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Il Marocco e la lentezza

di Francesca Marocco
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Questo post necessita di una prefazione.
Nella mia vita pre-expat ero una di quelle persone che vanno a fare la spesa con la lista in base alla disposizione dei prodotti dentro al supermercato in modo da fare tutto più rapidamente possibile. Inutile dire che davanti alla cassa mi accorgevo sempre di aver dimenticato il latte o la mozzarella che sono all’entrata ma ho sempre cercato di ottimizzare il tempo. Una spesa grossa a settimana. Un’uscita sola per tutte le commissioni, possibilmente in pausa pranzo. Un panino in macchina e posta, banca, lavanderia, calzolaio, parrucchiera, spesa… il tutto concentrato in un’ora e mezzo di pausa pranzo, sfrecciando con la mia Twingo per Parma come una pazza, per poi fare un salto a casa, caricarmi come un cammello nel deserto per portare tutto dentro in un giro solo, arrivare davanti alla porta d’ingresso sudando freddo e buttare dentro a calci le confezioni dell’acqua.
Tutto ciò perché non ho mai sopportato i tempi morti ma, soprattutto, per pigrizia. Tutto il tempo risparmiato fuori è tempo guadagnato per stare nella tranquillità delle quattro mura di casa mia. Questo era per dire che odio la lentezza, quella degli altri ovviamente. Se qualcuno rallenta le mie corse tendo a sbroccare ed innervosirmi.
Anni fa, in vacanza in Sicilia, avrei voluto uccidere la barista che, in spiaggia, prima di fare il mio caffè ha pulito il bancone, la macchina, il lavandino, scaricato la lavastoviglie e messo a posto le tazze. Vero che non avevo niente da fare se non prendere il sole e fare il bagno ma un caffè , nella mia mentalità da parmigiana isterica, va bevuto in piedi e di corsa in due minuti, anche se sei in vacanza. Sono tornata al lettino con un diavolo per capello.
Poi sono arrivata in Marocco, dove la barista di San Vito lo Capo a confronto è Valentino Rossi.
Qui la lentezza la fa da padrona.

Chi come me è abituato a correre se decide di vivere qui o si adatta o muore.
È lento il falegname che ti consegna l’ordine con 10 giorni di ritardo, nonostante tu gli abbia detto chiaramente migliaia di volte che i mobili ti servono per aprire il tuo locale e senza tavoli e sedie non puoi lavorare.
È lento il fornitore delle coppette che riesce, non ho ancora capito come, a posticiparti la consegna giorno dopo giorno di tre mesi.
È lento l’ idraulico che, chiamato alle nove del mattino, si presenta a fare un lavoro alle dieci di sera.
È lenta la gente che cammina per strada.
Se in una via qualunque ti trovi davanti tre signore marocchine, di quelle con un sedere generoso, stai tranquillo che non riuscirai mai a sorpassarle perché viaggiano come se la strada fosse tutta loro: le regine della strada. Fanno due passi, si fermano a mettere a posto la borsa, altri due passi e cercano il cellulare, il tutto navigando da destra a sinistra in modo da sbarrarti la strada completamente, altri tre passi e incontrano la sorella del cugino del nonno del vicino di casa e si fermano altri sei minuti a salutarla; e tu sei lì dietro con un attacco di gastrite che vorresti sfondarle come un rugbista ma non puoi, allora respiri forte, ti compri uno msemmen al volo, lo mangi, ne prendi un altro perché si stanno ancora salutando, fumi un pacchetto di sigarette e finalmente ripartono.

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L’altro giorno ho visto due giovani donne con borse della spesa chiamare un taxi dal ciglio della strada.

Il taxi si è fermato e loro niente, immobili, continuano a chiaccherare. Penso che forse ho visto male e che loro non avevano chiamato il taxi, ma lui, il tassista,  rimane lì. Le donne restano ancora ferme sul ciglio della strada svariati minuti, non chiacchierano nemmeno più; dopo quella che a me è sembrata un’ eternità la prima apre la portiera, appoggia dentro una borsa e torna indietro a parlare con l’amica a passo di lumaca. Altri minuti interminabili e finalmente si appropinquano, mettono dentro anche la borsetta della seconda, ancora due chiacchiere e salgono. Credo siano passati più di dieci minuti. Avrei voluto urlare “Alloraaaaaa, saliamo o no?” poi ho guardato il tassista così tranquillo che ha tranquillizzato anche me.

