I primi mesi in cui ero ancora una nullafacente in Kenya, dedicavo il mio tempo a girare e conoscere questo paese dai mille colori e odori, mille paesaggi da ammirare e sguardi e sorrisi di ogni persona che incontravo.
Nairobi era da un paio di mesi la meta che avrei voluto visitare.
Questo fu possibile solo quando, quello che era allora il mio “fidanzato”, poi divenuto marito, decise di partire verso la Grande Città per fare acquisti al mercato dei Masai.
E’ un mercato immenso che si tiene tutt’ora a Nairobi dove i Masai vendono oggettistica varia.
E insieme a loro, oggi, sulla piazza si possono trovare anche alcuni kenioti di altre tribù, che vendono prodotti di artigianato tipicamente locale.
Partimmo alla volta di Nairobi viaggiando su un bus che faceva linea giornaliera con partenza da Malindi e, attraversando gran parte del paese, in dodici ore si arrivava nella capitale.
La prima tappa fu logicamente un “african cafe“.
Un localino tipico dove poter fare colazione.
Io come ormai mi ero abituata a fare a Malindi, presi la mia bella tazza di latte caldo, una bustina di caffè solubile da sciogliervi dentro e un chapati.
I chapati (una sorta i piadina locale): li adoro, soprattutto quando sono ancora caldi. John, chiese la sua classica colazione, che confesso ancora un po’ disdegno.
Due samosa (involtino tipico) ripiene di carne tritata, una zuppa di ossa di capretto bollito e un chai (latte e té rigorosamente ereditato dalle abitudini dei coloni inglesi).
Questa non è mai stata (e dubito possa diventare un giorno) la mia tipica colazione.
Rifocillati e, soprattutto, più svegli del momento di arrivo a Nairobi, ci dirigemmo a piedi verso il mercato masai.
Durante la strada mi fermai mille volte a guardare le vetrine dei tanti negozi che si trovavano lungo il percorso. Non bellissimi, ma certamente colorati. Ricordo un numero imprecisato di negozi di elettronica.
Notai poco distante una profumeria.
A Malindi non esiste ancora oggi una vera e sola profumeria.
Decisi di entrare per chiedere se avessero profumi facilmente reperibili in Italia.
Avevo infatti portato dei campioncini di profumo dall’ Italia che mi erano stati omaggiati da un amico della mia città, titolare appunto di una profumeria.
Uno di quei campioncini era molto piaciuto a John e speravo di poterlo trovare anche in Kenya.
“Sarebbe un bel pensiero” mi sono detta.
Era difficile, ma ci speravo.
Qualcuno lo ricorderà perche’ era il profumo di Alberto Tomba.
Profumo che 16 anni fa era abbastanza venduto soprattutto tra i giovani.
Entrai senza dire a John cosa cercassi nello specifico e, sempre con lui al mio fianco , mi rivolsi alla signorina che stava dietro il bancone.
In inglese chiesi: “Sorry, do you have Tomba’s parfum?”Avete il profumo di Tomba ?
La risposta fu immediata e inaspettata. Una mega risatona.
Il mio inglese era sicuramente pessimo, ma non capii.
“Ok scusa, Tomba. Sì. Il profumo Tomba“. E ancora risate.
E con lei a ridere altri clienti vicino, e pure quel masai spiritoso accanto a me, che non mi spiegava.
Guardai infatti lui e, sempre a voce alta gli dissi: “Ma cosa c’é da ridere? Sto chiedendo un profumo. Il profumo Tomba che ti era piaciuto tanto”.
Altre risatone.
Iniziavo a innervosirmi. Non riuscire a capire il perché delle mega risate.
Finalmente il masai si decise. “Tomba”, in lingua kiswahili, vuol dire “scopare”. Come fare “kashanga kashanga“.
E che cavolo. Potevate dirmelo prima?
Guardai la commessa, le sorrisi con un “sorry” ed uscii dal negozio a mani vuote. Da quel giorno il profumo se lo sceglie lui.
Da allora, prima di chiedere qualcosa in italiano, ho l’abitudine di sapere se il termine di ciò che cerco corrisponde a qualcosa di…pornografico!
Chi sono