“Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei”
(Anthelme Brillat-Savarin)
A scuola di cucina per conoscere meglio l’Oman e gli omaniti
Da sempre appassionata di cucina, desiderosa di novità per il mio blog dedicato al food e soprattutto di conoscere a fondo il paese in cui vivo, due anni fa ho frequentato a Muscat un corso di cucina omanita. La cucina tradizionale, non quella della miriade di ristoranti affollatissimi a qualsiasi ora del giorno e della sera.
A Muscat siamo davvero tantissimi tra expat e autoctoni. Ognuno per i pasti segue gli orari e le abitudini della propria etnia o quelli dettati dall’occupazione lavorativa.
Per consuetudine il pasto principale degli omaniti viene consumato a mezzogiorno, mentre il pasto serale è più leggero. Le abitudini dei giovani però stanno molto cambiando ed è facile vederli mangiare a qualsiasi ora nelle caffetterie alla moda e nei fast-food. C’è il rischio che la tradizione culinaria beduina vada persa.
Un paese si conosce anche attraverso la sua cucina.
E quella omanita subisce l’influenza dei paesi asiatici vicini. Frequentando i ristoranti, ci si accorge subito della contaminazione libanese e indiana.
I menù propongono spessissimo i Mezze, gli antipasti libanesi molto graditi alla popolazione omanita. Hummus (salsa di ceci e sesamo), Fatayer (fagottini ripieni carne o spinaci) e Falafel ( polpette fritte di fave) sono solo alcuni esempi.
Gli omaniti amano street-food e fast-food.
Nelle serate di giovedì (prefestivo) e venerdì, lungo le spiagge e le strade di periferia spuntano venditori di Mishkak, spiedini di carne di agnello molto simili agli arrosticini abruzzesi. Io li adoro! Vengono cotti lungo la strada su grandi griglie, sono ottimi e costano pochissimo. Unica pecca: si torna a casa affumicati e ci si deve infilare direttamente sotto la doccia, abiti compresi!
Il cibo più amato nei fast-food, oltre agli hamburger traboccanti di salse speziate, è lo Shawarma: carne di pollo o agnello simile al doner kebab, servita con pomodori freschi e cipolla su pane arabo arrotolato. E’ molto saporito. Il migliore, a mio avviso, si mangia sulla Corniche di Mutrah, all’Al Ahli Coffee Shop di lato al Suq.
Esiste però una cucina tradizionale omanita.
Anzi, dovrei dire che esistono tante cucine quanti sono i governatorati (regioni) del Sultanato.
Il paese si estende su una superficie di 300.000 kmq. All’estremità settentrionale, c’è il Governatorato di Musandam, chiamato la “Norvegia tropicale” per i suoi fiordi e i monti che raggiugono i 2000 metri di altezza. All’estremità sud, c’è il bellissimo Dhofar al confine con lo Yemen.
E’ evidente che regioni così lontane e diverse abbiano abitudini alimentari e ricette simili ma variate per uso di spezie e metodi di preparazione.
La scuola di cucina
Decisa a carpire qualche segreto culinario e a sperimentare i veri sapori di questa bellissima terra, mi sono iscritta allo stage dell’Oman Tourism College: impresa epica per me, da pochi mesi arrivata nel paese, mai entrata in una cucina alberghiera e praticamente a zero con la lingua anglosassone.
Tra pentoloni fumanti e cuochi professionisti, che ci faccio io qui?
Il primo giorno di lezione è stato allucinante.
Ho pensato più volte di togliermi grembiule nero e cuffia e fuggire con la coda tra le gambe.
Mi ha trattenuto solo il mio grandissimo amor proprio. Mi sono trovata tra pentoloni fumanti e colleghi esperti, ognuno appartenente a una diversa etnia. Un guazzabuglio di lingue e odori da far girare la testa. Tornata a casa, puzzavo tanto di spezie e verdure bollite che non mi sono bastate due docce per sentirmi bene.
Esperienza negativa, quindi? Per niente!
Il secondo giorno mi sono costretta a partecipare al corso ed è stata una delle decisioni più belle della mia vita. Pian piano ho imparato termini e tecniche. Ho lavorato in équipe e mi sono divertita moltissimo!
Più che un corso di cucina, un’esperienza di vita.
La mia insegnante omanita: Zuwaina, determinata e dolcissima. Elegante nonostante la casacca da lavoro. Ben truccata, il capo coperto da un foulard sempre diverso, il viso sempre sorridente, una pazienza certosina.
I miei colleghi: due tunisini, due ragazze omanite, una indiana, un gentilissimo cuoco dello Shri Lanka. Con loro nessuna competizione. Eravamo tutti lì uniti dall’amore per la cucina e per imparare. E più prendevamo confidenza tra noi, più lavorare assieme era divertente e formativo.
Ogni sera ci radunavamo attorno ad un grande tavolo per assaggiare le pietanze preparate, bere Tchai (tè) o Qahwa (caffè), scambiarci idee e informazioni. Un momento conviviale bellissimo.
Che cosa ho imparato
Per prima cosa, a preparare il Qahwa.
