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Italians can do it

di Laura B. Qatar
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Italians can do it


 “Laura, si parte per il Qatar, è certo. Ho ricevuto il contratto da firmare”. L’atteso momento, il salto nell’ignoto che voleva dire “lavoro, dignità e speranze” per il nostro futuro, era arrivato.

Dopo un’altalena di emozioni positive e negative, ho ripreso il controllo. Mi sono messa a ragionare su quale poteva essere la principale difficoltà per una famiglia alla sua prima esperienza di espatrio. In cima alla lista spiccava l’apprendimento dell’inglese per i miei ragazzi di dieci e undici anni. Il loro livello era assai misero, giusto quell’infarinatura che la scuola italiana è in grado di fornire :“My name is…” “This is a desk”…. “the book is on the table”….

Pochi  mesi ci separavano dalla partenza, il processo di “inglesizzazione” doveva iniziare subito.

In Italia abbiamo ospitato una ragazza Americana alla pari: tre mesi di full immersion per cercare di preparare i miei figli almeno alla sopravvivenza. Arrivati a Doha, sono bastati pochi giorni per capire che ci si doveva rimboccare nuovamente le maniche e lavorare ancora più sodo. Tommaso e Matilde Avevano Luglio e Agosto per studiare con l’obiettivo di raggiungere un livello di inglese parlato e scritto sufficiente per essere accettati nelle scuole internazionali.

Trovare posto nelle scuole di Doha era difficile. Il numero delle famiglie espatriate era notevolmente cresciuto mentre il numero degli istituti internazionali era pressoché invariato. La stragrande maggioranza delle scuole con curriculum britannico non ammettono studenti se non con una buona/ottima conoscenza della lingua inglese parlata e scritta: figuriamoci i miei figli che dovevano entrare in quinta elementare e prima media.

A luglio Tommaso e Matilde iniziarono a frequentare i corsi di lingua presso il British Council, sfidando il caldo torrido estivo di questo paese desertico coniI suoi 50 gradi e un tasso di umidità di circa 80%. A lezione tutti i giorni! Per loro vacanze da incubo: compiti, letture, esercizi. Per me un periodo da incubo: dovevo spronarli, motivarli, aiutarli e sostenerli in questa sfida…

Della lunga lista di scuole alle quali avevamo inviato la richiesta d’iscrizione, solo alcune ci avevano chiamato per fare l’Assessment (il test d’ingresso). Dopo speranze, delusioni e tanta fatica, ci piegammo alla dura realtà: non ci avevano minimamente preso in considerazione. “Sorry, we have a long waiting list, maybe the next year”…. Traducendo “scordatelo un posto nella nostra scuola” No British Passport, no good English, no admission!

Per evitare di ripiegare sull’home schooling (una scelta per noi inammissibile ma tranquillamente accettata da molti genitori stranieri), decidemmo di iscrivere I nostri ragazzi in una conosciuta Tutor school.  L’orario settimanale prevedeva inglese potenziato, matematica, scienze, storia e geografia. Così facendo speravamo di ottenere, in un anno accademico, quel sospirato livello richiesto dalle scuole tradizionali.

Ma non tutte le ciambelle escono col buco.

Una mattina di Novembre arrivammo come il solito alle 6.50 davanti al cancello della Tutor school ma trovammo una brutta sorpresa: l’edificio era sprangato. Studenti, genitori e insegnanti, anche loro in attesa di entrare per svolgere le loro lezioni, si guardavano cercando una risposta a quei cancelli serrati. Nessun biglietto sulla porta, nulla che desse una spiegazione. Dopo alcuni frenetici giorni ci fu detto che la scuola non avrebbe più riaperto lasciando il personale e gli alunni  a casa. Che cosa successe veramente non lo abbiamo mai scoperto nonostante una denuncia collettiva alla polizia.

Quello che avevamo capito però era che ad anno scolastico iniziato, i miei figli rischiavano di perdere un anno di scuola non per colpa loro. Avevamo già pagato la retta per l’intero anno scolastico; Migliaia di euro spariti nel nulla e un pugno di mosche in mano.

Mi rimboccai le maniche e tornai in azione: trovai un insegnante per proseguire le lezioni d’inglese e nello stesso tempo rifeci il giro delle British schools già visitate. Spiegai la situazione di emergenza e pregai che i miei ragazzi fossero sottoposti a un altro assessment. Solo due li ammisero nuovamente al test a pochi mesi dal precedente. Una di esse li accolse con riserva: confrontando le due prove, costatarono I miglioramenti ottenuti in soli 2 mesi e decisero di inserire i due studenti nelle classi: con Gennaio tornarono sui banchi. 

Non avevo mai visto in precedenza i miei ragazzi così felici di rientrare a scuola.

Il Principal mi fece promettere che avrebbero seguito delle lezioni di lingua nelle ore pomeridiane per rafforzare ulteriormente la lingua. A Maggio avrebbero dovuto sostenere un altro esame per valutare il livello e, nel caso avessero raggiunto le competenze linguistiche richieste, avrebbero avuto il posto definitivo anche per gli anni a venire. Così fu.

Quando a fine Maggio ricevemmo dall’ufficio ammissioni la tanto attesa mail con il verdetto positivo, ci lanciammo in una danza scatenata nel salotto di casa.

Guardavo I miei due figli saltare e ridere felici per aver raggiunto un grande traguardo. Con fatica e impegno erano stati ammessi in una scuola inglese di ottimo livello. Le notti insonni, i mal di stomaco, le preoccupazioni, gli impegni economici affrontati erano acqua passata, ora c’era spazio solo per la soddisfazione.

Sono orgogliosa di loro, di come hanno affrontato le difficoltà di quel primo anno da adolescenti espatriati. Non ho ancora detto loro quanto mi hanno stupita e resa orgogliosa. Arriverà il momento giusto per farlo.

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