Dopo tanti anni che vivo all’estero è giunto tutto insieme il periodo della riflessione, come una nube estiva che decide che è tempo di pioggia. Ora è tempo di memoria. Qui seduta al computer dove di solito scrivo di argomenti molto più tecnici che poco hanno di personale, ora scrivo di me e della mia vita.
Sono a Bonn, in una parte lontana dal Reno, e ciò che preoccupa me e sicuramente altre mamme che vivono all’estero è la prole. I bimbi che vivono fra due culture e devono crescere con più punti di riferimento e più lingue. Le nostre scelte influenzano le loro vite. Le nostre scelte divengono le loro scelte. Ed è qui, in questi pensieri, in queste domande senza risposta, che la memoria del passato e del presente, del mio passato e del suo presente si fonde in un continuum.
La memoria è come un mare per me, mi travolge con le sue onde. Il suo vento interno lo rende mosso e impetuoso. L’acqua salina della memoria mi avvolge nel suo passato trasformando il presente in gocce, a volte, lentamente. A volte, invece, il mare della memoria mi circonda e le sue ondate mi travolgono in circoli di pensiero che portano via la sabbia dei miei ricordi sostituendola con briciole del futuro.
Ricordo: il primo giorno di scuola elementare qui a Bonn di Sirio. Era il più piccolino di tutti, di struttura sicuramente mediterranea. È stato preso per mano da un bambino più grande che era nella sua stessa classe. Come dicevo in un altro post, qui Sirio frequenta una scuola con classi “miste” (la prima e la quarta elementare sono insieme fisicamente nella stessa aula).
La paura e l’emozione mi hanno preso la gola: questo gigante guidava Sirio verso la classe. Si è rivelata poi una combinazione bellissima: il gigante ha insegnato molto al mio piccolino che lo stima e gli è affezionato. Tra l’altro Sirio è arrivato a scuola che non capiva molto di tedesco. Parlava inglese perchè noi abbiamo vissuto molto a Belfast. Lo studente di quarta elementare gli ha insegnato piano piano molto e Sirio si è affidato a lui molto.
In questi mesi mi sono venute in mente le parole che la mia maestra elementare mi diceva, parole che la vita aveva piano piano cancellato. E sono riemerse come un’isola in un oceano. Bisogna sapere chiedere aiuto quando si ha bisogno e bisogna saper dare aiuto quando si vede che qualcuno ha bisogno. Si impara in tutti e due i casi. La mia maestra elementare, di cui ancora ricordo nome e cognome e il cui viso sicuramente è rimasto impresso nei miei ricordi, era una filosofa pura. Non come quei filosofi di adesso che parlano parole incomprensibili, in un linguaggio che cerca la chiarezza trasformando tutto in un miscuglio di formule oscure. Ecco la mia maestra, mi ricordo, ci raccontava storie per spiegare l’importanza dell’aiuto reciproco, l’importanza di saper chiedere e di saper rispondere. In maniera forse più diretta il mio bimbo lo ha imparato in questi mesi e, spero, che quando toccherà a lui prendere per mano un piccolino sappia come rispondere. Il concetto di avere insieme nella stessa classe grandi e piccini che si aiutano insieme non è propriamente tedesco. È italiano. È un concetto montessoriano. Ecco mi chiedo se noi in Italia lo applichiamo, non intendo a scuola, la mia non è una domanda didattica. È un concetto che abbiamo esportato, ma, noi, in Italia nella nostra vita quotidiana, lo usiamo? Noi italiani, anche noi che viviamo all’estero, ce lo ricordiamo?
Ecco oggi vi lascio con una domanda, una questione sulla quale voglio riflettere anch’io. Una domanda che si ramifica in due questioni, mi chiedo: “Sono in grado di chiedere aiuto? Sono in grado di aiutare?”