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Lavorare nel settore olistico negli USA: intervista a Maria Teresa

di Katia
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Intervista a Maria Teresa De Donato, expat a New York ed esperta di discipline olistiche 

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Maria Teresa De Donato

Ciao Maria Teresa, ti sei trasferita negli USA 23 anni fa. Era più facile a quel tempo entrare e restare in America rispetto ad oggi? 

Contrariamente a quanto si possa pensare, quando sono arrivata qui, agli inizi del 1995, le cose non erano affatto più semplici di quanto lo siano oggi. Al contrario! Le leggi erano più severe, i tempi burocratici più lunghi ed i bei tempi di quando bastavano pochi mesi per l’ottenimento della Green Card e della naturalizzazione erano terminati.

Nel mio caso, quindi, il processo burocratico è stato lungo e faticoso.

Oggi, al contrario di quel che potrebbe sembrare ad un esame superficiale, la situazione è decisamente migliorata; anche il processo di immigrazione, quando l’arrivo ed il soggiorno negli USA sono stati fatti in maniera del tutto legale, ha visto accorciare i suoi tempi.

Quali sono i cambiamenti che hai visto verificarsi negli USA nell’ultimo ventennio?

Un primo punto è legato ad uno snellimento nelle procedure e a tempi più brevi per quanto riguarda l’ottenimento della Carta Verde ed il processo di immigrazione. L’attuale Presidente sta cercando di eliminare la causa delle migliaia e forse dei milioni di immigrati clandestini. Vuole solo che le leggi – che già ci sono – vengano applicate e rispettate.

Ma qui mi fermo perché non voglio entrare nel “politico”. Mi limito a dire, comunque, che forse andrebbero apportate modifiche all’attuale legge sull’immigrazione, perché una stragrande maggioranza di clandestini, provenienti soprattutto dal Messico e dal Sudamerica, va a svolgere lavori che gli Americani di razza bianca non vogliono più fare – come ad esempio lavori di pulizia.

In 23 anni che sono qui, su 100 dipendenti ho visto solo 2 bianchi lavorare per la nettezza urbana.

Questo significa, per quella che è la mia percezione dovuta alla mia esperienza personale, che il rimanente 98% che svolge quel tipo di attività viene identificato come African American o latino.

I bianchi preferiscono, piuttosto, andare a friggere le patatine da McDonald. E dico questo senza giudicare nessuno, nel massimo rispetto di ogni esigenza, scelta, preferenza di lavoro, limitandomi solo a evidenziare ciò che emerge come dato di fatto.  

Se è vero che gli USA hanno bisogno di gente con Master e Dottorati, è altrettanto vero che hanno bisogno, forse ancora di più, di manodopera, quindi di persone disposte a svolgere lavori molto umili, come appunto quello delle pulizie.

Un secondo punto è di natura economica.

Il processo di Globalizzazione ha impoverito, a mio modesto avviso, anche gli USA. Le produzioni delle grandi aziende sono state trasferite all’estero, nei Paesi dell’Asia, del Sudamerica o dell’Africa, per ridurre i costi della manodopera. Questa mossa, però, come  è accaduto anche in Europa, ha comportato la perdita di migliaia – anzi, milioni – di posti di lavoro, con conseguente impoverimento della classe media, la cosiddetta borghesia che oggi, anche qui negli USA, si è quasi estinta.

Un terzo aspetto, che però è sempre legato all’economia, è l’aumento della disoccupazione.

Quando sono arrivata negli USA agli inizi del 1995, in alcuni stati, la disoccupazione era di fatto inesistente.

In quegli anni conobbi persone – cittadini americani, che quindi non avevano bisogno né di visti né di Green Card per lavorare – che persero il lavoro e nell’arco della stessa giornata ne trovarono uno nuovo in un’altra azienda. Una sorta di miraggio per me che, venendo da Roma, già negli anni ’80 avevo conosciuto periodi di disoccupazione, lavoro precario e lavoro temporaneo.

