura e quando tira vento sembra ululare, ma è bellissimo avvolto nelle sue acque azzurrissime e pulitissime.

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Il vikingo invece riesce a fare il bagno!

I massivi con le vette appuntite del parco del Sarek, visibili dalla sauna sono maestosi, coperti dalle nevi perenni. Non riesco a togliere gli occhi dal paesaggio.

Mi mancherà, tutta questa quiete mi mancherà.

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Le vette delle montagne del Sarek.

1 agosto 2016 – meno 2 giorni

Continua a piovere!  Mi alzo e faccio il pane.

Sarà l’ultima volta per quest’anno che farò il pane sopra il fuoco, a casa non serve, ho il forno.

Mi preparo per fare una passeggiata, vado sopra la montagna della sauna e guardo il cielo in lontananza una volta verso Stalokluokta e poi verso Tarraluoppa; devo vedere quante nuvole ci sono all’orizzonte. Tutto in un baleno si mette a piovere e corro in capanna, non ho i vestiti da pioggia e se mi bagno mi raffreddo subito. Non mi resta che aspettare che il tempo migliori.

Improvvisamente vedo in lontananza, in direzione di Tarraluoppa,  Johanna (la svedese che abita la capanna a 14 km dalla mia) con un’altra persona e capisco che sono venuti a trovarmi e che vogliono andare in sauna. Salta la passeggiata in solitaria, mi sento felice, oggi sarà una giornata speciale!

Mangiamo insieme e poi andiamo alla sauna e ci restiamo per ben 2 ore, spostandoci tra la temperatura di 100 gradi e quella di 2 gradi dell’acqua del lago in cui ci buttiamo per rinfrescarci. Difficilissimo, per me. 

Chiacchieriamo e beviamo birra; è bello stare insieme e condividere questa esperienza. Dopo la sauna offro loro il buon cibo rimasto, risotto di funghi, pesce pescato da noi nel lago Dupttarjaure, cotolette con purè di patate in polvere e per finire paj di rabarbaro, il tutto accompagnato dalla birra rimasta. Ottima cena.

Non smette di piovere e i miei ospiti rimandano la partenza. 

Sono 12 km a piedi e per loro significa poco più di due ore e 30 minuti, visto che non hanno zaini pesanti. Alle 19.30 partono sotto la pioggia. Rimango sola e mi sento sola. L’autunno ha già bussato alle porte e le giornate hanno ripreso ad avere la notte, le serate diventano un po’ buie, mettono un po’ paura e non mi viene voglia di uscire, mi fa una certa impressione. Non sono abituata ad essere sola qui tra le montagne, in fondo io ho paura del buio e la mia guida è già sulla via del ritorno.

La serata mi regala una sorpresa. Le renne, questi magnifici animali misteriosi, ritornano.

Le vedo in lontananza, sulle alture dopo il secondo fiume, sulla via che porta al lago senza nome, il 907. La temperatura si è abbassata e loro scendono dalle cime delle montagne. Stanno bene al freddo, ma a minore altitudine trovano più cibo. Domani andrò a vedere dove sono e quante sono. Domani sarà il mio ultimo giorno tra queste terre spettacolari e lo passerò con loro.

renne tante ok

Un grande gruppo di renne passa da una riva all’altra del fiume.

2 agosto 2016 – ultimo giorno

Ed ecco arrivato l’ultimo giorno.

Piove!

Mi sveglio alle 7 e decido di andare a fare una passeggiata. Faccio colazione e poi vado a fare il giro delle capanne per controllare che tutto sia in ordine. Mi metto gli stivali anche se sono più pericolosi degli scarponi, visto che fanno scivolare se si sale sulle pietre bagnate, ma piove troppo e con gli scarponi dovrei mettere i sandali per guadare i fiumi. Andando verso il secondo guado, vedo la piccola cascata e osservo il sentiero dall’altra parte che si dirige verso Staloluokta, poi lascio il sentiero e, accostando i laghi, mi dirigo tra le montagne verso il lago 907. Passo le rocce delle cascate e mi giro ad ammirarle. Continuo fino al punto in cui i due fiumi si dividono e vedo il canyon. Le montagne che mi si presentano sono più rocciose, più alte e più ripide di quelle verso cui mi dirigo.

Non posso allontanarmi molto: se mi dovesse succedere qualche cosa, se scivolassi e non potessi raggiungere la capanna da sola, correrei un serio rischio. Qui non passa molta gente e fuori sentiero non passa nessuno.

