Muscat, una città per smarrirsi?
“Smarrirsi in una città come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare”.
– Walter Benjamin –

Sultan Qaboos Grand Mosque Muscat
O un’arte? Una conoscenza innata?
Non lo so. A Muscat, capitale del Sultanato di Oman, mi è sembrato facile.
Muscat: una megalopoli, una “città estesa”, un insieme di tanti agglomerati urbani.
Multietnica, cosmopolita. Una capitale dove puoi seguire sempre gli stessi percorsi o scoprirne ogni giorno uno nuovo.
Differente.
Perché, come ha scritto il critico cinematografico francese Serge Daney: «la città consente di vedere senza essere visti e di essere visti senza vedere».
E non si deve per forza scegliere.
La Muscat elegante delle Ambasciate e del Teatro dell’Opera; dei caffè di Shatti al Qurum e della Marina di al-Wave; dei Mall di marmo e cristallo. Quella spirituale delle moschee; quella storica di monumenti e musei; quella nascosta delle periferie o dei quartieri per i lavoratori del Sud-Est asiatico.
La Muscat affacciata sul mare; quella arrampicata sulla montagna. Quella del cuore antico di Matrah e della sua Corniche.
La capitale delle sonnolente mattinate del venerdì o quella vivace delle serate quando cala il sole e il cielo s’ incendia nel tramonto rosso fuoco, l’aria si rinfresca e tutti si riversano sulla spiaggia a camminare; a bere tè…
I sari colorati si mescolano al nero delle abaye; le disdashe candide del Golfo alla kurte blu pavone o arancio del Pakistan; ai veli colorati e fluttuanti del Sudan o di Zanzibar; ai vestiti occidentali. Folte trecce nere delle indiane e capelli biondi degli expat nordici; berretti da basket e tummeh ricamate, affascinanti mussar.
Ho abitato in un quartiere residenziale della vecchia Qurum e a Ruwi, ospite di una famiglia pakistana. Ho frequentato expat di ogni parte del mondo. E spesso mi sembra di vivere dentro una mappa geografica: Omaniti, Sudafricani, Inglesi, Belgi, Tedeschi, Indiani, Filippini, Coreani… Tanti volti, tante storie. Mille incontri, sempre seguendo il filo conduttore della curiosità, della voglia di conoscere, di mescolare le tradizioni, uscendo dal “perimetro di sicurezza” delle abitudini.
A Muscat posso vestirmi come a Milano, indossando giacca e camicia o un abito “Italian style”, oppure scegliere un’abaya rivisitata in chiave moderna o una tunica indiana.
Posso parlare tre lingue diverse durante la stessa cena. Mangiare per terra su un tappeto o seduta a una perfetta tavola imbandita. Camminare scalza o indossare tacchi vertiginosi.
Ho vissuto in molte città ma solo a Londra ho conosciuto questa libertà.
Questa possibilità di esplorare gli altri e me stessa, perché credo sia possibile conoscere se stessi solo attraverso la conoscenza degli altri. E l’”altro”, quando è diverso da noi -per cultura, abitudini e tradizioni- rappresenta la sfida più interessante.
Certo Muscat ha pregi e difetti (anche se ne vedo pochi) come tutte le capitali ma c’è sempre qualcosa che mi sfugge e che me la fa sembrare nuova, ogni volta che torno in un quartiere. Ogni volta che ritorno dopo averla lasciata.
In Italia o in Europa mi mancano i suoi profumi, le note dell’incenso, del pane cotto al forno, delle spezie: curry e zafferano, cannella e cumino. Mi mancano quelle nuvole di ovatta che ogni tanto interrompono il blu compatto del cielo; i tramonti da tropico del Cancro, l’adan, il richiamo del muezzin alla preghiera, che m’infonde una sensazione di quiete, di pace profonda.
E voi, vi siete mai smarriti in una città come ci si smarrisce in una foresta?
Glossario
Abaya: lunga tunica nera di tessuto leggero che copre il corpo eccetto la testa, il viso, i piedi e le mani.
Disdasha: tunica bianca (gli omaniti la portano anche colorata) lunga fino ai piedi indossata dagli uomini nei Paesi del Golfo.
Kurta: abito tradizionale (uomo e donna) pakistano. E’ una tunica, in genere colorata, per donne e uomini, lunga fino al ginocchio.
Kummah: copricapo indossato nella vita di tutti i giorni dagli Omaniti. E’ arricchito da ricami colorati e arriva dallo Zanzibar (che faceva parte del Sultanato nell’antichità).
Mussar: copricapo indossato dagli Omaniti nelle occasioni formali. E’ una specie di turbante di tessuto Kashmir, arrotolato in fogge diverse che indicano la regione di provenienza.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!