Le cose, proprio per le ragioni spiegate, sono purtroppo peggiorate anche qui e ci sono degli stati negli USA che si stanno letteralmente spopolando, stando a quanto riportano le statistiche online.

Un quarto punto, sempre collegato ai precedenti, è legato ai cambiamenti a livello di economia che hanno creato disoccupazione e, quindi, conseguente impoverimento.

Questo ha costituito un ulteriore motivo perché nelle classi meno abbienti aumentasse il livello di malcontento, di frustrazione e di ribellione.  C’è stato, infatti, un notevole aumento della criminalità e della violenza a tutti i livelli, che fa vivere un po’ tutti sempre sul chi va là.

Fortunatamente tu, però, lavori. Parlaci della tua professione nel settore olistico che svolgi a NY e di quali sono le caratteristiche necessarie per poter svolgere un lavoro come il tuo.

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La mia attività di coaching è iniziata più di 30 anni fa come coaching personale e spirituale, finendo con l’includere, negli anni, istruzione e carriera ed, infine, salute e benessere.

In questo ultimo decennio la mia attività in questo senso ha abbracciato un coaching a 360° includendo, di fatto, ogni area dell’esperienza/esistenza umana. Ho studiato gestione dell’ira, analisi del conflitto, terapia di coppia: strategie di comunicazione che funzionano.

Per l’attività nel settore salute olistica, invece, ho preferito la strada accademica, dal Bachelor, al Master, concludendo con il Dottorato e specializzandomi in naturopatia, omeopatia classica, alimentazione ed erbalismo occidentali ed orientali.

Le caratteristiche necessarie per svolgere la mia professione dipendono, in gran parte,  da ciò che ti prefiggi di raggiungere.

Per avere successo occorre non solo essere preparati, ma anche e soprattutto avere passione per ciò che si fa e continuare ad imparare cose nuove. Come scrittrice, ho bisogno di tranquillità, di massima concentrazione ed altrettanta disciplina… e di leggere molto.

Io credo che avere empatia, essere ascoltatori attivi e osservatori attenti, ed avere una mente aperta priva di pregiudizi sia assolutamente necessario per eccellere nella professione, soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con il paziente e la fiducia che deve esistere perché la terapia olistica o le sessioni di coaching abbiano successo.

Tu sei anche una scrittrice, di cosa trattano i tuoi libri?

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In questi 23 anni negli USA ho scritto regolarmente, collaborando con riviste e giornali sia italiani sia americani e pubblicando vari libri di salute olistica, uno di coaching e sviluppo personale ed uno di natura spirituale-religiosa.

Al momento sto lavorando alla stesura di altri due lavori: uno fiction, ed un altro di genere storico-genealogico che spero di pubblicare quanto prima, iniziando proprio  dalla loro versione in italiano.

Tra le mie pubblicazioni, una è disponibile su AMAZON in versione cartacea e kindle, sia in lingua italiana sia in inglese.  Il titolo è  Conquistare l’Invisibile – Approccio Olistico al PTSD (Post-traumatic Stress Disorder, ossia Disordine da Stress Post-traumatico). Il PTSD è una condizione mentale grave che purtroppo ogni anno colpisce migliaia di persone che sono vittime di esperienze fortemente traumatiche, tra cui guerra e violenza sessuale.

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Pensi che gli americani siano avanti rispetto a noi in questo specifico settore professionale?  

In linea generale, direi che gli USA sono avanti – come lo sono sempre stati i paesi di madrelingua inglese, quindi anche Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda – per quanto riguarda la reperibilità delle informazioni, i sistemi di studio e la sperimentazione, a qualsiasi livello quest’ultima venga applicata.

Noi arriviamo sempre più tardi per tutta una serie di motivi, tra cui l’attaccamento al passato e la burocrazia.

