A dispetto dell’esperienza maturata negli anni vissuti all’estero, è sorprendente constatare, a volte, che in effetti è doveroso invece non abbassare mai la guardia quando ci si ritrova a vivere in ambienti diversi da quelli dove siamo nate e cresciute.
Se da un lato gli anni di vita in un paese straniero possono aver stimolato l’apprendimento e la crescita di una persona, aprendola mentalmente ad una realtà molto più ampia a tutto tordo, e magari, come spesso può capitare a una donna espatriata, l’eventuale organizzazione del passaggio da un primo paese ospitante ad un altro nuovo paese d’adozione diventa più semplice, e più facile e diretta diventa la riorganizzazione della propria vita e di quella della propria famiglia, è anche vero che ci sono aspetti intrinsechi di quel nuovo paese che, in verità, non si conoscono, e benché l’informazione oggi corra veloce su tutti i mezzi di comunicazione possibili, ancora ci sono eventi che possono coglierci inaspettatamente ed assolutamente impreparate. Come l’accadere di una malattia rara al proprio figlio.
Tre mesi fa il mio bimbo di due anni e mezzo si è svegliato alle 4:30 del mattino con una improvvisa febbre di circa 39.5°C. All’ora di andare a letto, la sera precedente, il bimbo stava bene e non manifestava segnali di malessere di alcun tipo. Ho pensato ad una febbre virale. Alle 11:00 del mattino successivo tutto il corpo era coperto da una strana dermatite.
Dopo aver parlato con una cara amica al telefono che confermava la teoria della febbre virale, io comunque non mi sentivo tranquilla sono corsa ad una clinica pediatrica privata dove, non avendo prenotato con il dovuto anticipo, mi ha fatto ricevere da un medico generico, e non un pediatra. Ho preso a malincuore le prime cure da questo medico che non aveva capito di cosa potesse trattarsi e sono tornata a casa sperando in un miglioramento.
Ho trascorso la notte cercando di tenere bassa la febbre e la mattina dopo sono corsa all’emergenza pediatrica del National University Hospital di Singapore (NUH). Il bimbo è stato immediatamente ricevuto da un dottore e in quel momento presentava 41°C di febbre. Avevo notato le mani e piedi gonfi, le labbra e la bocca al suo interno arrossata, e benché mi sia sforzata di ragionare se potessero essere caratteristiche degne di attenzione, presa dalla preoccupazione della febbre alta, per quanto cercassi di tenere la calma, non ho dato sul momento troppa importanza a quei segnali che, ho pensato, potevano essere causati dal febbrone, che peraltro lui non aveva mai avuto così alto. Il medico che ci ha ricevuto, molto giovane, ha tenuto il bimbo in cura e sotto osservazione fino a metà pomeriggio e poi, constatando che i miglioramenti erano lievi se non inesistenti, ha cominciato a chiedermi se ritenevo che le sue mani e i suoi piedi fossero gonfi, e naturalmente, con mia grande sorpresa per il riferimento alla mia osservazione sullo stesso fatto di poche ore prima, ho risposto che effettivamente erano gonfie. Ha poi proseguito chiedendomi se il colore della bocca fosse rosso naturale, e io gli risposto di no, che era molto più rosso del normale ma che pensavo fosse la febbre ad aver causato l’aumento del colore, e invece, manifestando preoccupazione, il medico mi ha fatto notare meglio che non solo la bocca e le labbra erano rosse, ma anche la lingua più gonfia e irritata, a “fragola” egli l’ha descritta, mi ha fatto poi notare come la febbre rimanesse alta, che le ghiandole nel collo erano gonfie, che anche gli occhi erano rossi, le mani e i piedi effettivamente erano gonfi, e che questi erano sintomi del manifestarsi della Sindrome di Kawasaki.
