Maternità expat: uno sguardo indietro
Lunghi silenzi
Mio figlio ha quasi due anni e mezzo: lancio uno sguardo indietro e vedo che quasi altrettanto è durato il mio silenzio su questa pagina web.
Da quando lui è nato, il mio mondo di donna expat – come d’altra parte quello di ogni altra neomamma sul globo terracqueo – ha fatto un doppio carpiato.
Il primo anno e mezzo, lo ricordo ormai come una trincea: poco, niente sonno, sfide quotidiane, fatica, tanta fatica, il grande vuoto lasciato dall’assenza di una rete attorno che potesse quotidianamente sostenerci e il rapporto con mia moglie sul filo del rasoio ad ogni luna piena (o qualsiasi altra fase).
Un continuo alternarsi tra un “chi ce lo ha fatto fare?” e, d’altra parte, uno sciogliersi a ogni piccolo progresso, ogni sorriso, ogni capello o dentino cresciuto alla piccola ignara creaturina che, con il suo solo esistere, aveva irradiato, come un prisma, una quantità di amore fino ad allora impensabile.
Positivo e negativo
Le mie amiche e conoscenti dicono con grande ironia e certezza che faccio pessima pubblicità alla maternità. Io sostengo solo di essere realista.
Serate ballando fino all’alba? Dimenticate. Domeniche a letto fino a tardi? Neanche a pensarci.
Un pomeriggio di relax con la propria metà? Non pervenuto (una baby-sitter non può, ahimè, rientrare nelle nostre voci di spesa).
Insomma, tutto fuorché una passeggiata di salute. Nessuno si aspettava qualcosa di diverso, peraltro.
Al di là dell’ironia, a complicare tutto, nel nostro caso, ci si sono messe le lunghe e ancora non concluse indagini per una ipotetica e rarissima patologia genetica degenerativa di cui mio figlio sembrava poter essere affetto. Mesi e mesi di angoscia spessa, palpabile, di quella che non lascia spazio neanche ad un respiro.
Dopo un anno e mezzo di esami, ci stringiamo intorno alla gioia incommensurabile data dalla notizia che, pare, ne sia solo portatore sano. Continueremo nel nostro percorso con un macigno in meno a schiacciarci il petto.
Poi, il nostro ometto, il nostro piccolo Noah, ha deciso di entrare con grande anticipo nella fase dei “terrible two” e, da allora, tutto è andato velocissimo.
Vederlo correre per la prima volta, i suoi tentativi di salto, i suoi primi disegni, le sue crisi di pianto incontrollabili, le letture, l’approccio ai numeri, l’ossessione per la musica e il suo carattere che ogni giorno si rivela un po’ di più in tutta la sua dirompente forza e dolcezza.
Ancora cambiamenti
Un altro fast-forward fino all’inizio del caos creato dalla pandemia, quando cioè l’azienda per cui lavoravo da più di 5 anni ha chiuso il nostro progetto lasciando a casa più di mille persone senza l’equivalente spagnola della cassa integrazione e nessuna tutela.
In un istante ci siamo ritrovati sull’orlo del baratro.
Noi come tante altre famiglie espatriate monoreddito colpite dalle conseguenze secondarie del Covid-19, sole e con il timore di dover lasciare tutto quanto stavamo cercando di costruire per tornare con la coda in mezzo alle gambe in Italia.
Poi, una offerta di impiego inaspettata mi ha rimessa nuovamente in gioco con il lavoro da casa, anche se non permanente. Mi sono cosi crogiolata nella gioia di poter continuare a vedere il mio bimbo ogni giorno, senza le noiose trasferte verso l’ufficio. Queste ultime avrebbero rubato tempo e annientato ogni piccolo sguardo o bacio che riusciamo quotidianamente a scambiarci adesso, grazie al lavoro da casa e malgrado i ritmi serratissimi.
Il nostro espatrio, in bilico come mai prima, è di nuovo “salvo”, almeno per ora.
Rimaniamo in attesa di poterci vaccinare e, nel frattempo, ringraziamo la tecnologia e le videochiamate che rendono le nostre famiglie italiane meno distanti, fino a che potremo riabbracciarle.
Invecchiare con (poco) stile
A gennaio ho compiuto 40 anni. Nessun grande festeggiamento come avrei desiderato, ma la prima intera ora da sola con mia moglie, trascorsa passeggiando vicino a casa.
Entrando negli anta ho maturato la coscienza viva e forte che personalmente la maternità l’avrei vissuta con molta più grinta e molti meno acciacchi con 10 anni in meno (ah! La scoperta dell’acqua calda…), ma che, nonostante questo, voglio donare ogni goccia di entusiasmo che ancora posseggo a Noah per contribuire a rendere la sua vita un percorso straordinario.
Se dovessi concludere creando nella mia mente un’immagine rappresentativa dei passati 2 anni e mezzo sarebbe senz’altro questa: un viaggio sulle montagne russe più pericolose ed eccitanti del mondo, braccia in aria, fiato sospeso, pronti per la prossima ripidissima discesa.
Chi sono