Ricordiamo, ad esempio, che Inghilterra ed USA avevano scuole per l’apprendimento a distanza già nel ‘700, mentre da noi è cosa relativamente recente ed ancora molto limitata.

Se dovessi dare una risposta breve a questa domanda, direi che USA e paesi anglosassoni con l’Italia si completano a vicenda, imparando, anche se a distanza di tempo, gli uni dagli altri.

Ci potresti raccontare qualcosa di inedito del tuo lavoro o un aneddoto o il risultato di un tuo trattamento?  

Un’esperienza che mi ha entusiasmata in modo particolare è stata quella da omeopata che ho avuto con un bambino di appena 18 mesi che per 12 mesi era stato ‘curato’ con terapie farmacologiche che lo avevano visto passare da un semplice raffreddore ad una bronchite – prima acuta, poi cronica – e che poi era diventata asmatica. I rimedi che ho scelto si sono dimostrati validi ed i miglioramenti ci sono stati da subito. Questo caso clinico è stato pubblicato online dalla rivista di Omeopatia Hpathy.

Disponi di un sito internet, puoi svolgere la tua professione e fare terapia anche online?

Sì, certo, la mia attività si svolge esclusivamente online. Chi volesse contattarmi può contare su una conferenza di 15 minuti completamente gratuita per conoscerci. Quanto più dettagliate e precise saranno le sue informazioni  tanto più accurato sarà il quadro che avrò e maggiore, quindi, la possibilità da parte mia di poter aiutare in maniera efficace.

Che consigli daresti ad un’italiana che volesse trasferirsi negli USA per lavorare?

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Negli USA ci si può trasferire solo tramite un visto di studio o uno di lavoro (questo se si escludono i casi di persone che hanno sposato americani o che hanno già familiari cittadini americani residenti nel territorio – ad esempio una madre che dall’Italia si trasferisce in America dove risiedono i suoi figli che sono diventati cittadini americani).

Esiste anche un visto per turismo che consente di vivere legalmente qui per 3 mesi, ma che non permette di lavorare. Detto questo, chi volesse venire qui e svolgere la mia stessa professione non potrà farlo nei termini e nei modi in cui lo faccio attualmente io, ma dovrà scegliere una delle due seguenti opzioni:

  1. chiedere un visto come studente e, quindi, frequentare un corso di studi – professionale o accademico –(i programmi a distanza, online o per corrispondenza,  non sono accettati in questo caso) 
  2. trovare uno “sponsor”, ossia un’azienda disposta ad assumerlo e, quindi, a “sponsorizzarlo” (ossia che si assuma davanti all’Ufficio Immigrazione la responsabilità delle procedure burocratiche di immigrazione oltre che di assunzione del lavoratore). Questa non è cosa semplice, purtroppo, perché in linea generale le aziende preferiscono assumere personale che sia già in possesso della Green Card.

Vivere a New York, oltre al tuo lavoro presenta molti altri stimoli. Quali sono, a tuo avviso, gli  aspetti migliori di questa metropoli e quelli peggiori?

Per quanto riguarda gli aspetti migliori per un italiano che viva a NY io menzionerei:

  1. Una grande comunità di italiani;
  2. Una città per certi aspetti molto “europea”, o comunque più “europea” di molte altre mentropoli americane, quindi anche piena di gallerie d’arte, musei, mezzi di trasporto (inclusa la metropolitana);
  3. Voli diretti “overseas”.

I tre aspetti peggiori:

  1. Alto indice di criminalità;
  2. Traffico da incubo;
  3. Inverni molto freddi e con neve e ghiaccio e, quindi, molto duri soprattutto per chi non vi fosse abituato.

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Per chi volesse visitare New York, saresti in grado di fornire un mini-itinerario di una giornata che sia fuori da ogni  classico tour turistico? Cosa consigli di fare e vedere? 