Credevo di essere una donna abbastanza forte, ho vissuto davvero molte esperienze interessanti e provanti in vita mia, che mi hanno abbastanza irrobustito e corazzato, ma devo ammettere che pur non sapendo di cosa stesse parlando il medico ma basandomi solamente sulla percezione che non fosse nulla di promettente, ho avuto un mancamento: in pochi secondi, vissuti alla velocità della luce, ho rivisto le mie sette fecondazioni assistite e l’ansia per una sana gravidanza fino alla gioia della nascita dell’amore della mia vita, e in quell’istante non potevo credere che gli stesse accadendo qualcosa, con mio marito in Italia per lavoro e io davanti al medico a cercare di ricompormi e far tornare l’inglese una lingua comprensibile, in quel momento completamente offuscata dal mio cervello impanicato.
Mi sono ricomposta dandomi una sferzata di adrenalina con un violento richiamo al rigore della mente alla concentrazione e ho cominciato a parlare col medico.
La Sindrome di Kawasaki, che lui sospettava, è una malattia rara che può colpire i bambini nei primi cinque anni d’età. Ha avuto origine in Giappone negli anni ’60 e si è diffusa successivamente anche in Corea. A oggi non esistono esami che la possano individuare con certezza, ma solo i sintomi, che peraltro non sono facilmente distinguibili rispetto ad altre malattie e che saltano all’occhio a un medico che ha studiato il soggetto in particolare, o che si è trovato in precedenza di fronte ad un altro caso del genere.
Non è conosciuta l’origine della sua manifestazione, né tanto meno i fattori scatenanti. Apparentemente di tratta di una reazione autoimmune degli anticorpi che, probabilmente stimolati da una precedente malattia virale non guarita adeguatamente, ad un certo punto decidono di scatenarsi e attaccare il proprio corpo. Una Sindrome di Kawasaki non riconosciuta e non curata porta alla morte nell’1% dei casi per mancanze al cuore, arterie e coronarie. Se non curata in tempo, benché la vita del paziente possa non essere in pericolo, può comunque invalidarlo in maniera permanente per tutta la vita nei medesimi organi. Il medico a quel punto avrebbe voluto ricoverare il bambino ma l’ospedale risultava pieno, e cosi ci ha trasferito in un altro stimatissimo ospedale, il Mount Elizabeth, nell’area di Novena a Singapore.
Arrivata in ospedale col bimbo dopo una corsa in ambulanza, la prima visita che ho ricevuto è stata quella di un responsabile delle relazioni con le Assicurazioni sulla salute, a Singapore tutto il sistema sanitario di un espatriato è fondato sulla copertura personale con una buona assicurazione privata, e devo dire che benché questo non fosse una novità per me, la situazione mi ha davvero irritato. Il bambino piangeva oltremodo e io che lo tenevo in braccio non riuscivo a capire nulla di ciò che questa persona mi stava dicendo, come del resto neanche lui riusciva a comunicare bene con me, se non a ripetere una cantilena che per dovere deve cantare, sapendo che solitamente le persone alla sua conclusione firmano, senza aver capito nulla e senza dire nulla. Mentre io no. Gli ho fatto notare come la situazione fosse impossibile, e solo dopo aver calmato e sistemato un attimo il bimbo son tornata da lui nella maniera più lucida e ferrata che potessi permettermi in quel momento. Salta fuori che, nonostante la mia assicurazione avrebbe coperto qualsiasi spesa, questi voleva la mia carta di credito per assicurarsi il pagamento, da una parte o dall’altra, in qualsiasi circostanza. Anche questa procedura è normale, ma ciò che ho voluto attentamente sottolineare a questa persona, è che lui si preoccupasse di informare l’Assicurazione e di darle il tempo necessario per comprendere il caso e spedire il pagamento, e non riscuotere dal mio conto prima che le operazioni fossero state svolte correttamente e nei tempi umanamente necessari. E sono stata sufficientemente convincente, con la bocca parlavo chiaramente, e con lo sguardo ho impresso nella sua mente ogni singola parola.