Antonella sola

io immortalata da Figlia, prima della sua partenza

Dopo due ore di cammino mi fermo a mangiare velocemente sotto la pioggia. Osservo le montagne e capisco che dalla parte dove mi trovo ci sono rocce non coperte di verde, sembra un altro paesaggio, come se fossero di altro materiale. Ritorno e prendo un’altra strada, trovo una marea di funghi, ma non conosco le specie e non li posso raccogliere. I lapponi non usano raccoglierli, perché sono uno dei cibo delle renne.

Al ritorno sono bagnata fradicia. Mi asciugo, mi riscaldo, mi faccio un buon caffè e poi continuo ad imballare le ultime cose.

Vado avanti e indietro tra le capanne e mi sento un’anima in pena. Sento già che questi posti mi mancheranno, ora sono parte di me, delle mie esperienze di vita, esattamente come lo è la mia spiaggia dell’infanzia.

Mi mancherà questa vita semplice, fatta di cose semplici, dove fare il pane è un’attività importante, dove incontrare qualcuno è un momento per scambiare due chiacchiere e ascoltare le esperienze degli altri, le difficoltà dei diversi sentieri. L’umanità ha perduto la semplicità della vita, ora tutto corre veloce, tutti fanno carriera, nessuno ha tempo per l’altro e nemmeno per se stesso, per il proprio star bene.

Eppure io apprezzo questa vita, o forse dovrei dire io ho bisogno di periodi di vita come questo. Vorrei tanto farla conoscere al mondo, alle persone che amo, ma mi accorgo che non vengo capita.

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Turisti.

La serata si conclude in bellezza. Tre turisti francesi di passaggio si avvicinano, hanno sentito parlare di me lungo il sentiero e vogliono fare due chiacchiere e bere un caffè italiano. Vogliono percorrere il vecchio sentiero, quello che conoscono solo i lapponi, proprio quello che hanno scelto di fare i miei al ritorno, il sentiero che passa ai piedi del “Panettone”. Indico loro la strada e la direzione e li accompagno per qualche chilometro, poi li lascio e ritorno indietro.

Il mio pensiero va alla mia piccola: chissà dove sarà ora, forse è già arrivata? Forse all’ultima capanna? O forse tra le montagne selvagge con il suo papà?

Non importa dove sia, mi sento sicura, lei è una “vikinga” ed è stata educata a cavarsela. Lo farà, lo so che se la cava, l’ho educata a questo e non è sola. Io credo in lei.

Faccio fatica ad addormentarmi, è come se inconsciamente volessi catturare tutto il tempo possibile per gustare queste ultime ore, prima di ritornare alla vita di tutti i giorni in una qualsiasi città europea.

Lascio questo posto pieno di immensa e sublime poesia.

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Il tramonto dorato

3 agosto – giorno della partenza

Mi alzo presto, porto tutto fuori, copro le borse e gli scatoloni con i sacchi di plastica neri per evitare che qualcosa si bagni fino all’arrivo dell’elicottero. Metto tutto sopra il tavolo. Saluto la ripa e i suoi 4 piccoli.

Saluto l’altare dei sacrifici lapponi, guardo i lagi, il Panettone, salgo a vedere il Duottrajaure, il blu forte del lago vicino alle capanne mi è sempre davanti agli occhi ovunque io vada. Scendo a prendere l’acqua per l’ultima volta, faccio il giro largo, ammiro i contorni, le pietre, i pesci che nuotano e arrivo fino al sentiero. Attraverso l’accampamento e torno alla mia capanna.

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Improvvisamente l’elicottero appare. È in anticipo, ma sono pronta. Il pilota scarica il passeggero e se ne va, ritornerà a prendermi dopo un’ora, così posso istruire il nuovo arrivato. Ritorna e atterra a pochi metri dalla casetta, carica i bagagli e mi fa cenno di salire. Ripartiamo e dall’alto guardo l’accampamento, lo vedo diventare sempre più piccolo, trasformarsi in un ricordo. Un forte senso di tristezza mi assale. Ciao terre lontane, e grazie per quello che mi avete insegnato, non vi dimenticherò mai.

Atterro a Kvikkjokk e adempio alle pratiche di scarico, e poi squilla il mio cellulare. L’ultima chiamata risale al 28 giugno.