Il “Bloody Angle, ossia il tunnel della Doyers Street, un’area di Chinatown che tra fine ‘800 ed inizi ‘900 divenne famosa per le lotte tra due organizzazioni criminali per il controllo di Chinatown;

L’appartamento segreto di Radio City, uno straordinario edificio in Art Déco disegnato dall’architetto Edward Durell Stone e dall’interior designer Donald Deskey, che aprì nel 1932 e produsse spettacoli e punteggi orchestrali sincronizzati per film muti.

Track 61”, una piattaforma privata della ferrovia nord della città – Metro-North Railroad in New York City – e si trova sotto l’albergo Waldorf Astoria di New York, all’uscita dal Grand Central Terminal di cui fa parte. Veniva usata dai Presidenti americani per sfuggire al pubblico ed entrare direttamente nell’albergo Waldorf Astoria senza essere visti.

Il “Museo Houdini“, che è accessibile da 7th Avenue (angolo 35ma strada) da cui si prende un ascensore fino al terzo piano per trovare il museo che ha aperto al pubblico nel 2012 e si trova sul tetto del Fantasma Magic Shop.

Visitare Harlem”, con la sua ricchezza culturale, artistica e culinaria merita sicuramente.

E per mangiare, consiglio di sicuro Cheri, un French Bistrot dove il menu è vario e si possono gustare tante specialità biologiche.

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Torni spesso in Italia?

Sì, torno, ma non così spesso come vorrei. Dopo 23 anni di vita all’estero, il mio cuore è diviso.

L’Italia mi manca sicuramente, così come mi mancano la mia famiglia e i miei amici.

L’Italia è un paese straordinario: abbiamo sole, mare, montagna, campagna, una cultura millenaria, arte e cucina per tutti i gusti, cose che il mondo intero ci invidia. Siamo un popolo generoso e conosciuto ed apprezzato per il suo calore umano.

Ma ci sono aspetti su cui dovremmo lavorare e che dovremmo migliorare.

Se ci fossero una maggiore stabilità politica ed economica ed una migliore organizzazione ed efficienza a tutti i livelli; credo che milioni sarebbero i connazionali che rimpatrierebbero “at once”.

Per quanto mi riguarda, al momento non faccio progetti, anche perché la vita mi ha insegnato che tutto è possibile, ma nulla è certo. Vedremo…

Ti va di elargire un consiglio olistico per le Donne Che Emigrano all’Estero?

Certamente. Trasferirsi all’estero può essere vissuto come una straordinaria avventura o come una tragedia.

Ognuno ha il proprio percorso da fare e deve confrontarsi con situazioni e realtà diverse.

Inizialmente tutto può sembrare estremamente entusiasmante o frustrante – a seconda dei casi – proprio in quanto a novità; poi la nostra veduta cambia e, lo speriamo, raggiunge un suo equilibrio dal momento che, quanto più a lungo viviamo all’estero, tanto maggiore è la conoscenza e la comprensione che maturiamo delle diversità che troviamo e di quelle che ci contraddistinguono in quanto italiani.

Posso dire che ho capito che non esiste un posto che sia superiore in tutto e per tutto rispetto agli altri.

Cercare di capire e di integrarsi nel tessuto sociale del paese in cui ci si trasferisce è fondamentale e richiede tempo, così come è vitale continuare ad apprezzare e a salvaguardare il patrimonio culturale e linguistico del proprio paese di nascita. Questo aiuta sicuramente a mantenere un equilibrio a livello di corpo, mente e spirito, altrimenti si rischia di perdere la propria identità, cosa che a lungo andare logora e nuoce alla salute… anche fisica.

Per quanto riguarda l’alimentazione, quella americana, come si sa, non è tra le più saneSe si hanno già delle buone abitudini alimentari e di stili di vita che provengono dalla nostra italianità, il mio consiglio è di mantenerle perché saranno di grande beneficio nel salvaguardare la propria salute ed il proprio benessere. 

Sito Web di Maria Teresa

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