Dopo una prima visita all’Emergency Department, le infermiere ci accomodano in una camera privata e di lì a poco siamo raggiunti dal medico pediatra dell’ospedale che mi ha colpito positivamente per la sua attenzione, concentrazione e prontezza a non sottovalutare nulla di tutto ciò che gli raccontavo, oltre alle note del precedente medico, incluso il fatto che il bambino avesse bevuto accidentalmente un po’ di acqua piovana caduta da un tubo arrugginito quel week end. Ha immediatamente prescritto una serie infinita di esami che coprissero tutti gli aspetti possibili dopo le sue valutazioni e arrivati i risultati mi ha chiesto di aspettare. Mi ha spiegato che, al contrario di quanto spesso accade, noi fortunatamente eravamo arrivati all’ospedale cosi in anticipo sul processo di una eventuale malattia che, con le dovute cure per la febbre, avremmo dovuto comunque aspettare almeno un giorno per permettergli di osservare l’evolversi della situazione. E cosi facemmo.
Il giorno dopo ci ha inviato a fare un’ecografia e altri esami al cuore, alle coronarie e a tutto l’apparato circolatorio del bambino, e benché i risultati fossero promettenti perché non era presente alcun tipo di manifestazione a quegli organi, la mia gioia si è subito ammortizzata perché l’evidenza dei danni della malattia sarebbe potuta manifestarsi ancora dopo alcuni giorni, fosse stata al momento in corso d’opera, e nostro malgrado, verso la fine della serata il dottore mi ha preparato alla possibilità seria che si trattasse di quella Sindrome, nonostante la lenta manifestazione.
Danni cardio circolatori visibili non si siano mai manifestati grazie a Dio, ma i sintomi hanno continuato il loro percorso e la loro persistenza, così il giorno dopo ancora, con il mio consenso, il medico e il suo team avrebbe iniziato la somministrazione dell’immunoglobuline, la medicina per combattere questa malattia.
A rendere ancora più difficile la decisione era il fatto che questa pesante medicina, che sarebbe stata somministrata lungo il corso di tutta la notte via flebo, non è sempre accettata dal corpo dei bambini, ma rigettata con possibili allergie. E a quel punto sono davvero andata in panico. Cosa sarebbe successo se il corpo del bambino non avesse accettato la medicina? In effetti avremmo dovuto curare l’allergia e in seguito ci sarebbe stata una seconda cura, che però non è la via principale contro questa Sindrome.
La stessa notte è arrivato mio marito, come nei film, proprio nell’attimo in cui partivano le prime gocce di cura dalla flebo, e in silenzio ci siamo stesi accanto al bimbo vigili ad ogni sua possibile reazione.
Per fortuna è andato tutto bene. Abbiamo continuato le cure con Aspirinetta quattro volte al giorno e un farmaco per la protezione dello stomaco finché la cardiologa non gli ha sospeso tutto alcune settimane dopo. A oggi il bimbo è ancora mensilmente controllato a livello cardiaco per la stessa malattia. Dopo l’anno dalla manifestazione della Sindrome di Kawasaki i controlli saranno semestrali fino a quando compirà i cinque anni. E poi, molto probabilmente, i controlli saranno annuali a vita, o finché macchinari specifici come una importante macchina per le risonanze magnetiche all’apparato cardio circolatorio sarà puntualizzata e permetterà delle indagini molto più dettagliate di quelle favorite dalle attuali ecografie. La malattia può comunque ripresentarsi, anche se molto raramente. Di fatto, perciò, dovremo sempre stare attenti ai possibili sintomi ogni qualvolta il bimbo si ammalerà fino al compimento del suo quinto anno.
Poche intime amiche a Singapore mi sono state davvero vicine in quei giorni, e le amiche che non erano a Singapore in quel momento sono comunque riuscite a starmi vicine, tanto da sentire il loro calore e da farmi profondamente apprezzare la bellezza dell’amicizia, quella vera. Poi, un coro meraviglioso di donne si è alzato in mio conforto e sostegno, quello delle Ambasciatrici Del Buon Gusto nel mondo: un gruppo di donne, a cui io orgogliosamente appartengo, competenti nell’arte culinaria e simpaticissime, che mi hanno travolto con tanto calore, storie e sostegno veramente spontanei e sentiti. Ed è a questo punto che è arrivata la mia commozione, quando finalmente i risultati del bambino avevano cambiato il percorso rispondendo adeguatamente alle cure del bravissimo medico, e oggi pediatra ufficiale del bimbo, e quando a un cenno di bisogno le persone della mia vita, fisicamente e virtualmente, sono corse accanto a me in tutti i modi possibili. Grazie ancora a tutte voi.
