E` il mio turno. Devo controllare che l’album stia bene.
L’umidità è deleteria per le foto. Qui a Hong Kong l’umidità è altissima e, oltre a mettere fazzolettini tra le pagine, cambiamo regolarmente le bustine deumidificanti. Il fotografo ce l’ha consegnato dentro una valigetta di pelle e lì è stato conservato per tutti questi anni. Apro la valigetta e, prima di cambiare le bustine, non resisto a tirarlo fuori. La copertina è di pelle scura, stampata, la lavorazione è elegante, raffinata. L’accarezzo lentamente, mi piace sentirne la consistenza sotto la mano. Pelle contro pelle. Piano, piano la sollevo.
Nella pagina iniziale, le lettere dorate “Il matrimonio di Antony e Stefania” risaltano sulla pagina color avorio. Mi soffermo. Quanti ricordi! Incredibile! Ma anche dopo tanti anni quelle poche parole riescono farmi sorridere. Venti anni fa, quando ci siamo scambiati il primo bacio, non avremmo mai immaginato di racchiudere le memorie del nostro matrimonio in quest’album speciale. Nessuno scommetteva che ce l’avremmo fatta. Un senso di vittoria si diffonde dentro di me. La prima pagina con il mio bellissimo bouquet di rose rosse. Sembra quasi incredibile che la sua idea per il bouquet coincidesse con la mia. Non ne avevamo parlato in precedenza ed è lo sposo che lo sceglie. Rose rosse, non troppo grandi, e velo da sposa, una meraviglia! Mia madre mi fissa il velo. Finalmente sono pronta. Esco da casa e, arrivata sul sagrato, mi rendo conto di aver dimenticato il bouquet.
Pochi invitati, altamente selezionati, radunati tutti assieme in un caldo pomeriggio di fine giugno sul sagrato di una chiesetta di campagna del 1600 abbarbicata su una collinetta. Solo la chiesetta, l’ex-canonica e la torre a guardare il mare di campi di grano che si stendono fin quasi le rive del fiume. Mia madre corre a recuperare i fiori mentre io mi torco le mani, nervosa. Abbiamo programmato tutto, perfetto nei minimi dettagli. Il nostro matrimonio è esattamente come lo desideravamo, ma il nervosismo non mi abbandona. L’organo comincia a suonare l’Ave Maria di Schubert, ma io la sentirò solo dopo, nel video che sta girando mia cugina perché ormai non capisco più niente. Seguo mio padre che mi da` orgoglioso il braccio come un automa. Non vedo le persone, non vedo i fiori sui banchi e sull’altare. Seguo il tappeto rosso senza sapere cosa sto facendo. Ed alla fine del tappeto lo vedo, eccolo li`, mi aspetta. Mi prende la mano e me la stringe. Mi guarda negli occhi e mi sorride ed improvvisamente ritorno, li`, in quella chiesetta decorata a festa solo per noi. Sono li`, con lui ed i suoi occhi mi dicono che non sono sola, che questa vita, comunque sarà, l’affronteremo insieme, mano nella mano.
Il libretto della messa. Lo sfoglio. Lo abbiamo battuto noi al computer, abbiamo scelto le letture, il Vangelo e tutte le canzoni. Un libretto in Italiano ed in Inglese perché la sua famiglia non parla italiano, un lettore per le letture in Italiano ed uno per quelle in Inglese. Sorrido ripensando al Vangelo letto in Inglese. Com’era stato gentile Don Esopi ad aver accettato di leggerlo anche in Inglese, ma che tortura. Dopo la prima riga abbiamo capito che forse avremmo fatto meglio a non chiederglielo!
A messa finita gli abbracci. La foto dove mio padre commosso abbraccia mio marito come un figlio. Le foto tradizionali di fronte all’altare e poi tutti fuori per quelle di gruppo. Il lancio del bouquet, che avrei tenuto, felicemente, tutto per me. Sorrido guardando le foto nel campo di grano con Antony che mi suona romanticamente una chitarra che non sa quasi come tenere. Ci ridiamo ancora!
Avevamo deciso di usare la nostra macchina e non sprecare soldi nel noleggio di una macchina importante, ma mio zio ha insistito a farci lui da chaperon e gli altri si sono incamminati tutti dietro di noi, in fila Indiana, fino al castello, dove si teneva il ricevimento. Le mura coperte di muschio ed edera, gli alti alberi secolari ed il sole che vi penetrava tra le foglie e colorava d’oro il viale, il portone d’entrata che si apriva sul giardino. Corro in bagno con il mio seguito e tolgo il velo e l’abito bianco per avvolgermi nel mio saree di seta colorata di un intenso azzurro intercalato dal ricamo col filo d’oro. Mia suocera, oltre ai saree per me, per lei e per la figlia, ne aveva portati due anche per mia madre e mia cugina ed improvvisamente tre nuove creature colorate come le ali delle farfalle escono da quelle stanze che non avevano mai ospitato prima niente di così esotico. Il fotografo si diletta a fotografare abiti che non aveva mai visto e che non potevano che risvegliare la sua natura artistica.
Gli invitati si godono gli antipasti serviti in giardino. Mio zio, convinto che l’Italiano sia una lingua universale perché` tanto nessuno ci batte a spiegarci a gesti, racconta a mio suocero che in Sardegna abbiamo un sole, cerchio in aria sopra la sua testa, ed un mare, braccia che si muovono come per nuotare, meravigliosi, pollice alzato. Mio marito suggerisce di fare le foto del taglio della torta e del brindisi ora perché` così possiamo salutare i fotografi e goderci il resto della giornata in intimità`, solo con le persone scelte. Io non riesco a bere alcolici. I miei amici sghignazzano. Il brindisi viene fatto con il succo di frutta nell’ilarità generale e le foto sono perfette perché` ridiamo dal cuore, guardandoci negli occhi e promettendoci il mondo a vicenda.
L’ultima foto è in bianco e nero. Il bacio sulle scale della chiesa. Gli occhi chiusi, le labbra che si sfiorano, le mani intrecciate ed il nostro amore.
Richiudo l’album, lo riavvolgo nella stoffa e lo ripongo nella valigetta. Apro la porta del soggiorno e sono sul divano a guardare un documentario. Uno vicino all’altro, mio figlio e mio marito, così uguali e così diversi. Sorrido felice.
Chi sono