È il vikingo, che mi spiega dove mi stanno aspettando. Carico la macchina in fretta e parto. Li trovo vicino alla chiesa, seduti sulla panchina con le ciabatte ai piedi, che fanno colazione. Finalmente li rivedo, guardo Figlia e la abbraccio: sta bene, è andato tutto bene, ha solo le vesciche ai piedi. Saliamo in auto e mi racconta dei giorni passati sotto la pioggia, della notte passata in tenda, delle bellezze che ha visto tra le montagne e che io non ho ancora visto, di dove mi voglia portare, dei pantaloni che non tengono abbastanza acqua e di tantissime altre cose e così ci avviamo verso casa, verso una nuova avventura della vita. Insieme.

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8 Commenti

Luna 11/03/2017 - 09:36

Aspettavo questa seconda puntata del tuo racconto. Splendido davvero e immagino la fatica di riabituarsi alla città dopo un’esperienza del genere. Secondo me dovremmo farlo tutti, per ricentrarsi e recuperare il contatto con la natura e i suoi ritmi, e anche con le sue difficoltà. Grazie di avermi fatto sognare, un abbraccio.

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Luna 11/03/2017 - 09:40

Aspettavo questa seconda puntata del tuo racconto, immagino la fatica di abituarsi alla città dopo un’esperienza del genere. Secondo me dovremmo sperimentarlo tutti, per ricentrarsi e per recuperare il contatto con la natura, con i suoi ritmi e anche con le sue difficoltà. Grazie di avermi fatto sognare. Un abbraccio

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Antonella Svezia 11/03/2017 - 10:27

ciao Luna,
sono felicissima di averlo fatto e concordo con te. Anche se sembra una esperienza estrema, tutti possono provarla con un po’ di praparazione e dovrebbero provarlo. A me serve per ricaricare le batterie svuotate dallo stress del quotidiano, da cose a volte inutili, gesti che ci rubano il tempo.

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Solare 12/03/2017 - 01:32

Che meraviglia questo tuo racconto! L’ho letto con il fiato sospeso perché riesci a raccontare tutto nei dettagli che mi piacciono molto ma anche a creare un po’ di suspense del tipo …oddio chissà che succede adesso…perché come spieghi tu solo mettersi le scarpe sbagliate potrebbe crearti un problema e tu eri lassù da sola, bravissima. Un’esperienza magnifica per tutti voi e una natura cosi incontaminata e forte che comunque dubito sia alla portata di tutti. Ci vuole rispetto e organizzazione e non tutti sarebbero in grado di muoversi tra questi posti senza sciuparli e senza mettersi nei guai ma la tentazione di andarci è forte. Adesso potresti raccontarci com’è stato rientrare in un supermercato…sono certa che quello si che ti ha fatto paura dopo tutta la libertà e vita selvaggia! ?

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Antonella Svezia 12/03/2017 - 09:13

cioa Solare e grazie per il tuo commento.
La natura é pura e selvaggia, e lo diventiamo anche noi anche se solo in parte. Credo che l’uomo possa ritornare a vivere in sintonia con la natura se lo vuole, ma richiede dei sacrifici e non tutti sono disposti a farli, poi richiede tanta preparazione fisica, poiché le fatiche del quotidiano sono molte.
Bella idea quella di scrivere come mi sia sentita ad entrare in un supermercato, é proprio quello che ho notato dopo il primo e secondo rientro. Mi é proprio saltato all’occhio che mi succedeva qualche cosa di strano nel periodo in cui ero tra le montagne e il rientro era difficile, ma dopo 6 anni l’adattamento é sempre piú facile e normale.
un ciao!
antonella

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lorella 14/03/2017 - 08:22

Antonella,
sei stata bravissima a scrivere, un racconto veramente coinvolgente.
Se ti riferivi a me quando dici che non vieni ascoltata, non credere sia vero.
Forse un giorno accetterò il tuo invito, o sarà troppo tardi magari, vedremo.
Sei veramente in gamba anche come mamma.
BRAVA

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Antonella 27/03/2017 - 18:35

ciao Lorella,
si fai paret anche tu del gruppo di cui parlo, che non vede la bellezza del nord. Un giorno ti ci porteró con la forza!
ciao

Rispondi
Merily 21/04/2017 - 13:39

Bellissimo ! Penso sia stata per voi un’esperienza mozzafiato vivere in mezzo alla natura incontaminata leggendo mi sembrava di essere li con voi grazie per l’emozione che mi hai dato raccontando il tuo viaggio un ‘abbraccio forte

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