La lunga notte del rifugio
“Dovrebbero arrivare intorno alle nove ma, di ‘sto passo, facciamo notte”.
Le ricordo ancora, queste parole.
Le ricordo come se fosse ieri e, a dirla tutta, le ripeto spesso.
Era il 6 luglio 2019, il mio quarto giorno di lavoro al rifugio. Per qualche strana ragione, però, era come se non avessi mai fatto altro.
A dirle, quelle fantomatiche quanto profetiche parole, fu la direttrice. Seduta di fronte al nostro Server-PC attendeva l’ennesima conferma di un ritardo che, davvero, ci sembrava inevitabile. Quella, insomma, sarebbe proprio stata una lunga notte.
Il giorno precedente, un venerdì anonimo come tanti altri, un grosso furgone era partito dalla Romania. La sua destinazione? La Germania, ovviamente. Con l’aiuto di tanti volontari insostituibili, un gruppo di cani dell’associazione Pro Dog Romania avrebbe varcato il confine. Ad attenderli, con un poco di buona fortuna, ci sarebbero stati rifugi e famiglie affidatarie. Queste, ognuno a modo proprio, avrebbero finalmente regalato loro un senso di appartenenza. Una casa, definitiva o temporanea. Un posto in cui, finalmente, riposarsi.
“Speriamo non abbiano dimenticato nulla, questa volta”.
La voce di Madeleine interrompe le mie riflessioni, facendomi sorridere. Prima ancora di poter partire, in effetti, i cani venivano sottoposti a un checkup di tutto rispetto. Libretto europeo delle vaccinazioni, documento di trasporto e sudore, insomma. Questi, a ben vedere, erano davvero gli ingredienti principali della lunga notte.
Quando arrivarono, silenziosi vista l’ora tarda nonostante il rifugio si trovi in un bosco, mi si aprì il cuore. Un sacco di occhi stanchi e speranzosi sembrò dirci: “Grazie”. Un paio di animali più giovani e scodinzolanti iniziò a guaire eccitato. La routine, poi, sempre la stessa.
Controllo del chip, trasporto in quarantena, peso, pipetta antipulci e zecche, pastiglie vermicide. Il tutto, ovviamente, annotato su una tabellina che avremmo letto più e più volte, nei giorni a venire.
Quella notte, lo ricordo ancora, accogliemmo cinque animali. Il giovane Pietje, che ora pesa quasi trenta chili e si è lasciato l’entusiasmo bambino alle spalle. La bellissima Baghira, nera come il nome suggerisce e insicura in una maniera tutta commovente. La piccola Vulpy, che di lì a poco avrebbe approfittato di ogni secondo d’attenzione per trasformarsi in una bambina viziata di tutto rispetto. La piccola Jonina, che avrebbe rubato il cuore di una famiglia di Bonn in una manciata di secondi. L’arcigna Patty, una cagnolina di sette anni che, mannaggia, aveva proprio i manierismi di una comare di paese.
Quando mi chiedono perché lavoro in un rifugio nonostante titoli accademici e frilli, mi piacerebbe avere il tempo di raccontar loro la storia di Pietje. Oppure le vicissitudini di Kimba. Parlerei per ore della commovente dolcezza di Mausi e dei suoi nove cuccioli. Quando rifletto su ciò che mi attende ogni giorno, mi concentro proprio sui loro occhi. Sulla flebile speranza con la quale mi osservano curiosi, incerti e un poco delusi dalla vita. Sono millemila, le storie da raccontare. Sono infiniti frammenti fatti di gioia ma anche di lacrime, di felicità ma spesso anche di lutto. La maggior parte di queste vicende, poi, inizia proprio così: con una lunga notte.
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