La tela di Penelope ed il film della vita
Sin dalla scuola siamo abituati a sentir parlare di Freud e molta terminologia inerente alle sue teorie è entrata a far parte del nostro linguaggio quotidiano.
Questo ci dice quanto la psicoanalisi abbia influenzato il nostro modo di vedere il mondo e il nostro rapportarci con la realtà.
La psicoanalisi è mutata nel tempo. Gli studiosi Greenberg e Mitchell portano avanti in un modello relazione che è contrapposto a quello pulsionale classico freudiano tentando, inoltre, di unificare le teorie della psicoanalisi. Il modello relazionale si basa sulle teorie inglesi delle relazioni oggettuali e quelle della Psicologia del Sé che tratteremo nello specifico in un altro post. Qui accenno solo al nome solo per chi avesse curiosità e volesse approfondire da solo.
Ciò che ci interessa invece sono proprio i concetti base della teoria del modello relazionale: per questi due studiosi l’elemento fondamentale della vita mentale sono le relazioni con gli altri e non le pulsioni.
Quindi, mentre per Freud e per la teoria pulsionale la mente è monadica ed emerge sotto forma di pressioni endogene, per la teoria relazionale l’altro è centrale e la mente è diadiaca. Vi è conflitto anche in questo caso ma emerge all’interno delle relazioni interpersonali.
La novità del modello relazionale è proprio il fatto che la mente è diadica infatti anche negli approcci precedenti e posteriori a Freud la mente viene vista come monadica. Non so se conoscete il dipinto di Kuniyoshi, artista giapponese, “People join together to form another person”. Noi siamo virtualmente costituiti da queste relazioni e dalla loro interiorizzazione.
Siamo attratti dalle altre persone e sviluppiamo legami profondi perché lo desideriamo: una delle motivazioni della vita umana è proprio la ricerca e il mantenimento di questo legame profondo ed i legami personali sono importanti per il mantenimento anche del senso di sé. Le relazioni sono quindi di fondamentale importanza e la natura relazionale si divide in almeno tre sottotipi: per destino, che appunto il bisogno dell’altro ed è altro che ci struttura, per proposito, la nostra ricerca delle relazioni vere, intense ed emotive e per implicazione, cioè per mantenere un senso di noi stessi e per formare un sé solido e coeso.
La mente è composta da tre dimensioni di configurazioni relazionali: il Sé, l’altro e lo spazio tra essi: non vi è se’ se non vi altro e viceversa; sono inoltre in continua relazione e senza spazio di interazione non esisterebbero.
L’esperienza umana è caratterizzata da modelli ripetitivi che non derivano dalla ricerca di gratificazioni ma dalla tendenza diffusa a conservare la continuità. Inoltre esiste un senso potente di sé e la voglia di conservarlo. Questo senso di sé è legato in maniera indissolubile agli altri, insomma nasce dalle relazioni, grazie a interazioni reali e a presenze interne.
La mente viene vista da questi individui come fluida e flessibile e, una volta formatesi, continua ad agire all’interno della matrice che l’ha formata. I modelli relazionali vengono interiorizzati e divengono delle mappe che regolano l’esperienza soggettiva. Insomma si creano delle configurazioni o matrici relazionali che poi vengono riattivate per produrre modelli famigliari di interazione.
Ed è anche vero che le diverse configurazioni relazionali entrano in conflitto fra di loro. Per spiegare cosa succede nella nostra mente la psicoanalisi spesso utilizza la storia di Penelope. Penelope,mentre aspettava Ulisse a Itaca, tesseva la tele durante il giorno e la disfaceva durante la notte. Questo progetto le serviva per mantenere la sua fedeltà: le persone sane si comportano alla stessa maniera, disfano la loro matrice relazionale per mantenere una definizione stabile di se stessi e per conservare l’idea che la nostra vita abbia una direzione sana.
Questa capacità di tessere e disfare la nostra matrice relazionale è un comportamento sano, mentre riproporre invariabilmente schemi relazionali interiorizzati non è adattivo.
Voi cosa fate? Disfate? E poi tessete di nuovo? Create nuove e flessibili risposte in situazioni relazionali nuove?
Mitchell per spiegare la nostra vita parte dalla metafora del film, che è formato da fotogrammi discontinui che però formano un film. Siamo formati da sé multipli che emergono ogni volta che agiamo in un diverso contesto ma le azioni fanno parte del film, il senso del sé unico e distinto.
Ancora una volta spero che queste brevi nozioni, a dire il vero molto accennate, vi siano utili e che pensiate alla vostra tela a come disfarla, a un comportamento flessibile e ai diversi che sé giustamente emergono in contesti diversi.
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Il tuo articolo arriva come la mela di Newton sulla mia testa. Disfiamo e ritessiamo continuamente, fuggendo e cercando allo stesso tempo, la continuità. Chissà poi quale sarà l’obiettivo inconscio di tanta fatica?