E’ il caffè omanita, sinonimo di accoglienza e rispetto per l’ospite.
Una bevanda forte e amara, aromatizzata con cardamomo, che ha tempi lunghi di preparazione.
Si mette in un pentolino o una dallah, la tipica caffettiera araba, una tazza e mezzo di acqua a testa e si fa bollire. Poi si aggiunge un cucchiaio da tè abbondante di polvere di caffè a testa.
Si porta a ebollizione. Si toglie dal fuoco, si rimescola e si mette di nuovo sul fuoco. Si ripete questa operazione per 4/5 volte finché il caffè diventa forte e denso.
Si versa dalla caffettiera tenendola alta (per prendere la mira occorre un po’ di pratica) in piccole tazzine senza manico. Poi bisogna aspettare ancora un po’prima di berlo, così la polvere in eccesso si deposita sul fondo.
Niente zucchero o latte!
Qui accompagnano al Qahwa i datteri o l’Halwa, una sostanza gelatinosa dolcissima fatta con zucchero di canna, uova, miele e spezie. L’Halwa viene offerto tagliato in piccole porzioni simili a caramelle molli e appiccicose o in ciotole con un cucchiaino.
A me il Qahwa piace moltissimo alla maniera yemenita, aromatizzato con l’Attar, l’acqua di rose prodotta sui monti Hajar.
L’elogio della lentezza
La cucina omanita richiede tempo e pazienza.
Kotan Soup (zuppa di riso e pollo), Shuwa, Chicken Qaboli o Fish Matafai, richiedono tempi lunghi di preparazione e una cura continua.
Si rimescola, si assaggia, si aggiungono spezie, si lasciano riposare i cibi. Intanto si chiacchiera e si beve tè o caffè.
Una particolare cura va riservata alla lavatura del riso. Un vero rito.
Per una tazza di riso ne occorre una e mezzo di acqua.
Si lava il riso nell’acqua con un movimento lento delle mani, come quando ci si lava il viso. Si ripete l’operazione per almeno quattro volte e ogni volta si cambia l’acqua. All’ultima lavatura si lascia il riso in ammollo per almeno venti minuti, prima di scolarlo e cuocerlo.
In Oman i pasti molto spesso hanno il riso come ingrediente principale, insieme a carne o pesce cotto nel brodo assieme a verdure. Il Maqbous, ad esempio, è riso allo zafferano cotto e presentato su carne rossa o bianca piccante.
Un piatto che richiede tempi di preparazione biblici è lo Shuwa.
Carne massaggiata con spezie e salsa di datteri, avvolta in foglie di palma e cotta len-tis-si-ma-men-te in un forno di argilla sotterraneo. Noi l’abbiamo preparato e cotto per quattro ore nel forno della scuola alberghiera.
Lo Shuwa è il piatto tipico delle feste popolari.
In queste occasioni viene cotto anche per due giorni e sorvegliato a turno dai componenti della famiglia o addirittura del villaggio. La carne diventa tenerissima e si impregna di tutto l’aroma delle spezie usate.
Anche il pesce è molto utilizzato nei pasti principali.
Molto popolare è il Kingfish, una specie di grosso Sgombro. Il Mashuai ad esempio, è un Kingfish arrostito allo spiedo e servito con riso al limone.
Il Rukhal è il pane omanita.
Ha una consistenza a metà tra il Chapati indiano e il Carasau sardo. Accompagna ogni pasto, servito con miele per la prima colazione o sbriciolato e mescolato a curry per la cena. Gli omaniti ne fanno un pappone dolce… un po’ difficile per i nostri palati italiani.
Dolce che più dolce non sì può.
Trovo i dolci della tradizione omanita gradevoli, ma piuttosto indigesti.
Eccezion fatta per i Luqaimat, deliziose palline di farina, zucchero e cardamomo fritte in olio vegetale. Molto simili alle nostre castagnole di carnevale, sono il classico dolce offer to nelle sagre di paese.
Una tira l’altra, impossibile resistere.
Molti dolci della tradizione, ad esempio il Khabisa (dolce morbido al cucchiaio) e i Baseesa (dolci monoporzione modellati con appositi stampini ), sono a base di farina tostata e impastata con miele e salsa di datteri.
In Oman sono molto popolari i Baklava di origine turca che si trovano in tutte le pasticcerie, ma il dolce più amato oltre il sovra descritto Halwa, è sicuramente l’Umm Ali.
Preparato con pane, latte aromatizzato alle spezie (vaniglia, cardamomo, cannella) con aggiunta di pistacchi, mandorle e anacardi. Non ci si deve quindi meravigliare se il tasso di diabetici in Oman è molto alto!
Il diploma di fine corso
Proprio così: le ore trascorse a spignattare tra i fornelli dell’OTC Omani Tourism College mi hanno fruttato un diploma del quale vado orgogliosissima. Simbolo di tenacia e di quella che chiamo la “Expats Resilienza”. Peccato che abbiano sbagliato a scrivere il cognome… L’ho fatto correggere due volte e alla terza ho desistito. Pazienza! In Oman è il nome di battesimo quello che conta e soprattutto per me conta il fatto di aver ottenuto un risultato che mai e poi mai mi sarei aspettata.
