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L’insegnante, una professione, una vocazione

di Marianna - Edimburgo
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L’insegnante, una professione,

una vocazione

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Non avevo mai pensato di scrivere un pezzo su quello che faccio per vivere, perché a me ha sempre più interessato il lato spirituale e psicologico di tutto quello che vivo.

Però, proprio di recente, mi è arrivata una richiesta d’aiuto, da chi vorrebbe fare il mio lavoro e non sa bene da cosa iniziare.

Così, ho deciso di parlare della mia esperienza e percorso lavorativo, sperando di poter far luce sui dubbi che assalgono le donne che vogliono intraprendere questo stesso percorso.

Come ormai saprete, se un po’ mi conoscete, nel lontanissimo 2004 sono arrivata a Londra con una laurea in lingue e letterature straniere, presa all’istituto universitario Orientale di Napoli.

All’inizio decisi di studiare arabo per poi abbandonarlo e scegliere la strada un po’ più facile dell’inglese e dello spagnolo.

Dopo 4 anni di ricerca su me stessa, su chi fossi davvero e cosa volessi, passando per barista a Starbucks, commessa a Gap, poi Bodyshop, poi servizio all’aeroporto più affollato d’Europa, Heathrow, capii che magari dovevo dare un senso a quello che avevo studiato.

Cercai di entrare nel programma di abilitazione all’insegnamento per le scuole.

Il mio incubo: il PGCE. Nonostante lo sforzo, non ci sono mai riuscita, non l’ho mai voluto veramente, mi dico.

Cercando bene, trovai un corso che mi avrebbe abilitata all’insegnamento dell’italiano a stranieri, ma adulti, non bambini come avevo idealizzato.

Fatta la domanda e i conti in tasca, per vedere se potessi permettermelo, iniziai il CLTA alla Goldsmith University di Londra, corso di un anno a volte divertente, a volte noioso.

Durante il corso mi venne assegnata una mentor.

Non la dimenticherò mai: un altro incubo. Lei italianissima e già insegnante presso un community centre, la chiamerò Veronica per ragioni di privacy, ma una vera e propria terrorista.

In tre mesi riuscì a sminuirmi infinite volte e a prevedere che non avrei mai potuto insegnare con quel metodo poco organizzato e povero di materiali tecnologici.

Completo il corso, nonostante Veronica, e dopo solo 2 mesi, con mia grande sorpresa e gioia e alla faccia di Veronica, trovo il mio primo lavoro come Italian tutor presso un community centre della West London.

Avrei voluto chiamarla e informarla che la schiappa che descriveva lei, in realtà in soli 2 mesi aveva trovato lavoro ed ora era addirittura una sua collega… Ma non l’ho fatto.

Questo accadde nel settembre del 2009, mentre la mia vita sentimentale andava a rotoli e la mia vita si stava trasformando vertiginosamente in quella della donna libera e coraggiosa che poi sono diventata.

Dal 2009 ad oggi, non ho mai smesso di insegnare Italiano a stranieri, ed anzi nel corso degli anni sono riuscita a combinare diversi ambienti educativi, college, scuole, università, ed è stato sempre un crescendo di passione, divertimento e fede al proprio essere e istinto.

Ho imparato che non avrei potuto fare altro.

Se è vero che in Italia non ci tornerei mai perché non riuscirei a vedermi con gli stessi occhi con cui mi vedo qui, dico anche che il mio amore per l’Italia si esprime tutto quando parlo di Napoli ai miei studenti.

O quando parlo della lingua più espressiva del mondo, dell’innata comicità di alcuni nostri modi di fare e parlare.

Mi gioiscono gli occhi ogni volta che uno di loro mi dice che andrà a Napoli e ha bisogno di dritte, ed io lì a mandare email ricche di secret spots che solo un napoletano può conoscere e consigliare.

Sento anche di dover dire che il mio non è un lavoro che si fa per arricchirsi, anzi…

Di solito i contratti offerti sono stagionali, part time, pagati bene ma che spesso non offrono stabilità.

Ho dovuto in qualche modo crearmi secondi lavori che si combinano con questo, in modo da poter continuare a farlo e poter avere una vita mediamente normale.

Gli orari sono strani, a volte lavoro la mattina, ma per lo più sono le sere, con classi che iniziano alle 7 e finiscono alle 9.

Insomma, per concludere, bisogna avere una vocazione.

Bisogna vivere la classe come una performance teatrale.

Ogni volta è una prima di un film o di una commedia.

Io cerco di intrattenere, stimolare e motivare, e finalmente, dopo tante sere di lezioni vivaci e allegre, dove gli studenti escono dall’aula ancora ridendo, io mi diverto ancora e sono fiera di dire che insegno italiano all’estero.

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7 Commenti

Alessandra Ucraina 🇺🇦 22/05/2020 - 07:07

Ciao collega 🙂 tutto vero, ogni classe è come la prima di un film. Un abbraccione!

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Marianna - Edimburgo 22/05/2020 - 14:50

Grazie mille!

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Chiara - Parigi 22/05/2020 - 09:35

Che dire, chapeau ! Complimenti per il tuo percorso e una bella pernacchia a Veronica ! 😅 Purtroppo il talento suscita sempre l’invidia dei deboli, ma tu ti sei fatta strada a testa alta! Un abbraccio !

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Marianna - Edimburgo 22/05/2020 - 14:51

Grazie Chiara!

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Samanta - Jena DE 22/05/2020 - 11:31

Ho insegnato italiano per quasi cinque anni e rammento bene l’ambiente concorrenziale e quasi “cattivo” che caratterizzava le scuole presso le quali lavoravo. Hai ragione tu: è una vocazione e, perlomeno in Germania, una roulette russa à la: “insegno questo semestre e il prossimo che ne sarà di me?”.
Un ambito dal quale, però, ho imparato molto e che spesso mi facilita il lavoro con tirocinanti e praticanti perché, ormai, so come trasmettere concetti in maniera chiara e competente. Insomma: tutto è bene quel che finisce bene… 🙂

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Marianna - Edimburgo 22/05/2020 - 14:52

Complimenti Samanta e avanti tutta!

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Cinzia 22/05/2020 - 11:57

Ho sempre pensato che insegnare sia una vocazione , un ruolo difficile non adatto a tutti , leggendo il tuo articolo provo una grande ammirazione

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