Andare al bancone del supermercato comporta sempre una lunga attesa: la signorina di solito non c’è e prima che qualcuno capisca che sei davanti al banco dei salumi non per guardare la vetrina ma perché ti serve mezzo kilo di prosciutto di tacchino i tuoi capelli sono già un po’ più lunghi.
La ragazza arriva serafica, le fai l’ordine specificando “fine, fine, fine” se no ti fa due fette spesse un dito, prende il prosciutto, lo rigira venti volte, lo poggia sull’affettatrice, prende un sacchettino, un altro, no meglio il primo, ma sì mettiamoli entrambi, taglia la prima fettina a rallentatore, con l’affettatrice che urta il muro dietro – tac – la appoggia, la stende bene, taglia la seconda – tac- la appoggia sulla prima che si arriccia, stende la seconda fetta ma deve ristendere anche la prima, continua così, le fettine aumentano – tac, tac, tac, tac – vorresti urlarle di spostare di 4 centimetri l’affettatrice dal muro così magari non tocca ogni volta e tu non rischi di diventare matta, una sopra l’ altra come la torre di babele, che immancabilmente a metà crolla; a quel punto le dici “va bene così” e ti accorgi che lei non aveva tolto la plastica attorno al prosciutto quindi ogni fettina ha una buccia sottilissima di plastica, glie lo fai notare e lei inizia a spellare le fette una ad una. Praticamente ogni volta la stessa scena. Venti minuti per volta. Attacco di gastrite come al solito e ogni volta mi riprometto che sarà l’ultima, che quasi quasi cambio il menù e tolgo i panini col tacchino.
Dicevo, se decidi di vivere qui o ti adatti o muori. Io in un anno, sembra evidente, non mi sono ancora completamente adattata, però credo che non riuscirei più a tornare alla frenesia della vita europea. Sono un ibrido con la gastrite. Isterica per essere una marocchina e troppo lenta per essere una parmigiana.

Ho imparato a prendere tempo, a fare le cose una alla volta, a non prendermi troppi impegni, ad apprezzare ogni minuto di queste giornate, dall’alba al tramonto.

Ho imparato a fermarmi ed osservare il cielo blu, che se vai troppo di corsa non ti accorgi nemmeno che qui è più blu che in ogni altro posto al mondo.

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7 Commenti

Luna 14/10/2015 - 19:36

Che ridere. Beh certo uno si deve abituare per forza, altrimenti hai voglia a gastrite. Io sono stata expat per 10 anni da bambina, e ammiro ognuna di voi per il coraggio e la tenacia. E mi diverto tanto a leggere i vostri racconti!!

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Rita 15/10/2015 - 03:08

E fino in Marocco sei dovuta andare per questo? Ti fermavi a Napoli e facevi prima!

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Francesca Marocco 15/10/2015 - 15:57

Ahaha. Ti assicuro che Napoli in confronto è Copenaghen!!

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Francesca Marocco 15/10/2015 - 15:56

Credo che la difficoltà ad adattarsi esista in qualsiasi posto del mondo. Chiaro che più la cultura è differente più le difficoltà aumentano . Il bello dell’espatrio è anche questo, capire le proprie difficoltà e cercare di sorpassarle.

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CRISTIANO PETROSINO 16/10/2015 - 09:51

Buongiorno Francesca, di cosa ti occupi a Essaouira?

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Francesca Marocco 16/10/2015 - 19:12

Buongiorno Cristiano. Ho un locale dove faccio yogurt gelati, estratti di frutta e verdura e snack vegetariani.

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Federica 24/12/2015 - 10:58

Bellissimo..
Mı haı fatto rıdere un sacco e mı cı sono rıtrovata molto. Quando ho vıssuto ın Egıtto mı sentıvo cosı’ anche ıo.. e un po’ la stessa cosa vale anche quı ın Turchıa.
Grazıe per le rısate

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