Tips
Spero che questo viaggio tra i segreti della cucina omanita vi abbia divertito e vi venga voglia magari di sperimentare qualche ricetta assieme a me. Due consigli “da amica” per il turismo gastronomico a Muscat.
Se vi trovate a Muscat e desiderate assaggiare la vera cucina omanita, cercate nella zona del porto di Mutrah, in Al Mina Street, la Bait al Luban. Il nome significa casa dell’incenso.
In questo ristorante finemente arredato in stile locale, potrete gustare il meglio dei piatti omaniti compreso il gelato all’incenso. Detto così può suonare strano, ma è una vera squisitezza.
Se poi siete così fortunati da capitare in città nel mese di febbraio durante l’Oman Festival (Festival della cultura omanita ) che si tiene nel parco di Al Amarat a pochi km, da Muscat, cercate lo stand gastronomico di Raya Al Habsi, una vera e propria celebrità dei Mussanif.
Le donne della sua famiglia si tramandano la ricetta da tempo immemorabile.
I Mussanif sono polpettine schiacciate di carne tritata bovina e di pollo.
Il tutto amalgamato con cipolla e spezie che, ovviamente, Raya tiene segrete. Vengono cotti per venti minuti in una padella a temperatura bassissima e sono una delizia per la quale gli omaniti sono disposti a fare lunghissime file di attesa.
Per finire in bellezza, vi consiglio di farvi tentare dai tanto da me decantati Luqaimat.
Ma‘a salamah, Bismi Allah!
Ciao e buon appetito!
9 Commenti
Buongiorno a tutte, mi chiamo Daniele e sono il marito di Giovanna, e quindi ovviamente “di parte”.
Mi corre l’obbligo però , per una volta almeno, di scrivere qualcosa in onore di questa ” Donna Emigrata” e dove meglio che sul vostro sito.
Giovanna, come molte di voi , è una expat ” forzata” nel senso che ha deciso di seguire il marito che è emigrato all’ ‘estero per motivi di lavoro ( molte di Voi mi capiranno bene , a volte si deve fare di necessità virtù per sssicurare alla propria famiglia un decente presente/futuro economico?.
A Noi è toccato L ‘Oman , non imposto perché avevo almeno quattro opzioni di lavoro , ma è stato scelto , principalmente da Lei alla quale ho dato , almeno quella , libertà di scelta.
È venuta con me in Oman , Middle East , paese Musulmano , dove si parla Inglese , completamente digiuna della lingua della Perfida Albione , avendo studiato Tedesco a scuola, in un ambiente non facile, ma con tanta volontà e costanza ha vinto la sua personale battaglia.
Ne sono fierissimo
Con amore
Daniele
….Grazie amore mio, questa è la ricompensa più grande. ?
Mai fredda cronaca …..o schematico elenso di ingredienti … Cuore ,emozioni ,colori e si riesce persino a percipire un “preludio di sapori “…. Si chiama passione ! .. Per la cucina !? … No …per tutto quello in cui ti cimenti ! ….. Bello ….
Grazie delle Tue parole, so che vengono dal cuore. Bello averti conosciuta e bellissimo non averti persa!
Cara Giovanna, come tuo marito… potrei esser di parte vista l’amicizia di più di trentacinque anni…
Ma no! Io sarò sincera e grata a te!
Sincera perchè lo sono di carattere.
Grata perchè mi hai fatto conoscere un paese con le sue tradizioni, bellezze,…. che non conoscevo affatto!
Mi ricordo che quando mi hai comunicato il vostro trasferimento l’unica cosa che sono riuscita a dirti è stato.” Dove? Come hai detto che si chiama? E dove si trova? Mai sentito nominare!”
E in questi pochi anni come Donna che emigra all’estero per seguire il marito dove lascia in patria il lavoro, affetti e tradizioni…. mi hai permesso tramite i tuoi occhi di conoscere un popolo cosi lontano da noi in tutti i sensi.
Me lo hai fatto conoscere con i tuoi bellissimi racconti (scritti o a voce quando tornavi a casa per brevi peridi), reportage fotografico, cucina…..
Grazie cara amica Giovanna per avermi fatto conoscere questo paese arabo, islamico ma moderno e aperto e rispettoso verso gli expat: sono felice che presto tornerai in Italia ma l’Oman mi mancherà!
Che dire…sono commossa! A dire il vero so ancora così poco di questo paese! Ma é stato amore amore a prima vista e ovunque la vita mi porterá, sarà sempre un po’ casa mia
Non avrei dovuto leggerti, che fame ora!! L’Oman mi manca ancora, ma conosco tanta gente che ci è passata per questioni turistiche e professionali, non esitero’ a lasciarmi qualche gg in piu’ solo di visite culinarie..Diffondo il tuo articolo!
Grazie Laura! Se ti serve qualche altra indicazione non esitare a contattarmi! Trovi qualche ricetta sul blog e belle foto nella gallery instagram di Donne che emigrano e di Gio’s Suitcase. Buona vita!
Bell’articolo Gio, complimenti!