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La testa nel pallone

di Elena Londra UK
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Non fatevi ingannare dal titolo.

Non mi riferisco al mio stato mentale quotidiano, simile ad un giocoliere che cerca di tenere in aria quante più palle possibili (sottile riferimento ad una dichiarazione di Cherie Blair di qualche anno fa), bensì allo sport che usa il pallone: il calcio.

Sono una football mum, grazie a mio figlio che pratica questa attività nel ruolo di portiere.

Ha cominciato quando aveva circa due anni, perchè era l’unico sport che avesse corsi per bambini così piccoli, ed ora ne ha 11. Il tutto equivale a nove anni di sofferenza, che non ha ancora un termine!

Siamo passati dalla lezione di un’ora alla settimana, gestibile, fino ai 6/7 anni, a due allenamenti alla settimana più partita domenicale, a tre allenamenti più la partita ai tornei giornalieri.

Mi sembra di non fare altro che correre dietro a lui: andarlo a prendere agli allenamenti, portarlo alle partite, portarlo al torneo. Ovviamente, in qualunque condizione climatica, salvo diluvio tipo arca di Noè, unico caso in cui l’allenamento o la partita vengono cancellati.

Un esempio di un campo di gioco

Stiamo parlando di grassroots football che, in parole povere, è quello alla base del sistema, dove i campi sono spesso solo prati senza alcuna comodità (vedi panchine o servizi igienici) in varie zone di Londra, a seconda del torneo di appartenenza, e gli arbitri spesso improvvisati, perchè un arbitro qualificato costa £20/30 a partita.

Per fortuna, a me il calcio piace e ne conosco le regole, anche quella del fuorigioco, però vi assicuro che un figlio che pratica questo sport è una tortura, non solo per via dell’impegno.

In questi anni ne abbiamo viste di tutti i colori ed i genitori sono la parte peggiore.

Molti, invece di limitarsi a sostenere i propri figli no matter what, in qualunque caso, spesso aggrediscono verbalmente i giocatori della squadra avversaria, con toni poco dignitosi. A volte sono gli stessi allenatori a farlo; è capitato che lo fossero anche i ragazzini.

Mio figlio, che è mixed race, fino a questa stagione, e per le ultime tre, ha giocato in una squadra dove i bambini sono, ad eccezione di uno, neri, così come l’allenatore ed i manager. Non crederete agli episodi di razzismo che la squadra ha dovuto subire da parte di alcuni avversari, con anche i giocatori – ancora bambini – ad insultare i nostri durante la partita, o agli epiteti partiti dai loro genitori ed allenatori.

Con una squadra in particolare, con la quale abbiamo giocato diverse volte, le cose sono talmente degenerate che in un’occasione ho ripreso quanto stava succedendo, in modo da poter fare reclamo con la Federazione.

Ci sono, poi, quei genitori che pensano che il loro figlio sia il prossimo Ronaldo anche quando il piccino di turno non è portato per niente.

Nel mondo del pallone, quello maschile, girano troppi soldi. Gli stipendi dei giocatori famosi li conosciamo tutti; sono cifre da capogiro che, secondo me, non hanno giustificazione. Per carità, se mio figlio arrivasse a quei livelli non mi lamenterei di certo, ma rimarrei ferma in questa convinzione.

In attesa dei rigori

Arrivare a quelle vette, però, non è alla portata di tutti ed è non solo competitivo ma anche molto difficile.

Già a questa età, quella di mio figlio ma anche più piccoli o più grandi, l’ambizione è quella di essere notato da qualche scout delle squadre più famose. Queste persone girano, in incognito, questi campi di calcio, alla ricerca del prossimo grande nome.

Chi viene scelto, scouted, può ricevere un contratto per entrare nella academy della squadra. Questo vuol dire cominciare a guadagnare ma soprattutto entrare nel mondo del professionismo, almeno in termini di qualità di strutture e allenamento.

Una volta ammessi non è finita: i contratti, infatti, sono annuali e possono anche non venire rinnovati, per mancanza di rendimento o politiche societarie.

Un altro modo per essere notati è quello di partecipare agli open trials: provini organizzati da tutte le squadre, durante i quali i ragazzini si allenano e giocano sotto gli sguardi degli allenatori.

In questo caso, conta un po’ di fortuna o l’essere al posto giusto nel momento giusto: anche se il bambino ha fatto una buona prova, se la squadra non ha posto per quella particolare posizione, la risposta sarà negativa.

Al provino di Watford

Mio figlio ha scelto di giocare come portiere, dopo avere giocato in difesa ed in attacco, per emulare Buffon. Anche lui è juventino, come me. È bravo, lo dicono in tanti. Ed allora quest’anno abbiamo cominciato la trafila dei provini: uno all’Arsenal, durato sei settimane, non era quello che cercavano, ed è stato un no; uno a Wimbledon, un altro no; uno a Watford, dove lo vogliono rivedere ma non sappiamo quando; uno a Ipswich, un altro no. Ne abbiamo altri due in cantiere, uno con West Ham tra due settimane, e uno con Cambridge il prossimo mese.

I no non ci abbattono, gli dico ogni volta che è una grande esperienza ed opportunità. Certo, mi piacerebbe che entrasse in una academy per i motivi che ho citato in precedenza: la qualità delle strutture, dell’allenamento, della disciplina. Il fattore economico è secondario.

Non so se mio figlio sarà il Buffon della sua generazione, anche se me lo auguro. L’importante è che faccia qualcosa che gli piaccia, ed in un ambiente relativamente sano, lontano dalle cattive compagnie. Poi, se quello è il suo destino, succederà.

Nel frattempo, mi sono attrezzata: ho comprato una fantastica sedia pieghevole per quei campi che non hanno nemmeno una panchina; giacca impermeabile per quando piove o tira vento; mini borsetta con il minimo indispensabile; scorta di acqua.

Dolore!

Per ora, porto i segni del penultimo torneo, giocato sabato scorso.

In previsione dei trenta e più gradi previsti, ed occorsi, decisi di mettermi un vestitino estivo invece dei soliti calzoni.

Risultato? Calcistico: semi finale grazie ad un rigore parato da mio figlio; personale: puntura di zecca sulla gamba! Non vi dico il dolore! D’ora in poi, metterò sempre i pantaloni!

La prossima stagione saremo con una squadra nuova e sebbene le partite saranno dall’altra parte di Londra, per noi, la cosa fantastica per me è che il campo è attrezzato con una palazzina contenente un bar ed i servizi igienici: conquista! Basta poco per fare felice una football mum!

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1 Commento

Rino 13/05/2020 - 18:52

Bel articolo. Anche molto contenuto intuisco..purtroppo ci sono in Italia casi molto più gravi..dove le societá organizzatrici fanno pure pagare l’ingresso per poi Non offrirti nessun servizio..ma la cosa che più detesto é il comportamento dei genitori e di conseguenza dei ragazzi in campo..causa conseguenza..il papa al figlio..ammazzagli tutti.. Il figlio essegue l’ordine con un fallo pesante dicendo al altro bambino ‘muori bastardo’..! Genitori che dicono tra di loro..ecco..pure i neri addeso che prendono il posto ai nostri!.poi il fummo delle sigarette che vengono buttate come se niente fosse..e se provi a rimproverare qualche volta..finisci per litigare o essere preso a pugni…inssomma Non saprei se esiste un livello diverso da questo é dove..che andrei subito..

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