Qualche giorno fa, mi sono ritrovata a dover spedire almeno tre lettere.
E no, non sto parlando delle letterine che negli anni Novanta si scrivevano ai pen pal.
Invece: letterine per il servizio sanitario, letterine per il centro per l’impiego, letterine per l’assicurazione della macchina. Sì, perché qui il servizio postale è molto (forse troppo) utilizzato. Ma tant’è. Si passa molto tempo a preparare dossier, documenti vari. E a spedirli, in molti casi.
Bene, dopo aver riempito con cura i formulari e i moduli più disparati, e dopo averli riposti con altrettanta cura nelle rispettive buste, mi preparo per uscire.
Per completare l’opera mancano solo i francobolli.
Prima di chiudere la porta dietro di me, percepisco una voce dall’oltretomba. Si tratta del mio compagno: mi suggerisce di stampare i francobolli direttamente dal sito del servizio postale. Lo maledico per non avermelo fatto presente prima, e con curiosità inizio a spulciare tutti i francobolli (o quasi, perché ce ne sono veramente troppi) sul sito delle poste francesi.
Sarà dura scegliere. Da un lato una famiglia di ghepardi, dall’altro una volpe stilizzata e ridotta ad una commistione di frammenti geometrici, e ancora una donna con una pettorina sportiva che varca un traguardo.
Scenari paradisiaci con dune e specchi d’acqua in lontananza, che qui a Lione son chiaramente utopici. Non mancano le principali città francesi, e i francobolli a ispirazione astrologica. Ce ne sono anche alcuni da colorare.
Mi imbatto poi in una categoria in salsa vagamente new age che cita detox digitale, quinoa, avocado e feta. Non mi lascio abbindolare.
Il fatto è: ce ne sono veramente troppi.
Questa operazione sta diventando rischiosa, non so cosa scegliere.
Ho il vago presentimento che avrei impiegato meno tempo ad andare dal tabaccaio, acquistare i francobolli e rientrare.
Ma non mi perdo d’animo e continuo a scorrere con un’impazienza mista ad ansia/disapprovazione/frustrazione le categorie a disposizione. Matrimonio, nascita, fumetti, strumenti musicali. No, niente soddisfa il mio occhio esigente.
Questo benedetto francobollo mi rappresenta. Rappresenta l’idea che voglio comunicare di me: mi dico. Poi però mi rendo conto che sto esagerando. Son qui da circa tredici minuti. Ho improvvisamente un’illuminazione. Francobollo non sta a personal branding così come stamparne uno non sta a farsi-venire-una-crisi-isterica-scorrendo-decine-di-categorie-di-immagini.
Ed ecco che il deus ex machina della rentrée si manifesta. Sì, un francobollo sulla cosiddetta rentrée mi sembra proprio la scelta più azzeccata.
Vi starete chiedendo: cosa è la rentrée?
A volte credo si tratti di un concetto con un substrato vagamente filosofico. Forse è così. Ma all’atto pratico stiam parlando di quel momento dell’anno in cui tutto ricomincia. Le scuole ricominciano, le ferie finiscono, si rientra in ufficio. Tutto riparte. C’è una certa fibrillazione nell’aria, ed è piuttosto tangibile.
Non credo esista un termine simile in italiano. Il rientro? No, non direi.
Quando parliamo di rentrée, in Francia, parliamo davvero di un evento che ha una connotazione collettiva.
Una sorta di rito corale da cui è difficile scappare. C’est la rentrée. C’est la rentrée! Tutti a scuola, tutti in ufficio, tanti buoni propositi per questo eterno ritorno dell’uguale. A volte ho quasi l’impressione che qui in Francia abbia molto più spessore questa famigerata rentrée rispetto al Capodanno. Devo ammettere che quando vivevo in Italia non provavo questa vaga inquietudine mista a eccitazione, a fine agosto. Mi han contagiata.
Siamo ad ottobre, la rentrée è ormai passata da un pezzo.
Ma non so per quale misterioso motivo ho ritenuto opportuno celebrare l’evento di nuovo, sacralizzarlo al punto da ricordarne la dignità ontologica sulla busta destinata alla mia compagnia assicurativa con un bel francobollo commemorativo: le vacanze sono finite, esultiamo collettivamente al suono della sveglia. Ore sei. J’aime la rentrée. Non so se i destinatari apprezzeranno la mia scelta. A dire il vero: potrebbero percepirla come una provocazione. Come una sfida. Ma la mia è solo gratitudine. O forse no.