Oggi son serena. Ci sono altre malattie di cui dovrò informarmi, ma intanto, mi godo la gioia di mio figlio e mi curo dallo stress e da una disastrosa caduta di capelli a seguito di questa grande paura.
Che sia la volta buona che cambio look e mi compro tre o quattro parrucche?
Ci sto facendo un pensierino…
Chi sono
8 Commenti
Catia leggendo il tuo racconto mi sono trovata in lacrime perché sono stata catapultata a più di 3 anni fa quando mi è stato comunicato che sia io che mio figlio eravamo stati contagiati dalla Dengue in contemporanea ed in modo piuttosto pesante. Il fatto di essere in Thailandia, il fastidio di dare prima la carta di credito, la lontananza da tutti, le difficoltà linguistiche. E pure mio marito era in Italia per qualche giorno… Insomma non sai quanto ti capisca! Ti abbraccio fortissimo e spero che per il tuo piccolo non ci sia nessuna conseguenza
Carissima Mamma in Oriente, l’abbraccio è reciproco come la totale comprensione. Il bimbo ora sta meglio ma dobbiamo comunque proseguire con gli accertamenti fino ad età avanzata. Sono grandi shock quelli che ci sono capitati. Ti sono vicina. Un bacio grande. Catia
Catia, sono una delle Ambasciatrici felicissima di sapere che tuo figlio sta bene. Vi auguro una vita piena di felicità.
Carissima! Grazie per il gentilissimo messaggio! Il bimbo sta bene, i controlli procedono ma sono assolutamente fiduciosa! Grazie per i bellissimi auguri che contraccambio con tutto il cuore! Un grande abbraccio e a presto, in linea nel nostro meraviglioso gruppo!
Ciao Catia. Sono una nurse specializzata in anestesia e rianimazione ma prima ancora mamma di tre figlie ed emigrata. 30 anni fa ho contratto l’ Amoeba in Africa, durante un precedente lavoro che mi è costato l’uso dell’intestino tenue. So cosa hai passato ma soprattutto comprendo la paura ed il dolore. Ti abbraccio forte. A te e al tuo bimbo coraggioso. .
Carissima Flavia, grazie a te per questa importante condivisione. Noi donne abbiamo una fibra unica, ora che ne abbiamo coscienza, usiamola quando necessario e poi, cerchiamo di tornare a sorridere serene. Ti auguro tutto il bene. Grazie per avermi letto e scritto. Un grande abbraccio. Catia
Cara Catia sono in ospedale e sto vivendo la stessa caduta di capelli…un dispiacere allucinante…la mia piccola di 4 mesi ha fatto le immunoglobuline 2 gg fa ed è passata la febbre…il trauma resterà a vita…sono sconvolta.
Carissima Rossana, ho appena letto il tuo messaggio e ti abbraccio fortissimo.
La tua bimba sta rispondendo alle cure per il meglio e per il meglio tutto si concluderà. Sarà lei ha imprimerti la gioia e a farti scordare tutto. Vedrai!
Ciò che devi fare, e che io ho trascurato, è parlare al tuo medico di te, del tuo shock, e chiedergli un aiuto concreto, fossero solo supplementi, oltre a del buon riposo. Ma supererete tutto, vedrai!
Il mio mio bambino, oggi ha 4 anni, continua i suoi controlli periodici ma sta bene. Non è avvenuta nessuna ricaduta che, anche se raramente può accadere, ricordatelo. Non lascio che questa triste disavventura rovini la nostra vita, allo stesso tempo rimango vigile. Ti rassicuro dicendoti che la nostra vita è normale e serena, e tanta gioa e serenità auguro a te e alla tua famiglia. Prendi tempo e state bene. Vi abbraccio forte. Catia Singapore